A fine settembre è sbarcato su Netflix, Blonde un film scritto e diretto da Andrew Dominik, che ha lavorato per più di dieci anni alla trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo, considerato uno dei capolavori della scrittrice statunitense Joyce Carol Oates, Nel ruolo della diva c’è Ana de Armas, che grazie ad trucco e alla sapiente fotografia si è trasformata in una Marilyn davvero simile alla diva anche grazie ad inquadrature che richiamano molto famosi scatti impressi nella memoria collettiva del pubblico. Il cast è composto anche da Julianne Nicholson nel ruolo della madre di Marilyn, Gladys Pearl Baker, da Adrien Brodycome Arthur Miller e Bobby Cannavale nei panni di Joe Di Maggio. Il tema dell’aborto, ripreso nel film è, negli Stati Uniti, ma non solo, un tema molto caldo. E nel film si racconta di ben due aborti che l’attrice avrebbe avuto nella sua vita. Per questo la Planned Parenthood, che i lettori di questo blog conoscono bene, ha attaccato Blonde accusando il regista di aver fatto un film anti-aborto. Riportiamo gli ultimi strascichi di questa polemica iniziata con la presentazione del film al Festival di Venezia, in questo articolo di Hollywood Reporter tradotto da Annarosa Rossetto.
Il film di Netflix su Marilyn Monroe con Ana de Armas ha ricevuto un’altra recensione negativa, questa volta dall’organizzazione per i diritti dell’aborto, che afferma che i realizzatori hanno scelto di “stigmatizzare le scelte sanitarie delle persone”.
Blonde di Andrew Dominik , il film biografico su Marilyn Monroe con Ana de Armas nei panni della leggenda dello schermo, ha suscitato forti reazioni da quando è stato presentato in anteprima al Festival del cinema di Venezia l’8 settembre e ha debuttato su Netflix il 28 settembre. Alcuni critici cinematografici hanno definito il film, che è basato sull’omonimo romanzo di Joyce Carol Oates del 2000, crudele e sessista per il ritratto che fa della vita di Monroe.
Un filo conduttore di quella critica è stato il modo in cui Blonde affronta l’aborto. Il film descrive la Monroe come se avesse avuto due aborti illegali, che le sono stati imposti contro la sua volontà e che l’hanno tormentata per tutta la vita. Tramite gli effetti di computer grafica molto realistici, il film ritrae i feti di Monroe che le parlano. “Non mi farai del male questa volta, vero?” chiede un feto alla Monroe.
Arrivato tre mesi dopo che la Corte Suprema ha ribaltato Roe v. Wade, Blonde fa rumore poiché molti nell’industria dello spettacolo sono interessati al proprio ruolo in merito a come l’aborto viene percepito dal pubblico.
Per quanto riguarda gli attivisti per i diritti dell’aborto, Blonde è un passo nella direzione sbagliata. “Poiché il cinema e la TV modellano la comprensione di molte persone della salute sessuale e riproduttiva, è fondamentale che queste rappresentazioni ritraggano accuratamente le decisioni e le esperienze reali delle donne”, ha detto a The Hollywood Reporter Caren Spruch, responsabile nazionale per le arti e lo spettacolo della Planned Parenthood Federation of America. “Sebbene l’aborto sia un’assistenza sanitaria sicura ed essenziale, i fanatici anti-aborto hanno a lungo contribuito allo stigma dell’aborto utilizzando descrizioni mediche imprecise di feti e della gravidanza. Il nuovo film di Andrew Dominik, Blonde, rafforza il loro messaggio con un feto fatto con la computer grafica che parla, raffigurato come un bambino completamente formato”.
Spruch ha continuato dicendo: “La Planned Parenthood rispetta la licenza e la libertà artistica. Tuttavia, queste immagini false servono solo a rafforzare la disinformazione e perpetuare lo stigma sull’assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva. Ogni esito della gravidanza, in particolare l’aborto, dovrebbe essere descritto in modo sensibile, autentico e accurato nei media. Abbiamo ancora molto lavoro da fare per garantire che tutti coloro che hanno un aborto possano riconoscersi sullo schermo. È un peccato che i creatori di Blonde abbiano scelto di contribuire alla propaganda contro l’aborto e stigmatizzare invece le decisioni mediche delle persone”.
In un’intervista a The Wrap , Dominik ha affermato di non vedere il film come un’opera anti-choice ( = pro-aborto, n.d.t.) e che la sua percezione in questo senso deriva in parte dai tempi della sua uscita immediatamente dopo il ribaltamento di Roe. “Le persone sono ovviamente preoccupate per la perdita di libertà“, ha detto. “Ma, voglio dire, a nessuno sarebbe fregato un ca**o se avessi fatto il film nel 2008, e probabilmente tra quattro anni a nessuno importerà”.
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Il racconto del lupo e dell’agnello che bevono al torrente è sempre attuale. Comunque la si guardi tutto ciò la dice lunga sull’egemonia culturale che non ammette contraddittorio e che evoca in maniera selettiva lo spettro della disinformazione, come se negli ultimi due anni ci avessero ibernato così da non ricordare nulla. Il fatto che cinema e tv “modellino la comprensione popolare” che evidentemente non ha ad attingere altrove, è però il grave problema da una parte e dell’altra dell’oceano. Così come quella strana percezione della libertà per cui il corpo è mio e lo gestisco io ma qualche volta anche Fauci/Figliuolo. Ma lì non c’è nessuna minaccia, figurarsi.
Aggiungo: per capire il livello di efficacia della propaganda mi basta ricordare un dialogo con alcuni colleghi (ovviamente abortisti) convinti che la vita non fosse tale dal concepimento bensì dopo un non ben precisato periodo. Giusto per dire che non serve la fede, talvolta basterebbe disporre di almeno un neurone, ed accertarsi che funzioni correttamente.
Tutto ciò ci riporta al colloquio tra i farisei e il cieco nato in cui questi, messi con le spalle al muro, non trovarono di meglio che insinuare che egli non fosse mai stato cieco. Aveva finto per tutta la vita, insomma. Geniale.