Don Luigi Giussani
Don Luigi Giussani

 

Caro Sabino,

Il contributo di La Peruta su “la regola di CL”, pur essendo egli un amico, e godendo della mia stima, mi è sembrato molto confuso sia nei termini che nelle argomentazioni; ma non sono io maestro in queste cose, e al riguardo potrei solo raccontare la mia esperienza. 

Io non mi sono mai posto il problema della regola da seguire; appartengo alla Fraternità di CL, c’è una regola, la seguo. Punto.  La seguo perché la regola è la compagnia in quanto ha momenti fissi (preghiera, fondo comune, ritiro periodico) cui si appoggia: come gli argini di un fiume portano le sue acque al loro sbocco naturale, così la compagnia in nome di Cristo, aiutando ciascuna persona a questo riferimento ultimo,  mette in moto intelligenza e affezione, nel massimo della libertà.

Per me CL è una delle tante circostanze della vita. Ma c’è circostanza e circostanza, e CL è quella circostanza che, incontrandola, ha dato luce e, seguendola, illumina tutte le altre circostanze. Il metodo di CL, infatti, muove dal reale visto in tutti i suoi fattori e volge al Significato. Don Gius diceva:“sono qui non per convincervi di ciò che penso io, ma per darvi gli strumenti per giungervi con la vostra testa”.

Leggo nel testo di Antonio La Peruta  (tra virgolette le sue asserzioni)

– CL sarebbe un “fenomeno ecclesiastico.”…. credo che si faccia confusione tra ecclesiale ed ecclesiastico

– CL “non è una realtà del mondo”: eccome se lo è, tanto è vero che è riconosciuto dal diritto canonico, con forme ben precise; non per nulla il riferimento è sempre all’Incarnazione. Si potrebbe piuttosto dire che vive nel mondo e ne fa uso, ma non guarda come traguardo ultimo al mondo…

– CL “non esiste; per la Chiesa non esiste nulla di cattolico se non è incardinato”: falso. Vedere la definizione di Cattolico nel catechismo della Chiesa Cattolica (n. 830-838)

– CL “non è un movimento ma prende vita come l’ha intesa storicamente la Chiesa col riconoscimento”: e allora i vari incontri dei movimenti ecclesiali fatti in Vaticano erano solo un gioco di ruolo? Oppure quando i papi e i vescovi hanno detto qualcosa sulla bontà dei movimenti suscitati dallo Spirito nella Chiesa, scherzavano?

– “CL esiste per come è riconosciuta dalla Chiesa, e solo questo ne garantisce la trasmissibilità del carisma”: e lo Spirito ha un piccolo ruolo? O servono solo governo-metodo-scopo e riconoscimento?

– “CL è una Fraternità (e solo questo)”: falso.  La Chiesa ha riconosciuto la Fraternità in quanto è l’esperienza del movimento nel suo impegno più maturo e più libero, perché messo in atto dal singolo adulto che lo sceglie e lo persegue liberamente per la sua vita.

– “don Giussani parlava sempre e solo di Cristianesimo”: e quando mai?  Don Giuss parlava di tutto, e Cristo c’entrava con tutto, pur quando non lo nominava.

– “il Meeting non è espressione di CL”: ma da quando? Il Meeting è sempre stato il culmine della manifestazione pubblica di ciò che CL ha vissuto, come opere, cultura, carità, missione. E’ quindi giusto che chi lo ha vissuto fin dall’inizio ne valuti i vari aspetti, positivi, come molte mostre, e negativi…. che purtroppo da alcuni anni sono evidenti.  Il giudizio, dice don Giussani, è l’inizio della consapevolezza e quindi della liberazione.  La mostra su Giussani, poi, ha un’eco così grande che non saranno certo le critiche all’abbraccio Vittadini-Draghi-Di Maio-Speranza-Colao-Burioni a oscurare il Giuss.

 

Come ne parla invece don Giussani   (miei appunti/riassunti: i riferimenti sono indicati a fondo pagina)

 

Differenza tra Scuola di Comunità (del movimento di CL) e Fraternità:

La Scuola di comunità è uno strumento che uno usa per approfondire l’esperienza del movimento. 

Non è ancora Fraternità perché è più alla superficie del nostro impegno: è un esercizio, più  che una vita, anche se dovrebbe tendere a diventare vita per chi vi partecipa.

La Fraternità invece è l’esperienza del movimento che diventa un ambito di vita. Ci si mette insieme in una Fraternità per aiutarci a vivere l’esperienza della fede, che il movimento ci dà, come esperienza di tutta la vita: in modo che,  in tutte  le cose che facciamo, i criteri siano ultimamente determinati e dettati da questa esperienza. Nasce da una prossimità, qualunque ne sia l’origine, ma è creata non perché c’è attrattiva, o un interesse, ma come una scuola per imparare ad amare l’altro, un aiuto al cuore di ognuno per camminare di fronte a Cristo, ragione della esistenza e motivo della nostra creatività.

In modo, inoltre, che coloro che vi partecipano collaborino alla diffusione e alla edificazione del movimento con una maturità di fede sempre più grande… perché il movimento non è edificato dalla organizzazione, ma dalla vita delle persone.

Di fronte al pericolo sempre imminente di costruire la nostra attività associativa, operativa, caritativa, culturale, sociale, politica, non su Cristo, di schianto, come un’esperienza familiare, come era agli inizi, ma sui valori cristiani (e così è diventato  facile per gli altri  identificare la nostra esperienza con un impegno attivistico, organizzativo o culturale, a volte esclusivistico) ci siamo detti: chi nel movimento è diventato adulto, perché non aiutarlo a vivere con responsabilità personale come s’addice a un adulto, nella libertà come s’addice a un adulto, con una creatività secondo la vocazione della sua persona, come s’addice a una vita adulta? Liberando il tutto dalla inevitabile strettoia di un organismo associativo?: non strappandolo fuori, ma liberandolo, facendogli vivere la vita del movimento nella libertà dello Spirito.

 

Come la Fraternità è concepita in base allo Statuto che è stato approvato dalla Santa Chiesa.

Non lasciamoci confondere da come i rapporti con la vita del movimento possono sembrare non sufficientemente distinti o non sufficientemente uniti. Il rapporto con il movimento è dato solamente dal fatto che il maturarsi ascetico della propria persona, il diventar più maturi noi nel rapporto con Cristo, non può che provocare un senso di responsabilità e di passione maggiore per la vita del movimento.

Preoccupiamoci quindi di cogliere il punto centrale della Fraternità: un aiuto al nostro cuore, perché la nostra vita cammini di fronte a Cristo.

Cl non è l’organizzazione locale, ma questa esperienza di fede personalmente vissuta e comunicata. 

Perciò non è necessario partecipare alle cose così come vengono fatte in un certo posto per essere di Cl e quindi per essere della Fraternità. Chi è della Fraternità è di Cl!

E se l’organizzazione di Cl, nel proprio ambito, non solo non soddisfa, ma è contraria a quello che riteniamo buon senso, apertura, agilità, non possiamo però restare indifferenti, pregheremo perché le cose cambino, ma non faremo un’alternativa. Infatti, l’organizzazione non può avere alternative.

 

Ma la Fraternità permette:

– primo, di vivere l’esperienza secondo la libertà del proprio temperamento e della propria storia,

– secondo, di creare opere: non una organizzazione diversa del movimento, ma opere.

Nessuno ti può impedire di fare una cooperativa o una sezione del Touring Club o un’iniziativa caritativa verso i vecchi della tua zona, per esempio. Nessuno te lo può impedire, neanche il capo della Diaconia.

I singoli membri, man mano che maturano, cercheranno di guardare con la maggior benevolenza possibile quello che già c’è, nei limiti del possibile, anche psicologico, ma possono fare anche altro, e soprattutto, si può non essere d’accordo su certe impostazioni, e allora uno fa un’altra cosa. Ma dovrebbero essere tutti contenti che la fede suggerisca una creatività multipla, plurima.

 

Scopo della Fraternità: proteggere, indirizzare e sostenere la volontà di chiunque intenda impegnarsi con l’esperienza del movimento fino in fondo, che cioè riconosca nell’esperienza del movimento l’impegno della propria fede e della propria coscienza di uomini e di cristiani.  (art 5 dello Statuto)

 

Sostanza della vita della Fraternità: rendere reale la creazione di ambiti umani dove la certezza del Benedictus (e dell’inno della domenica) diventi  non solo un pezzo delle Lodi del mattino, ma un movente della vita, l’orizzonte della vita, ciò che determina il cuore nella vita.

 

Forma della Fraternità è la nostra compagnia.

La Fraternità si specifica e si realizza normalmente attraverso una libera scelta di aderenti che, liberamente, si costituiscono in gruppi di amici. Lo spunto iniziale può essere qualunque (passione per il teatro, un gruppo di insegnanti, una cooperativa agricola, amici di famiglia, una diaconia, ci potrebbe essere una Fraternità in cui uno abita a Venezia, due a Udine, uno a Messina e uno a Palermo) ma, qualunque sia l’origine, si mettono insieme per vivere questa iniziativa o questo compito come spunto a qualcosa di più profondo tra loro.

 

La regola: è la compagnia di persone che si mettono insieme con questo unico scopo,  un aiuto ad andare a fondo nell’amore a Cristo e nel testimoniarlo  al mondo. È una compagnia al destino, cioè a Cristo, un’amicizia ascetica, un alveo che costringa alla verità di sé, e che diventa una regola di vita.

Occorre solo il desiderio di impegno della nostra vita con l’esperienza del movimento e basta: non con l’organizzazione del movimento, ma con l’esperienza vissuta nel movimento!

La regola è individuabile in fatti precisi e stabiliti, come il dire le lodi e il radunarsi per la riunione settimanale, o il cenare insieme una volta alla settimana o una volta al mese, può essere tutto quello che volete voi; ma la regola è la compagnia in quanto ha momenti fissi cui si appoggia, come il tetto si appoggia ai piloni, ed in cui vibrano esempi che nella loro gratuità costituiscono uno stimolo edificante.

 

Il “come” della regola:

Perdono, cioè capacità di abbracciare il diverso (come dovrebbe essere già tra marito e moglie)

correzione, che è la coscienza esplicitata di essere in cammino verso un destino

approfondimento della coscienza, un aiuto ad approfondire la conoscenza

solidarietà reale fra tutti i membri: di fronte a Cristo non è possibile che non scatti un abbraccio comune, sia all’interno di ogni singola Fraternità, sia nei confronti delle altre Fraternità, anche se rimangono tutte le diversità (ci sono tra marito e moglie, immaginiamoci se non ci possono essere tra altri!). Ma le diversità non debbono diventare decisive per il riconoscimento dei nostri rapporti, perché il perdono è la prima caratteristica del rapporto tra Dio e noi, perciò anche per i rapporti tra uomo e uomo, tra uomo e donna, tra la gente. La prima condizione non è l’attrattiva, ma il perdono.

 

Una solidarietà è reale e non sentimentale quando il movente, la ragione che la determina non è parziale, strumentale, ma è la persona nella sua totalità, cioè la persona nel suo destino.

 

Inoltre, non siamo in convento, siamo laici nel mondo. Ma una regola per laici nel mondo, applica gli stessi  valori ascetici del convento alla nostra vita, educandoci alla coscienza di essere come dipendenza. Soltanto che in un convento ci sono tutte le regole che definiscono nei dettagli l’organizzazione fino a chi comanda. Nella Fraternità, invece è più semplicemente come una questione di principio, un punto di dipendenza ultima, ed è a fisarmonica: uno può essere nelle condizioni di viverlo cento e uno può essere nelle condizioni di doverlo vivere uno. Vivete anche tra voi questa semplicità.

 

Responsabilità e struttura. Per questa sua natura,

la responsabilità della Fraternità è totalmente di coloro che la vivono, totalmente!  Ogni singolo gruppo è così autonomo che decide della propria regola. 

Il gruppo della Fraternità è assolutamente indipendente dalla struttura del movimento. Non però indipendente dal movimento, anzi è il vertice, il cuore, la radice della verità del movimento.

La struttura del movimento è uno strumento intelligente, laborioso e generoso di servizio.

Il movimento è l’esperienza dell’uomo, e quindi una trama sociale di gente che vive quell’esperienza.

 

Tre sono i punti della regola da salvaguardare:

– la preghiera;

– la partecipazione al fondo comune (come simbolo e segno di povertà);

– un’ultima obbedienza alla Diaconia centrale, che ha la responsabilità di tutti i gruppi di fronte alla Chiesa. “Ultima obbedienza” perché, non è che la Diaconia potrà pretendere di entrare nei dettagli della regola o nella pratica della vostra vita di Fraternità, se non per indicare una strada di ascesi in sintonia con l’esperienza del movimento, oppure per correggere, se ci fossero degli errori clamorosi.

È come una salvaguardia, da una parte, e una direzione ideale, dall’altra.

 

Raccomandazioni:

– Ogni gruppo, secondo la tradizione educativa del movimento, fissi una persona che svolga, per il tempo che il gruppo stabilisce, un’azione di richiamo, di coagulo e di servizio agli altri.

– Ogni gruppo è augurabile che abbia un prete (non necessariamente del movimento, ma che sia intelligentemente e cordialmente simpatetico e immedesimato con l’esperienza del movimento), come presenza al suo interno o come riferimento per consiglio e aiuto. 

– La Fraternità come tale assicura un aiuto spirituale attraverso l’organizzazione di un ritiro periodico (per singoli gruppi o per più gruppi insieme) con particolare riferimento al tempo liturgico. Non è che chiunque sia obbligato ad andare, ci va chi vuole, perché tutto questo è all’insegna dell’assoluta libertà.

 

Più liberi di così si muore. Ma anche più profondamente inscritti di così dentro l’esperienza del movimento si muore. Perché l’opera che dobbiamo realizzare è il movimento, cioè che questa esperienza di fede e di umanità si approfondisca e si diffonda il più possibile. 

 

 

Giorgio Canu

 

 

(don Giussani, Esercizi Fraternità Rimini 1985- appunti non rivisti dall’autore).

(Giussani, l’Opera del movimento, La Fraternità di Comunione e Liberazione – San Paolo 2002)

(Appunti dalla sintesi di don Giussani ai primi Esercizi spirituali della Fraternità. Rimini, 1982 in https://it.clonline.org/tracce/pagina-uno/l-opera-del-movimento)

 


 

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