La questione della presenza o meno del linguaggio che può essere riassunto dall’acronimo LGBT nella testo finale del Sinodo sta facendo discutere molti. Non è una questione di lana caprina. Ci auguriamo che, come ipotizza Sandro Magister nel suo articolo di ieri (qui), il termine LGBT ed il linguaggio sottostante non compaiano nella testo finale. Temiamo però il rischio che non si usi esplicitamente l’acronimo LGBT, ma si usi comunque il suo concetto ed il suo linguaggio con altre parole. A tal proposito, ci sembra utile dare un approfondito ragguaglio delle posizioni emerse tra i padri sinodali. Un tale ventaglio di posizioni dà anche la dimensione di come tale questione è riflessa nella Chiesa universale, quanto meno a livello di pastori.
Per questo vi proponiamo questa interessante analisi fatta da Ed Condon sul Catholic News Agency (CNA).
Eccola nella traduzione di Annarosa Rossetto.

Mentre a Roma la quindicesima sessione generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi si avvia alla conclusione dovrebbe uscire da un momento all’altro, il testo proposto per il documento finale (che in effetti è uscito. Questo, ad ogni modo, dovrà comunque essere approvato nella votazione finale, ndr).
Il sinodo è stato voluto per affrontare i temi dei giovani, della fede e del discernimento vocazionale.
Durante tutto il sinodo, si è anche discusso se il documento finale dovrà includere un nuovo linguaggio per rivolgersi a persone che provano attrazione per lo stesso sesso, come fa il documento di lavoro del sinodo, o Instrumentum Laboris.
Se il “nuovo linguaggio” sarà incluso nel documento finale, è probabile che diventi il punto focale dell’attenzione dei media cattolici e laici dopo la pubblicazione del documento. Indipendentemente dalla ricchezza o profondità del testo finale del sinodo, per molti l’intero incontro potrebbe essere riassunto – o meno – in quattro lettere: LGBT.
Un sondaggio sulla copertura delle notizie mostra che la questione del linguaggio LGBT ha già finito per dominare l’attenzione dei media e le riflessioni pubbliche di molti dei partecipanti. Ed è evidente come siano in corso campagne di sostegno per includere tale linguaggio.
Una questione di rispetto?
L’uso del termine “LGBT” nel documento di lavoro del sinodo ha causato una tempesta questa primavera. Il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del sinodo, ha inizialmente affermato che questo termine era stato ripreso da un documento pre-sinodale approntato dai giovani durante un incontro preparatorio tenutosi a Roma dal 19 al 24 marzo. L’acronimo, infatti, non compare nel documento pre-sinodale.
Ma mentre l’inclusione della terminologia “LGBT” ha attirato l’attenzione, ha ottenuto il sostegno pubblico solo da parte di una piccola minoranza di partecipanti al sinodo.
Durante una conferenza stampa la scorsa settimana, il card. John Ribat di Papua Nuova Guinea è sembrato voler riassumere tale sostegno. Ha detto che la Chiesa dovrebbe parlare ai giovani “col linguaggio che essi usano”.
I giovani vogliono che la Chiesa “ci chiami e si rivolga a noi in questo modo perché questo è ciò che siamo”, ha detto il cardinale.
Ribat faceva eco agli argomenti dei chierici e altri che affermano che il rispetto per i cattolici che provano attrazione per persone dello stesso sesso richiede di rivolgersi loro come loro parlano di sé stessi.
Questi argomenti vanno oltre l’uso di un acronimo specifico. Essi si applicano anche alle discussioni sul sinodo sul fatto che termini come “famiglia” e “matrimonio” possano e debbano essere usati in modi ridefiniti dalla cultura occidentale contemporanea.
Alcuni cattolici, e molti al di fuori della Chiesa, si chiedono quale grosso problema possa essere.
Ma per molti vescovi, la spinta a utilizzare ciò che viene spesso definito “rispettoso” o “inclusivo”, in realtà porta con sé – intenzionalmente o meno – una serie di problemi.
Il primo è l’evidente fusione, come illustrato dal Cardinale Ribat, delle opinioni di tutti i giovani con quelle dei giovani che si identificano con il movimento “LGBT”. Ci sono molti giovani cattolici, tra cui molti che provano attrazione per lo stesso sesso, che si oppongono alla campagna politica e culturale che propone “l’identità sessuale”. In effetti, al di là di alcune eccezioni cui il segretariato del sinodo ha dato rilievo, è difficile vedere un reale coro di sostegno per l’adozione di un nuovo linguaggio.
Inoltre, i critici affermano che l’uso del linguaggio LGBT è diventato l’abbreviazione di uno sforzo per importare le “politiche di identità” dell’Occidente nel pensiero e nel linguaggio della Chiesa. Coloro che sono favorevoli all’adozione della sigla (LGBT, ndr) nel vocabolario ufficiale della Chiesa sostengono che non rappresenta un cambiamento nell’insegnamento della Chiesa, ma solo una posizione di dialogo e rispetto.
Cosa ci definisce?
I vescovi del Sinodo sembrano essere interessati in modo uniforme alla domanda su come presentare l’insegnamento della Chiesa sulla sessualità ai giovani cresciuti in una cultura definita dalla “politica dell’identità”, che inquadra questioni come il matrimonio omosessuale come una questione di “diritti umani”.
Ma il consenso si infrange sulle proposte che sembrano adottare il linguaggio contemporaneo della sessualità come il linguaggio di identità.
L’arcivescovo Charles Chaput di Filadelfia ha usato uno dei suoi interventi durante il sinodo per evidenziare, in termini aspri, ciò che considera l’errore dietro l’etichetta “LGBT”.
“Non esiste un “cattolico LGBTQ” o un “cattolico transgender” o un “cattolico eterosessuale” ha detto Chaput al sinodo “come se i nostri appetiti sessuali definissero chi siamo; come se queste designazioni descrivessero comunità distinte di diversa ma uguale integrità all’interno della vera comunità ecclesiale, il corpo di Gesù Cristo”.
Come molti paesi occidentali hanno imparato negli ultimi anni, la divisione di un’identità comune in circoli identitari più piccoli comporta una perdita diretta di unità per il tutto. Nel contesto della Chiesa, alcuni vescovi sostengono che il linguaggio dell’identità sessuale non è una questione di inclusione o esclusione, ma una questione di ecclesiologia e dignità umana.
Alcuni dei più accesi sostenitori del linguaggio LGBT nella Chiesa hanno sostenuto che l’adozione di questo vocabolario è una parte essenziale della difesa della “dignità” dei cattolici attratti dallo stesso sesso. Fr. James Martin, sacerdote gesuita e importante sostenitore di questa causa, ha affermato che “le persone hanno il diritto di darsi un nome e [LGBT] è il nome che hanno scelto”.
Altri, come il cardinale Wilfrid Napier di Durban, il cardinale più importante dell’Africa e una delle figure più schiette del sinodo, hanno contestato questo argomento, sottolineando che questo tipo di linguaggio eleva qualcosa che la Chiesa definisce come un’inclinazione disordinata in una caratteristica che definisce la persona.
“Perché definire le persone in base alla loro inclinazioni o preferenze o pratiche sessuali? Soprattutto quando contrastano con la natura, la legge, la tradizione e l’insegnamento della Chiesa? “Napier ha chiesto su Twitter.
Napier e altri sostengono che la Chiesa riconosce gli esseri umani per non come si definiscono ma come creature create a immagine di Dio. Il battesimo, sostengono ancora, definisce il cristiano come figlio di Dio e membro del Corpo di Cristo nella Chiesa.
Questi vescovi sostengono che il linguaggio della auto-identificazione mentre è centrale nel pensiero liberale postilluminista, è in netto contrasto con la teologia cattolica perché insiste sul fatto che gli esseri umani sono definiti dai loro desideri piuttosto che dal fatto di essere creature fatte a immagine del loro Creatore.
La terminologia LGBT, sostengono, fa avanzare l’idea di una “dignità della differenza” radicata in un particolare desiderio sessuale, piuttosto che una comune dignità derivata dall’unità di essere tutti ad immagine di Dio.
Tempesta in un bicchier d’acqua?
Mentre il dibattito su un acronimo potrebbe sembrare una tempesta in un bicchier d’acqua, molti vescovi sostengono che quelle quattro lettere suggeriscono una visione del mondo in cui l’uomo è definito in relazione a se stesso e agli altri, ma non a Dio.
Come un osservatore presente al sinodo ha sintetizzato in modo chiaro alla CNA: “Parafrasando James Carville – è l’antropologia, stupido”.
Altri vescovi hanno cercato di sottolineare la necessità di spostare il sinodo oltre uno stretto dibattito su un particolare tipo di terminologia.
Mentre il Sinodo procede, e si delinea la produzione del suo testo finale, c’è il sentimento tra molti padri sinodali che la questione del linguaggio LGBT sia guidata da una piccola minoranza di partecipanti e da una forza molto più grande al di fuori della sala sinodale.
Rispondendo direttamente a un commento di padre Martin secondo il quale l’adozione della terminologia LGBT è stata una considerazione chiave per il sinodo, il Cardinale Napier ha detto di non sapere di quale sinodo stesse parlando Martin, poiché non ricorda che il termine sia stato menzionato più di due o tre volte, “uno forte ripudio dell’uso del termine nei documenti della Chiesa. ”
Tuttavia, alcuni vescovi affermano che il linguaggio comparirà nel documento, anche se non sembra avere una chiara base di supporto, sia tra i padri sinodali che tra i giovani cattolici.
Un giovane osservatore sinodale ha detto alla Cna che l’effettivo “dialogo” sul tema sembrava unilaterale, paragonando il piccolo gruppo che spingeva per l’inclusione del linguaggio LGBT ad un “gruppo di percussionisti in cerchio in un parco pubblico”.
“È un grande baccano fatto da un piccolo numero di persone, parlano molto di coinvolgerti, c’è una incessante ripetizione e non sembrano interessati a sentire altro che il rumore che stanno facendo”.
Tuttavia, durante una conferenza stampa il 23 ottobre, il cardinale Luis Tagle ha detto a proposito del linguaggio LGBT che la sua “impressione è che ci sarà”.
“Non è un sinodo che pretende di fornire tutte le soluzioni e tutte le risposte, soluzioni chiare e risposte chiare” ha aggiunto Tagle. “La vita non è chiara, e la vita dei giovani ora non è chiara davvero.”
Tuttavia, altri vescovi sembrano suggerire che un’antropologia più tradizionale si rifletterà nel documento.
L’arcivescovo Peter Comensoli di Melbourne, membro del comitato di redazione del documento finale, ha affermato la settimana scorsa che presentare l’insegnamento della Chiesa sulla sessualità significa riconoscere che tutti sono peccatori e che tutti hanno bisogno di essere trovati da Dio e ricevere il suo amore.
“Noi siamo anche i peccatori che siamo chiamati ad essere nella nostra vita ai piedi della croce. Quindi, nel senso di accogliere, di ricevere e di entrare nell’amicizia di Cristo, portiamo anche le nostre vite, me incluso, ai piedi della croce. E questo vale per ogni singola persona “, ha detto.
Un gruppo di discussione guidato dal card. Oswald Gracias, ha osservato che una “proclamazione della castità, come realizzabile e buona per i nostri giovani” è stata vistosamente assente nell’Istrumentum laboris, suggerendo che dovrebbe essere al centro di ogni discussione sulla sessualità.
Un altro gruppo, guidato dal card. Daniel DiNardo, ha evidenziato la “colonizzazione ideologica” dei paesi occidentali che legano gli aiuti economici e medici ad “un’accettazione dei valori morali occidentali nei confronti della sessualità e del matrimonio”, cosa che è stato recentemente osservato anche dal card. Souraphiel d’Etiopia.
Alcuni vescovi sembrano considerare l’intera questione una inutile distrazione. Come ha fatto notare l’intervento di Chaput, ciò che è necessario è “aver fiducia nel predicare Gesù Cristo senza esitazioni o scuse a ogni generazione, specialmente ai giovani”.
Mentre la sessione sinodale si avvicina alla fine, resta da vedere se la pressione per l’uso del linguaggio LGBT emergerà nel documento finale. Ma nonostante l’attenzione dei media, sembra chiaro che la maggioranza dei vescovi sinodali – forse addiritura una “unanimità morale” – cerca meno discorsi su LGBT e più discorsi su INRI.
Fonte: Catholic News Agency
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