Ricevo e volentieri pubblico. Il lettore, Marco Nardone, con questo testo risponde ad un suo amico che gli chiedeva un parere sulla lettera che Don Julián Carrón ha inviato al Corriere della Sera.

 

Julián Carrón si è dimesso da presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione
Julián Carrón già presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione

 

Carissimo,

In merito al parere che mi chiedi sulla lettera di Carron sul Corriere di oggi (30/3/2022), penso che sia la lettera di un uomo di fede e che la tesi di fondo sia giusta, però limitata. Il limite mi sembra stia nel fatto di fermarsi al particolare della testimonianza soggettiva, senza considerare gli altri fattori della realtà, cioè i contesti in cui il particolare acquista significato. Ciò stando a quanto espresso nella lettera, e senza nessuna pretesa di entrare nella mente di Carron.

Certamente non può esserci dubbio, secondo me, per quanto riguarda l’immediato, su chi sia l’aggressore e chi l’aggredito, né sul fatto che sia giusto reagire all’ingiustizia e battersi per la libertà: gli Ucraini che lo fanno ci stanno dando un esempio di grandezza dell’umano che noi, col nostro culto per la nuda vita, non riusciamo neanche più a capire. Come è verissimo – e va a merito di Carron ricordarcelo – che Cristo è, ultimamente, l’unica “cosa” per cui ne vale la pena, l’unico “oggetto” adeguato della nostra libertà: e non so quanto ciò sia chiaro a tutti i combattenti.

Ma c’è poi anche da chiedersi quanto siano disinteressati i vari Polito e Mauro che plaudono all’eroismo degli Ucraini come mai per altri eroismi, se sia giusto identificare quella libertà con i cosiddetti valori occidentali, che cosa siano diventati e che segno abbiano oggi tali valori, e se ci sia qualcuno che sta approfittando di questa guerra per imporli anche a chi non li vorrebbe, oltre che per logiche di potenza uguali e contrarie a quelle dell’attuale aggressore. Il totalitarismo non sta solo da una parte, e può essere persino che il totalitarismo accorto sia più pericoloso di quello malaccorto. Se per esempio fosse vero che a Biden e ai suoi alleati della Nato più che la libertà dell’Ucraina interessa, e da tempo, destabilizzare la Russia, per provare ad americanizzarla come hanno fatto per l’Ucraina, e che per tale obiettivo in questo momento la guerra è benvenuta e vale più della pace, il giudizio sulla resistenza degli Ucraini dovrebbe essere più articolato. Fermo restando il valore della testimonianza individuale di chi non vuole sottomettersi a ciò che percepisce come ingiustizia (e che non per tutti è proprio un’ingiustizia, p. ex. per quegli Ucraini russofoni del Donbass che lottano al fianco dei russi per reagire a loro volta ad un’ingiustizia), bisognerebbe chiedersi se, considerando le cose su più larga scala, ciò per cui quegli Ucraini stanno dando la vita vale davvero tutto il prezzo, o se quel loro sacrificio per reagire all’ingiustizia immediata non finisca ultimamente col servire a un’ingiustizia più grande. E se quei cattolici schierati con l’Ucraina “senza se e senza ma” non si stiano per caso schierando, senza volerlo, da parte di quest’ultima ingiustizia; magari anche solo con l’esaltare un giudizio che si limita, di fatto, ad un’analisi psicologica o naturale, come diceva Giussani nel suo articolo sulla guerra in Iraq del 2003 (e, per inciso, il desiderio di cui parla Recalcati mi sembra che abbia poco a che vedere con quello di cui parla Giussani).

Bisognerebbe chiederselo, secondo me, proprio perché la libertà è un valore penultimo, non ultimo, come del resto ci è stato ricordato, ma per lo più a sproposito, da politici e media vari negli ultimi tempi. E lo stesso vale per la patria e la sovranità nazionale. Noi, da cristiani, sappiamo che questi valori fanno parte del senso cristiano dell’io, anche se fino a ieri non si poteva dire; ma sappiamo anche che a certe condizioni, come tutte le cose penultime, possono diventare degli idoli; e che, per quanto riguarda la lotta per questi valori, per giudicare correttamente un atto non basta valutare la buona intenzione di chi lo compie, quella basta semmai per assolverlo dalla colpa, occorre valutare anche l’oggetto e il fine che l’atto persegue, nonché quello che concretamente finisce per conseguire. Anche il dare la vita per la libertà o per la patria o per la propria fede può acquistare un valore diverso, persino opposto, se l’atto è visto da tutte le sue angolazioni. Per esempio, pur ammessa la buona fede individuale, il sacrificio del martire cristiano è diverso da quello del kamikaze islamico, e il sacrificio di chi rischia la vita per la democrazia è diverso da quello di chi rischia la vita per un totalitarismo, che magari passa per democrazia.

Io non so dire concretamente cosa comportino queste considerazioni per il caso attuale, a livello di strategia bellica o di scelte geopolitiche. A livello di morale individuale, se fossi al posto degli Ucraini, probabilmente farei come loro, se ne avessi il coraggio, cosa che non do affatto per scontata. Però, conoscendomi, messo l’elmetto, la domanda forse me la farei. E penso che sia una domanda che, insieme ad altre di ordine più ampio, dovrebbe entrare nel conto, in qualche modo, di una valutazione del significato della resistenza ucraina, anche se concentrata sull’aspetto spirituale. Ometterla del tutto mi sembra, questo sì, un uso riduttivo della ragione.

In definitiva, se riconosciamo che la trave nell’occhio ce l’abbiamo anche noi, e non solo tanto per dire, il giudizio diventa più equilibrato. Anche per questo trovo giusta l’affermazione che il gesto più ragionevole è stato quello del Papa del 25 marzo, ma, aggiungerei, non solo per invocare la pace ma proprio come invito a stare attenti ad avere un giudizio di fondo corretto anche su questa lotta per la libertà, evitando il rischio di accodarsi ai criteri del laicismo. Che della libertà è capacissimo di fare strame o un assoluto religioso, a seconda di quanto in questo momento gli conviene. 

Un caro saluto

Marco

 

 

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