Domenica XXIV del Tempo Ordinario (Anno B)
(Is 50,5-9a; Sal 115; Gc 2,14-18; Mc 8,27-35)
di Alberto Strumia
Se vogliamo rendere con un linguaggio che non riduca ad una sorta di “imperativo umanitario” o “socio-politico” la piena portata dell’affermazione dell’Apostolo Giacomo che troviamo nella seconda lettura di questa domenica: «la fede, se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta», possiamo proficuamente ricorrere ad un’altra affermazione: quella di san Giovanni Paolo II, quando disse esplicitamente in un suo intervento: «Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta» (Discorso al Meic, 16 gennaio 1982). Ma, in realtà, tutto il suo pontificato e, ancor prima, la sua posizione cristiana, fu incentrata in questa prospettiva.
Nel corso della storia della Chiesa sono innumerevoli e insuperabili le “opere” che sono state frutto, conseguenza, della “fede” in Cristo. E la storia della “carità cristiana” vissuta dai santi canonizzati, come dai semplici e sconosciuti credenti, ne è un documento che da questa terra si è trasferito, per i loro meriti, nell’Eternità. Opere caritative, culturali, artistiche, scientifiche, educative, ospedaliere, di cura del creato e del paesaggio, di santificazione del lavoro, di rispetto per l’uomo, a non finire… Quanti carismi nella Chiesa sono stati distribuiti, dallo Spirito Santo, per realizzare tutte queste opere e farle durare nel tempo, anche per secoli e secoli (san Benedetto, san Francesco, san Domenico, san Camillo del Lellis, e così via, fino a santa Teresa di Calcutta, solo per ricordare quelli dei quali tutti hanno almeno sentito parlare. Ma quanti altri ancora).
Tutto nasce dalla fede in Cristo, dall’assimilazione della Sua dottrina, della Rivelazione che Dio ha fatto agli uomini in merito a ciò che essi sono, dinanzi a Lui, a se stessi e al loro prossimo, dall’“antropologia cristiana”, dall’«uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia» (Ef 4,24). Dire che “la fede diviene cultura” significa che tale assimilazione della concezione della realtà che Cristo ha rivelato, diviene il “modo abituale di pensare” di una persona, di un popolo e, conseguentemente ciò che plasma il suo “modo di vivere” («Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione», Redemptor hominis, n. 8; cfr., Gaudium et spes, n. 41).
«Creato secondo Dio nella giustizia» vuol dire l’essere stati rimessi, per Grazia, a contatto con la “giustizia originale” nel rapporto con Dio Creatore.
La libertà di ogni uomo, così sollecitata – se lo vuole – può “mettersi all’opera” applicandosi a trarre “conseguenze pratiche” di questo modo di guardare la realtà. Questo è il “modo cristiano” (pienamente umano) di fare qualsiasi cosa, qualsiasi “opera”, qualsiasi lavoro.
È l’unico modo, questo, per non ingannare se stessi e il prossimo, per fare del bene vero ai “poveri” e non usarli come pretesto per fini egoistici propri, come l’interesse immediato individuale o di un partito politico («Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: “Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?”. Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro», Gv 12,4-6). Finisce sempre così, quando non è la fede a definire “veramente” il punto di partenza e quello di arrivo delle “opere”. Se la fede senza le opere è morta, è anche vero, complementarmente che le “opere”, mosse da una motivazione solo umana, senza una fede solida, rischiano di deteriorarsi fino a negare il loro scopo originario. E anche questo la storia ce lo documenta. La sola “onestà naturale”, senza il sostegno della Grazia, può perdersi facilmente lungo la strada.
La “giustizia” basata sulla presunzione dell’uomo che si illude di recuperarla senza Cristo, finisce per ridursi a “giustizialismo”, innescando catene di abusi. E anche di questo siamo ampiamente istruiti dalla storia remota e recente.
La prima lettura, così come il Vangelo, ci “rivelano”qual è l’“opera” fondamentale, a far conoscere la quale serve tutta la “missione” della Chiesa, e servono tutte le altre “opere cristiane”. È l’“Opera” con la quale Gesù Cristo, il Figlio di Dio che ha assunto la natura umana unendola a quella divina, nella Persona del Verbo, ha “riparato”, per l’umanità, la frattura della “giustizia originale” nel rapporto tra l’uomo e Dio Creatore.
Illudersi di compiere “opere” di bene che resistano alla prova del tempo, prescindendo da questa “opera riparatrice” attuata da Cristo, è la grande illusione delle “ideologie” umanitarie, sociali, politiche di tutti i tempi. Questa “verità di fatto” è racchiusa nell’affermazione di Gesù che troviamo nel Vangelo di oggi: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».
«Il Vangelo pronuncia, in un certo senso, la sua ultima parola anche a questo riguardo nel mistero pasquale di Gesù Cristo. E qui occorre cercare la risposta a questi problemi cosi importanti per la spiritualità del lavoro umano. Nel mistero pasquale è contenuta la Croce di Cristo, la sua obbedienza fino alla morte, che l’Apostolo contrappone a quella disubbidienza, che ha gravato sin dall’inizio la storia dell’uomo sulla terra» (Laborem exercens, n. 27).
Il Vangelo di oggi indica questo nelle parole di Gesù: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua», che significano che nelle “opere”, «nel lavoro umano il cristiano ritrova una piccola parte della Croce di Cristo e l’accetta nello stesso spirito di redenzione, nel quale il Cristo ha accettato per noi la sua Croce. […] Sopportando la fatica del lavoro in unione con Cristo crocifisso per noi, l’uomo collaborain qualche modo col Figlio di Dio alla redenzione dell’umanità» (idem). È questo lo spirito con il quale compiere le “opere”. È Cristo il Salvatore e non l’uomo che pretende di fare tutto da sé, mettendo il Salvatore in disparte!
Per comprenderlo bisogna rispondere alla “domanda” che Cristo ha posto ai discepoli: «La gente, chi dice che io sia?». E “la gente” è ogni essere umano, noi compresi. Come allora, anche oggi le risposte sono varie e riduttive: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Un grande uomo, sembrano dire quelli che hanno dato una risposta. Degli altri che, verosimilmente non si sono posti neppure la domanda, qui non si parla nemmeno!
Mentre una sola è la risposta giusta, quella che permette di fare bene con le nostre “opere”, associandole alla grande Opera redentrice di Cristo, quella di Pietro: «Pietro gli rispose: “Tu sei il Cristo”».
E sembra quasi una profezia che si applica ai “nostri giorni” quella che ci fa vedere proprio Pietro, aver quasi dimenticato quanto aveva detto poco prima, e farsi lui superiore e consigliere di Gesù, per cercare di istruirlo a fare a modo suo, piuttosto che al modo di Dio: «Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo». Qui Pietro rimprovera e corregge Gesù, adeguandolo ai tempi! E Pietro, di fronte a questa, forse ingenua, pretesa, si sentì chiamare «Satana! […] tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Eppure è il “vero Pietro” a parlare, proprio quello scelto dal Signore stesso. Perché, allora perdere tempo a scandalizzarsi? Piuttosto, come le folle che interrogavano seriamente Gesù domandiamoci: «“Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?”. Gesù rispose: “Questa è l’opera di Dio: credere in Colui che Egli ha mandato”» (Gv 6,28-29).
Sullo sfondo di ogni scena del Vangelo, come della scena di tutti i tempi della storia della Chiesa, è sempre presente e maternamente vigilante, Maria, la Madre di Dio, anche quando non la si vede nominata e ricordata. Ed è a lei che facciamo bene ad affidarci, ogni giorno, all’inizio della giornata e nei momenti delle scelte che dobbiamo fare. Se ci fidiamo saremo guidati a compiere le opere di Dio. È lei l’aiuto dei cristiani.
Auxilium christianorum, ora pro nobis!
Bologna, 12 settembre 2021
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