Domenica XXXIII del Tempo Ordinario (Anno A)
(Pr 31,10-13.19-20.30-31; Sal 127; 1Ts 5,1-6; Mt 25,14-30)
di Alberto Strumia
1. Nella prima lettura di questa domenica, come già in quella della domenica scorsa, vediamo all’opera la “Sapienza” di Dio Creatore. Ma mentre domenica scorsa la lettura tesseva l’elogio della Sapienza di Dio, come “causa” di ogni perfezione che esiste, nella prima lettura di oggi vediamo descritta la “Sapienza” come “effetto” di quella “causa”.
In particolare si parla di quell’“effetto” che è la creatura umana, e in particolare la “donna”, della quale la Sacra Scrittura, ben prima e molto meglio del femminismo moderno, ha saputo esaltare bellezza, pregi e virtù («Ben superiore alle perle è il suo valore»).
– Il primo motivo di questo elogio della donna, quale creatura di Dio, ha carattere “generale” e non tanto specifico, ed è quello di spiegare agli esseri umani che essi – sia donne che uomini – come del resto anche gli Angeli, è quello di essere tutti insieme “collaboratori di Dio Creatore”. Ciò si può realizzare attraverso la volontaria libera decisione di rispettare le “leggi” che Egli ha disposto per il buon funzionamento di tutte le cose che esistono.
– Il secondo motivo di questo elogio della donna, quale creatura di Dio, è invece propriamente “specifico”, essendo legato al suo proprio “genere femminile”, previsto ad immagine e somiglianza di Dio Creatore. Come nella Trinità le “Persone” sono “relazioni”, ciascuna con una propria caratterizzazione (Paternità, Figliolanza, Conoscenza-Amore), così la donna è voluta da Dio nella sua determinazione di femminilità, come sposa, madre, saggia amministratrice della famiglia, oltre a quanto è proprio della sua natura di essere umano. Si tratta di una “determinazione di genere” che è complementare a quella maschile dell’uomo e che non va alterata arbitrariamente in base al proprio capriccio, o sentimento momentaneo, se non si vuole rischiare di compromettere il buon funzionamento della vita della singola persona e dell’intera società, domestica e civile, finendo per danneggiare prima di tutto la “famiglia”.
2. L’effetto rovinoso della trasgressione di ciò che Dio Creatore ha disposto, a proposito delle “leggi della natura creata” (tra le quali vi sono anche i Comandamenti) è descritto nella seconda lettura dall’Apostolo Paolo. E corrisponde proprio esattamente a quanto vediamo accadere da tempo nel mondo, e oggi in un modo ormai giunto all’estremo: «E quando la gente dirà: “C’è pace e sicurezza!”, allora d’improvviso la rovina li colpirà». La decomposizione del nostro mondo sia a livello della vita personale dei singoli, che a quello domestico e sociale, è ormai insostenibile. La trasgressione dei Comandamenti come “leggi di natura” volute da Dio ha prodotto e continua a produrre la dissoluzione dello stato di benessere che si era raggiunto grazie al cristianesimo, rifiutando e manipolando il quale non si fa che peggiorare le cose. E la donna ne sta pagando il prezzo per prima.
Ma al tempo debito Dio stesso interverrà nella storia in maniera “diretta” ristabilendo visibilmente la “giustizia originale” («Verrà come un ladro di notte […] e non potranno sfuggire»). E il cristiano lo sa e farà bene e tenerne conto consapevolmente: «Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri».
3. Nel Vangelo, Gesù, con la parabola dei talenti dettaglia la questione della “vocazione” di ciascun essere umano a “collaborare”, con la propria volontaria e “libera” scelta, con il proprio “lavoro”, il proprio “stato di vita”, secondo le proprie “capacità” all’opera di Dio Creatore. E addirittura anche all’opera di “Cristo Redentore”.
– La collaborazione con l’opera del Creatore. Le diverse capacità di ciascuno («secondo le capacità di ciascuno») sono indicate, nella parabola, dal diverso “numero di talenti” (cinque, due, uno) che ciascuno individualmente riceve. È la “vocazione” propria di ognuno, riconoscibile leggendo le “circostanze” che lo mettono in condizione di impiegare quel denaro investendolo e meno. Qui entra in gioco la libertà di decidere se e come farlo: i primi due servi portano il frutto della rendita in proporzione a quanto ricevuto e sono lodati per questo risultato. L’ultimo servo, che non ha avuto il coraggio di investire la propria vocazione, seguendo le circostanze che la determinavano, ha finito per tradirla fino a rinnegarla, seppellendola («Sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra») per non vederla lui stesso e non farla vedere dagli altri. Così non solo ha portato il frutto della rendita, ma ha anche offeso il padrone ributtandogli quasi in faccia quando aveva ricevuto. Altri dettagli, non secondari, si potrebbero aggiungere, come quello di essersi concepito secondo un’antropologia erronea che concepisce l’uomo come soggiogato da Dio e non come voluto e amato dal Creatore («Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura»).
– La collaborazione all’opera del Redentore. C’è poi una forma ancora più grande di collaborazione con Dio, definita dalla “vocazione” di ciascun cristiano, ed è quella che lo vede impegnato nella “missione della Chiesa”, attraverso l’Annuncio di Cristo, l’insegnamento della visione cristiana della realtà come unica chiave di comprensione della condizione umana e della storia, la realizzazione di un comportamento adeguato e delle opere di carità.
Addirittura il Signore chiama a condividere la Sua stessa Croce, come strumento di Redenzione per sé e per tutti. Ciò che ci tocca patire e sopportare su questa terra, Lui lo ha già assunto con la Sua Passione e non è inutile, ma diventa il nostro personale contributo alla Croce di Cristo, alla Redenzione, facendoci “per partecipazione”, in qualche modo “corredentori” con Lui. È il concetto cristiano di “offerta” e di “merito”.
In forma estrema ciò è testimoniato dall’esperienza di quei santi che hanno ricevuto la “vocazione” di rivivere nella propria carne e nella propria anima, le sofferenze della Passione di Cristo, nella piena consapevolezza di essere accanto a Lui sulla sua Croce, per la Salvezza del mondo.
E Sua Madre Maria è stata la prima “donna” chiamata a questa vocazione così estrema («A te una spada trafiggerà l’anima», Lc 2,35).
Per questo noi non possiamo non avere il coraggio di metterci sotto la sua materna protezione, pregandola e consacrandoci quotidianamente a lei, che ci ha anticipato nel cammino verso la pienezza della gioia di stare per sempre con il Signore («Prendi parte alla gioia del tuo padrone», Vangelo).
Bologna, 19 novembre 2023
Scrivi un commento