Riporto un puntuale ed interessante articolo di Wolfgang Münchau, editorialista del prestigioso Financial Times, il cui contenuto merita attenzione.

Eccolo nella mia traduzione.

Foto: presidente del consiglio incaricato Conte

Foto: presidente del consiglio incaricato Conte

E’ un peccato che così tanti europei considerino l’integrazione europea come un atto di fede. Il dibattito di Brexit contrappone i veri credenti europei agli scettici atei, ed è per questo che stiamo parlando di due proposte altrettanto assurde: un secondo referendum e un duro Brexit.

Gli italiani trattano la questione dell’adesione all’euro in modo analogo. O appartenete a questo campo, o all’altro. Se siete, come me, da qualche parte nel mezzo, le persone si sentono confuse. Credo sia ragionevole che un paese in difficoltà come l’Italia rimanga nella zona euro fintantoché vi sia la più remota speranza che il rapporto sia sostenibile.

E’ stato il pro-europeismo incondizionato dei passati leader italiani a provocare l’attuale contraccolpo nazionalista. I governi precedenti avevano accettato una legislazione europea profondamente contraria agli interessi italiani.

Nel calcolo del disavanzo massimo consentito si è tenuto conto dei contributi dell’Italia al Meccanismo europeo di stabilità, l’ombrello di salvataggio del blocco.  Poi l’accettazione di una legge sulla risoluzione delle crisi bancarie che lascerebbe senza protezione migliaia di risparmiatori italiani. E, soprattutto, l’accordo del 2012 per l’accettazione del fiscal compact, che di fatto impone all’Italia di gestire bilanci in pareggio. Se gli ex Primi Ministri fossero stati più spietati, il contraccolpo anti-europeo sarebbe stato più lieve.

Trovo altrettanto sciocco che il Movimento Cinque Stelle e la Lega abbiano sollevato la questione di un confronto totale con l’Unione europea come hanno fatto. L’idea di chiedere alla Banca Centrale Europea di cancellare il debito italiano acquistato nell’ambito del programma di Quantitative Easing era folle. L’idea è apparsa in un primo progetto di accordo di coalizione ed è stata successivamente abbandonata. E’ assurdo su più livelli. Per cominciare, la maggior parte del debito italiano è detenuto dalla Banca d’Italia, non dalla BCE.

Il mio primo consiglio è di abbandonare l’unilateralismo e adottare una visione transazionale, stabilendo le condizioni che consentirebbero all’Italia di rimanere e prosperare nell’area dell’euro.

Come prima priorità, Giuseppe Conte, primo ministro italiano, dovrebbe assumere una posizione forte al Consiglio europeo di questo mese nel dibattito sulla governance della zona euro. Angela Merkel ha respinto praticamente ogni parte sostanziale delle riforme proposte da Emmanuel Macron. Conte dovrebbe prendere in considerazione l’idea di sostenere il presidente francese per far ricadere sul cancelliere tedesco i costi esorbitanti di un “no” tedesco. Pedro Sánchez, il leader del partito socialista che ha prestato giuramento sabato come primo ministro spagnolo, potrebbe contribuire a rafforzare tale alleanza.

Il presidente Conte dovrebbe sottolineare che una zona euro non riformata ha scarse possibilità di sopravvivenza. Finora, l’argomento migliore perché l’Italia rimanga nell’euro è quello di sperare che la zona euro alla fine venga riformata. Se sappiamo per certo che ciò non accadrà, l’argomento cambia. Non è la politica italiana a uccidere l’euro, ma la mancanza di riforme nella zona euro e la massiccia eccedenza delle partite correnti della Germania.

Il modo migliore per affrontare la politica della zona euro è dall’interno. L’Italia potrebbe usare il suo peso nelle prossime nomine dei posti di lavoro più importanti dell’UE: i presidenti della Commissione europea, del Consiglio europeo e della BCE. Ci sono accordi e compromessi da fare. Non parlare di un’uscita unilaterale fino a quando tutto il resto non sarà fallito.

In secondo luogo, l’impulso fiscale keynesiano delineato dal governo di coalizione italiano è ben intenzionato, ma troppo ampio. Dovrebbero attenuarlo e accompagnare una politica di bilancio moderatamente espansionistica con riforme strutturali mirate al settore bancario, al sistema giudiziario e alla pubblica amministrazione.

In terzo luogo, non c’è nulla di sbagliato in un vero piano B, un elenco di misure da attuare se una crisi rendesse insostenibile il mantenimento dell’adesione all’area dell’euro. Sarei sorpreso se il governo precedente non avesse un piano del genere nel cassetto. Ma il piano A deve essere contrastato: creare una situazione che porterebbe inesorabilmente all’uscita dalla zona euro.  Sono stati i sospetti di un tale piano a persuadere Sergio Mattarella, il presidente italiano, a porre il veto a Paolo Savona in qualità di ministro delle Finanze.

E infine, non pensare nemmeno di chiedere agli elettori di votare sull’adesione dell’Italia all’euro. Sarebbe controproducente per qualsiasi politico che osi porre le domande. L’uscita dall’area dell’euro è un incidente a cui prepararsi, non un risultato da ricercare. Dubito che un governo italiano sopravviverebbe.

Per quanto riguarda il resto di noi, dovremmo smettere di trattare questo nuovo governo come uno shock inaspettato. Il governo populista è la logica conseguenza di vent’anni di cattiva gestione economica da parte del centro-sinistra e del centro-destra italiani. Questo è ciò che ha causato il pasticcio.

Se siete davvero favorevoli all’euro, il mio consiglio è di smettere di trattare l’euro come un articolo di fede, ma di lottare per la sua sostenibilità. Questa lotta non può essere vinta solo in Italia. Richiede grandi cambiamenti politici anche a Bruxelles.

 

Fonte: Financial Times

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