Rilancio il commento canonistico e giuridico dell’Avv. Fabio Adernò, pubblicato sul blog di Marco Tosatti, sulla decisione dirompente della Conferenza Episcopale Italiana di sospendere fino al 3 aprile prossimo qualsiasi celebrazione. Lo rilancio perché ritengo dica cose degne di riflessione.

La messa è finita, film di Nanni Moretti del 1985

La messa è finita, scena dal film di Nanni Moretti del 1985

 

La messa è finita.

È di queste ore la sconfortante notizia che la Conferenza Episcopale Italiana, con in prima fila la Diocesi di Roma, ha disposto la sospensione di ogni tipo di celebrazione, anche esequiale, “almeno” fino al 3 aprile prossimo (il venerdì della prima settimana di Passione, prima della Domenica delle Palme).

La decisione presa risulta essere stata assunta in conformità al decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri italiano del 4 marzo scorso, e alle nuove disposizioni della stessa emesse oggi, 8 marzo, con le quali si impone la sospensione delle «cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri» (art. 2, lett. v).

L’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della CEI, in data odierna, ha accennato ad una presunta “interpretazione autentica” delle disposizioni governative che ricomprenderebbe non solo cerimonie straordinarie ma ogni Santa Messa.

Nelle disposizioni appena diffuse dal Vicariato di Roma a firma del Card. De Donatis si legge che «sono sospese le celebrazioni liturgiche comunitarie» esplicando subito dopo tra parentesi «(eucaristie feriali e festive, esequie, etc.)».

Sic stantibus rebus, da ora fino al 3 di aprile la totalità dei cattolici italiani – come già quanti abitavano nella cosiddetta “zona rossa” – saranno privati del conforto dei sacramenti, e a nulla vale sottolineare – crediamo –  che «le chiese rimangono aperte per la preghiera personale».

Una decisione simile apre una serie di riflessioni che si affollano a cascata nel cuore e nella mente di quanti, già impauriti e sconfortati dal clima di ansia e di paura che si respira ovunque, hanno tutto il diritto di ricevere il sostegno spirituale ed il sollievo sacramentale del Cibo dell’anima da parte dell’unica realtà, incarnata e visibile, che per divina istituzione ha un unico e solo fine “costituzionale” (cfr. can. 1752 CIC): la salvezza delle anime!

Negare il conforto sacramentale alle anime di quanti, tanto vivi quanto morti (sic!), sono nel bisogno è una gravissima omissione dolosa del mandato di Cristo alla Chiesa e ai suoi ministri che sono chiamati ad assolvere al dovere di dispensare i mezzi di salvezza in ogni umana circostanza, in pace e in guerra, rischiando anche la vita se necessario.

Eppure questa decisione annienta il mandato di Cristo, e lo subordina – per volontà di coloro ai quali è affidato, per divina volontà, di pascere il Popolo di Dio (cfr. can. 1008 CIC) – a una disposizione secolare di un governo che, nonostante l’indipendenza e la sovranità tra Stato e Chiesa consacrate dall’art. 7 della Carta Costituzionale, si spinge a interpretare da sé il significato dell’espressione “cerimonie religiose” identificando con esse “ogni Santa Messa anche esequiale”.

Tale interpretazione, d’altra parte, viene poi accettata supinamente dall’Autorità Ecclesiastica del territorio italiano e fatta propria, con una pedissequa applicazione.

Tuttavia si tratta sia di una interpretazione illegittima (perché non spetta all’autorità statale identificare la natura di cosa sia o meno una “cerimonia religiosa”, bensì all’Autorità Ecclesiastica), ma più ancora di una disposizione che lede, insieme, l’autonomia e la sovranità “nel proprio ordine” della Chiesa Cattolica (cfr. art. 7 cost.) e, al tempo stesso, la libertà religiosa del singolo cittadino cattolico al quale, è vero, non è impedito di entrare in chiesa, ma di fatto è proibito esercitare il proprio credo religioso, in aperto contrasto alla libertà di culto riconosciuta dalla Costituzione (cfr. art. 19 cost.) d’uno stato in cui vige un regime concordatario.

Una applicazione sensata della disposizione del Governo – che qui non si vuole né minimizzare né biasimare per la sollecitudine con la quale s’intende fronteggiare l’emergenza della propagazione d’una infezione virale – avrebbe dovuto richiedere un approccio di gran lunga più equilibrato e prudente da parte dei pastori, e sicuramente meno supino e ciecamente arrendevole d’una disposizione che da un fine prettamente precauzionale assume tonalità fattualmente sanzionatorie.

Avrebbe dovuto applicarsi con più ragionevolezza il can. 838 del Codice di Diritto Canonico che sancisce che spetta «unicamente all’autorità della Chiesa» regolare la Sacra Liturgia, implementando la possibilità di accedere ai sacramenti, cioè moltiplicando le celebrazioni durante le giornate, in modo tale da permettere una partecipazione più diffusa e, al tempo, più controllata ai Riti, magari applicando, di volta in volta, un criterio di conteggio numerico proporzionato alla capienza delle singole chiese, nelle quali, d’altra parte, disporre un sistema di igienizzazione continua tra una celebrazione e l’altra.

Invece il nichilismo razionalista ha preso il sopravvento anche su coloro i quali dovrebbero essere gelosi dispensatori dei mezzi salvifici anche nelle condizioni più perigliose, e la paura – che è quasi sempre la prima nemica della ragione e la costante nemica della fede – ha pietrificato cuori e menti portando ad un congelamento del Sacro, anestetizzando ogni pulsione di speranza e di fiducia nella trascendenza, annientando ogni approccio soprannaturale alle presenti contingenze di collettiva agitata preoccupazione.

Nei fatti, d’un colpo solo si nega tutta la libertà di culto ai cattolici che non solo non potranno accedere ai sacramenti ma sarà loro, di fatto, impedito di radunarsi in comunità: e cos’è la Chiesa se non comunità che vive dei sacramenti, in cui la liturgia è fonte e culmine della vita del cristiano (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 10)? Cos’è la Chiesa se non propriamente assemblea dei credenti secondo l’espressione paolina ripresa dal Catechismo al n. 752?

È logico infatti ipotizzare – applicando un semplice principio analitico consequenziale – che insieme alle Messe anche l’amministrazione degli altri mezzi di salvezza sarà facilmente ostaggio dell’igienismo, per cui battesimi, cresime, e persino l’unzione degli infermi potranno avere gravi compromissioni e significative limitazioni, con un ingente danno spirituale per le anime e dei vivi e dei morti.

E già, perché nemmeno i defunti potranno ricevere i conforti religiosi delle esequie, cagionando un ulteriore evidente abominio agli occhi del Creatore, già privato del suo culto pubblico.

La facilità con la quale la Chiesa italiana si allinea alle disposizioni governative apre uno scenario molto rischioso per la libertas Ecclesiae, di fatto assai compromessa anche da un punto di vista formale, oltre che sostanziale, e giuridico.

La limitazione della libertà di culto, si sa, ha il suo margine essenziale solo nel “buon costume” (art. 19 cost.) né può applicarsi al caso l’art. 32 della Costituzione che tutela la salute pubblica, poiché le disposizioni di legge di cui alla norma primaria non possono integrare la lesione di un diritto soggettivo quale è quello di «professare liberamente… in qualsiasi forma, individuale o associata, in pubblico e in privato» la propria fede religiosa.

Appare sempre più evidente quanto la prudenza, l’auriga virtutum tanto celebrata dall’Aquinate (cfr. II Sent., d. 41, q. 1, a. 1, ob. 3), sia una tra le virtù più sconosciute al giorno d’oggi, e come la frettolosità dell’allineamento pratico conduca ad un oblio di secoli e secoli di preghiere e di azioni a supporto della fede del popolo, che nemmeno in tempi oscuri come quelli delle pestilenze e delle carestie, hanno mai subito limitazioni, ma che anzi hanno avuto incrementi maggiori per impetrare l’azione prodigiosa e salvifica di Dio.

Secoli e secoli di processioni penitenziali durante epidemie di peste e di colera, di messe tempore pestilentiae, di suffragi, di voti pubblici di borghi, città, di nazioni intere cancellate da una disposizione statuale che la Chiesa accoglie prona, mettendosi alla stregua di qualsivoglia realtà temporale, mostrandosi sorda alle esigenze vere delle anime che cercano in Lei conforto e speranza.

Il terrore ha preso il sopravvento, come nelle epoche più buie della Cristianità, e tristemente constatiamo come la Chiesa abbia smesso il suo ruolo di “segno di contraddizione”  e si sia allineata, inerme, alla confusione, mancando persino di assicurare agli spiriti che gl’incruenti Sacrifici Eucaristici si leveranno ugualmente, nonostante ogni contingenza, sugli altari d’ogni angolo d’Italia per impetrare a Dio la fine di questa infezione, dando così triste e sconfortante dimostrazione d’una crescente apostasia dilagante che sacrifica i diritti di Dio alle psudo-impellenze degli uomini.

Agli uomini e alle donne d’Italia, anziché chiudere le porte delle chiese si sarebbero dovute spalancare le braccia, dando prova di vivere con spirito soprannaturale questa ulteriore prova della storia dell’umanità, sull’esempio dei grandi Santi dell’apostolato ospedaliero.

Tale approccio non vuol dire superficialità o leggerezza o, peggio, sottovalutare l’entità della problematica,   ma significa non privare anche del dovuto conforto spirituale quanti sono nel bisogno, nello sconforto, nell’abbandono. Ma ma la soluzione applicata vuol dire anche privare il mondo – in primis i non credenti – di una coraggiosa testimonianza di fede. E cos’è questo se non un scandalo?

La missione della Chiesa prescinde dalle contingenze storiche in cui vive: essa, Corpo Mistico di Cristo, ha saputo in ogni epoca conservare e dispensare i mezzi necessari alla salvezza dell’anima, non temendo coloro che possono uccidere il corpo (cfr. Mt 10, 28), ma amando sempre e solo il Giusto Crocifisso.

Abdicare a questa missione significa rinunciare al suo dovere primario, il conforto e la salvezza delle anime, in nome di una opzione pseudo-pastorale ambigua e orizzontale, che anziché alleviare le sofferenze dell’ora presente le aggrava con un vuoto immanente, sconsiderato, esasperante ben più grave e più lungamente dannoso per l’anima e il corpo.

Voglia Iddio avere pietà di noi, e confidiamo nelle intenzioni con le quali – sono certo – migliaia di sacerdoti “refrattari” applicheranno le loro Messe, anche se private, anche se celebrate come ai tempi della rivoluzione.

E anche se per molti, da oggi fino al 3 di aprile “la messa è finita” per noi continui ad “essere” (“Missa est”), essendo, come ha insegnato tra gli altri Padre Pio, “infinita” come Colui che in Essa è significato, offerto e ricevuto.

 

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