Riprendo ampi stralci di un bell’articolo della dott.ssa Giuliana Ruggieri, docente presso l’Università di Siena, specialista in trapianti di reni, pubblicato su Tempi (qui) di ieri.
Ha scritto Giuliano Guzzo a proposito del caso Alfie che «non era mai successo che un innocente, il diritto, la medicina e la logica fossero eliminati tutti insieme», ed è vero. È stata compromessa l’integrità della medicina, perché i suoi scopi sono guarire qualche volta, curare spesso, prendersi cura del malato sempre. Nel contesto delle cure palliative si usa l’espressione “trattamenti futili” e ci si riferisce al concetto di “futilità”. Ma la futilità dei trattamenti è sempre riferita alle terapie in atto, non certo alla vita umana. La medicina attraverso l’esame obiettivo, le indagini strumentali e avvalendosi della competenza e collaborazione della comunità scientifica (i congressi scientifici servono a questo) mira a trattare, combattere e possibilmente eliminare la malattia: non il malato! Gli ospedali sono nati per difendere la vita, non per erogare la morte.
Credevamo che nessun medico potesse togliere la vita a un bambino solo perché non è possibile guarirlo. Soprattutto in presenza di una malattia che, come nel caso di Alfie, non è stata ancora diagnosticata. Accelerare il suo decesso significa anche rinunciare ad arrivare alla diagnosi, e con ciò ci si assumono gravi responsabilità con riferimento a possibili future gravidanze della coppia. E tutto questo avviene mentre colleghi di ospedali europei di alto livello assicurano che è possibile fare approfondimenti e curare fino alla fine il piccolo senza accanimento terapeutico. E mentre lo stesso giudice a ritenere assai «improbabile» che Alfie soffra. A differenza del caso di Charlie Gard, qui non si possono chiamare in causa la sofferenza o l’accanimento terapeutico; a far decidere di interrompere le cure è la semplice convinzione della futilità della vita di Alfie nelle attuali condizioni.
È stato compromesso il diritto, nel momento in cui i giudici, anziché difendere il diritto alla vita di un essere umano, si sono arrogati il potere di negare a lui la possibilità di sopravvivere e ai suoi genitori la capacità di decidere in merito, stabilendo che essi sono responsabili del “benessere” dei figli, non della loro vita come tale. E il benessere del figlio, il suo “best interest”, coincide con la morte.
È stata fatta a pezzi la logica, perché si è affermato che è pericoloso trasportare un bambino per il rischio di convulsioni e nello stesso tempo che doveva essere staccato definitivamente il respiratore, con conseguente soffocamento e morte. Perché è stata esclusa a priori la categoria della possibilità, che è alla base di ogni scoperta scientifica e di tutti i progressi della medicina. Ed è stata fatta a pezzi anche l’umanità, quando il padre è costretto a fare la respirazione bocca a bocca al bambino che non è deceduto dopo la sospensione della ventilazione, a ricorrere a ogni astuzia per nutrirlo e idratarlo. Ha ragione Matilde Leonardi, neurologa e pediatra dell’Istituto Carlo Besta, che dice: «Alfie è il primo caso di accanimento non terapeutico della storia della medicina». Si può aggiungere che è un caso di accanimento ideologico sulla pelle di un innocente e della sua famiglia.
Quello che sta accadendo costringe tutti a porsi ancora una volte le grandi domande, quelle sul senso della vita, accompagnate dallo sbigottimento per le conseguenze a cui porta il mancato riconoscimento della sacralità della vita, Viene infatti da chiedersi: «Come è possibile, nell’era dei diritti e delle infinite possibilità, che una morte al prezzo della vita sia più accettabile e sostenibile della vita stessa?». Sotto a questa sta la domanda delle domande: «La nostra vita è eterna, oppure finisce nel nulla?». La risposta del credente suona così: «Questo uomo-Dio – Gesù di Nazareth morto e risorto e presente nella Chiesa, Suo Corpo misterioso – definisce l’istante come inizio di una storia da cui sì genera il volto eterno della persona umana e della compagnia umana. L’Eterno abbraccia e trascina con sé ogni virgola della nostra vita presente». (Luigi Giussani, Giubileo del 2000). È nel rapporto con l’Eterno che si genera il valore della singola persona. Non riconoscere questo rappresenta una resa dell’umano. Se invece lo si riconosce, allora la medicina diventa “arte”, ha a che fare con con il valore eterno e sacro di ogni essere umano, ha a che fare con la santità, di cui noi medici abbiamo segni splendenti a noi vicini e cari come san Riccardo Pampuri e san Giuseppe Moscati. (...)
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