Una interessante riflessione del prof. Francis A Grabowski III sull’editoriale del New York Times che adattava alcuni passi ripresi dall’ultimo libro pubblicato da Papa Francesco intitolato “Ritorniamo a sognare”.
L’articolo è stato pubblicato su Crisis Magazine e lo propongo alla riflessione dei lettori di questo blog nella mia traduzione. Le parti in neretto sono mie.
Molti cattolici sono stati probabilmente sorpresi di vedere il nome di Papa Francesco apparire sulla pagina dell’op-ed (editoriale, ndr) del New York Times. L’articolo – che in realtà era un estratto del suo nuovo libro Ritorniamo a sognare – conferma ciò che già sapevamo: la pandemia del coronavirus ha pesato molto sulla mente del Santo Padre.
Come tutte le crisi, dice Francesco, anche questa ha avuto i suoi attori buoni e cattivi. Tra i buoni ci sono gli operatori sanitari il cui disinteressato riguardo per gli altri ci ricorda che la vita non va misurata in base alla sua lunghezza, ma piuttosto in base a come viene messa al servizio. Non tutti, però, hanno servito in modo disinteressato. A differenza degli operatori sanitari e di altri “anticorpi contro il virus dell’indifferenza” sono coloro che hanno protestato contro i lockdown, si sono rifiutati di mantenere le distanze e hanno marciato contro le restrizioni di viaggio.
Questi manifestanti, che Francesco considera “egoisti”, sono i cattivi attori della pandemia. Giudicano tutto attraverso il prisma della libertà personale e si oppongono agli sforzi del governo per mettere il benessere dei cittadini al primo posto. Abbiamo sentito opinioni simili sui manifestanti da parte delle autorità statali e delle personalità dei media, ma per il Papa esprimerle è significativo e degno di considerazione.
Secondo Francesco, le azioni dei manifestanti sono vergognose perché non mirano al “bene comune”. Scrive sul Times: “Guardare al bene comune è molto di più della somma di ciò che è buono per gli individui. Significa avere un occhio di riguardo per tutti i cittadini e cercare di rispondere efficacemente alle esigenze dei meno fortunati”. Purtroppo, né sul Times né su Fratelli Tutti spiega cosa significa “avere un occhio di riguardo per tutti i cittadini”.
Spesso Francesco identifica la guerra, la povertà, la fame e i cambiamenti climatici come ostacoli al bene comune. Allo stesso modo, egli sostiene in Fratelli Tutti che soddisfare i bisogni materiali fondamentali delle persone è fondamentale per assicurare che il bene comune sia raggiunto e che sia preservato un significativo senso di libertà. Eppure l’op-ed [del NYT] non dice nulla sulle difficoltà spirituali di coloro che, a causa delle restrizioni del governo, si sono visti negare l’Eucaristia. Perché Francesco non sottolinea l’importanza della libertà religiosa? Perché tratta la libertà come una questione politica: il rapporto tra l’uomo e lo Stato, e non tra l’uomo e Dio? Dopo tutto, “dove c’è lo Spirito del Signore, c’è la libertà”.
Gli antichi israeliti sapevano che la libertà significava più dell’autonomia politica. Per loro la libertà era fondamentalmente religiosa. Significava praticare il culto nel modo giusto. Gli israeliti imploravano il faraone: “Andiamo a offrire sacrificio al nostro Dio”. Queste parole non erano un semplice atto di resistenza politica, ma riflettevano la volontà di Dio: “Lascia andare il mio popolo, perché mi serva nel deserto”.
A un certo punto il faraone cercò di negoziare con Mosè. Gli israeliti, disse, avrebbero avuto il permesso di adorare, ma solo entro i confini dell’Egitto. Ma gli israeliti rifiutarono qualsiasi compromesso. Mosè insistette affinché al suo popolo fosse permesso di lasciare la terra della loro prigionia, per servire Dio come Dio stesso voleva essere servito. E’ bene ripetere: la libertà cercata dagli israeliti non era per servire se stessi, ma piuttosto per servire un altro. È comprensibile che chi vede tutto attraverso una lente politica consideri l’Esodo come un atto di ribellione politica, ma il testo chiarisce che la libertà ricercata era la libertà di servire il Signore dandogli il giusto culto.
Nello Spirito della Liturgia, papa Benedetto capisce cosa significava per gli israeliti la fuga dall’Egitto: era meno una fuga dal faraone che un viaggio verso Dio. Come egli spiega: “La terra è data al popolo per essere un luogo per il culto del vero Dio. Il semplice possesso della terra, la mera autonomia nazionale, ridurrebbe Israele al livello delle altre nazioni”.
Questo è un punto di una tale importanza eppure spesso trascurato. La storia umana è piena di rivoluzioni. Nel corso dei secoli le persone hanno lottato per liberarsi dalla tirannia e dall’oppressione per garantire le libertà personali e le libertà civili. Ma il caso di Israele è diverso. Non sono stati motivati da sogni democratici e valori libertari, ma dall’amore per Dio e dal desiderio di glorificarlo.
Come osserva Benedetto, la Terra Promessa “diventa un vero bene, un vero dono, una promessa mantenuta, solo quando è il luogo dove Dio regna”. Gli israeliti non aspiravano a diventare dei, padroni del proprio dominio. Hanno capito che la vera libertà si trova solo compiendo la volontà di Dio. Come spiega Benedetto: “Il servizio di Dio, la libertà di dare il giusto culto a Dio, appare, nell’incontro con il faraone, come l’unico scopo dell’Esodo, anzi, la sua stessa essenza”.
Papa Francesco ha diritto alle sue opinioni su come le persone hanno risposto alla pandemia. Su una cosa ha certamente ragione: alcuni hanno agito in modo irresponsabile. Ma qualificare tutti i manifestanti come egoisti e narcisisti è sconsiderato e poco caritatevole.
Francesco continua dicendo in Ritorniamo a sognare: “Non troverete mai tali persone a protestare contro la morte di George Floyd o che si uniscono a una manifestazione perché ci sono baraccopoli dove i bambini non hanno acqua o istruzione”. Sembra un po’ presuntuoso. Come fa a saperlo?
Più avanti nel testo, ricorda due infermiere che lo aiutarono a superare una malattia quando era giovane. “Cornelia e Micaela”, dice, “sono in paradiso ora”. Lo sono davvero? Come può esserne sicuro?
La pandemia ha fatto emergere il meglio e il peggio in molti di noi. Servire il nostro prossimo durante questa crisi dovrebbe essere una priorità, ma servire il nostro Padre Celeste dovrebbe essere la nostra massima priorità, sempre e ovunque. Giudicare duramente gli altri e imputar loro motivi non cristiani sarà di scarso conforto per chi soffre del virus e non ci avvicinerà a Dio.
Celebrare la Passione di Cristo e ricevere l’Eucaristia, invece, lo farà. Rendiamo a Cesare ciò che è di Cesare, ma preghiamo anche che i nostri capi religiosi, come Mosè, abbiano il coraggio di agire come buoni pastori per protestare contro le dannose restrizioni imposte al giusto culto e di riportare le loro greggi nei luoghi sacri dove Dio può essere di nuovo servito dai suoi fedeli obbedienti come Egli ha voluto.
Francis A Grabowski III è professore di filosofia alla Rogers State University.
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