di Nicola Lorenzo Barile
Autunno del 1964. Siamo presso la scuola elementare cattolica di St. Nicholas nel Bronx, popoloso quartiere di immigrati per lo più irlandesi ed italiani a New York. La St. Nicholas è gestita dalle Sorelle della carità di S. Giuseppe (poi confluite nel 1850 nelle Figlie della carità di S. Vincenzo de’ Paoli), fondate da Santa Elizabeth Seton (1774-1821), pioniera dell’educazione cattolica e prima santa canonizzata negli Stati Uniti (1975). Nello studio dell’anziana suor Aloysius, direttrice della scuola, si confronta o, meglio, si scontra drammaticamente con lei la giovanissima suor James, insegnante di storia presso la St. Nicholas.
È l’inizio appassionante di Doubt, a parable (2005), dramma che diede la svolta decisiva alla carriera teatrale di John Patrick Shanley (1950-), grazie alla carismatica interpretazione a Broadway di suor Aloysius da parte di Cherry Jones, resa a sua volta da Meryl Streep nella versione cinematografica diretta dallo stesso drammaturgo (2008). Shanley non è autore gran che noto in Italia: un peccato, perché la sua drammaturgia è ispirata all’attualità, com’è provato, ad esempio, dal suo Dirty Story (2003), dedicato al conflitto israelo-palestinese. Ma è di Doubt che voglio parlare, e della cultura dominante che intende stigmatizzare.
Ultimo di cinque figli nati a New York da umili immigrati irlandesi, Shanley frequentò la St. Anthony, una scuola effettivamente gestita dalle Sorelle della carità, per poi passare alla Cardinal Spellman High School, da cui fu espulso, concludere felicemente gli studi presso il Thomas Moore College e, successivamente, laurearsi presso la New York University, non prima di aver combattuto nei marines in Vietnam. Benché cresciuto in un ambiente anti-intellettuale, Shanley coltivò fin dagli undici anni l’amore per la scrittura scrivendo versi. I riconoscimenti nel mondo dello spettacolo non tardarono ad arrivare, fino a vincere un premio Oscar per la sceneggiatura di Stregata dalla luna (Moonstruck, 1987), alternando fiaschi clamorosi, come quello del suo film Joe contro il vulcano (Joe Versus the Volcano, 1990), che segnarono negativamente la sua carriera. Fino appunto a Doubt, acclamato da pubblico e critica, con cui Shanley ottenne prestigiosi riconoscimenti, fra cui il premio Pulizter.
Ma cosa si dicono di così importante suor Aloysius e suor James? Apparentemente, discutono di didattica, con la suora più anziana che critica più che l’inesperienza, l’ingenuità della consorella più giovane. «Ho osservato la tua lezione sul New Deal all’inizio del semestre», dice la responsabile della scuola a quest’ultima. «Non male. Ma ti voglio mettere in guardia. Non idealizzare il presidente Roosvelt. È stato un buon presidente, ma tentò di imbrigliare la Corte suprema. Non approvo che si facciano eroi di figure di laici che appartengono alla storia. Se tu vuoi parlare di santi, fallo nell’ora di religione. (…) Inoltre, disapprovo il tuo entusiasmo per la storia. Esso rischia di condizionare i bambini e farla valutare più importante rispetto alle altre materie. (…) Insegnala senza addolcirla troppo».
Alla severità di suor Aloysius si contrappone la spigliatezza di padre Flynn, l’insegnante di religione ed educazione fisica della St. Nicholas, di qualche anno più grande di suor James ma più giovane della direttrice della scuola. La sua omelia della domenica precedente era dedicata al dubbio. Siccome gli argomenti, anche quelli per una omelia, non si scelgono casualmente, è forse padre Flynn attanagliato da qualche dubbio? È proprio suor James a dare corpo alla diffidenza di suor Aloysius, quando rivela che la settimana scorsa il sacerdote si era appartato in sacrestia, per un certo tempo, da solo con Donald Muller, un dodicenne di colore che sta per concludere modestamente il suo ciclo di studi, che poi è ritornato in classe turbato, poggiando la testa sul suo banco e con l’alito che sapeva di alcool.
Tanto basta a suor Aloysius per fare intravvedere abusi da parte di padre Flynn («La pecorella che resta indietro è quella per la quale il lupo esce dalla sua tana»), anche se suor James tenta di scagionare il sacerdote, di cui non può dire che ci sia altro che simpatia nei confronti del giovane studente, entusiasta di essere stato accolto fra i chierichetti proprio grazie a padre Flynn, perché solo, senza amici, spesso vittima di percosse in quanto unico studente di colore della St. Nicholas. Suor Aloysius, invece di parlare dei suoi sospetti con il vescovo, apparentemente per ragioni di gerarchia, ma in realtà perché lo considera troppo debole a causa dell’età, di carattere serafico fino all’estremo, ma soprattutto infatuato dei metodi informali di padre Flynn, preferisce allora mettere da parte «stupidi pregiudizi adolescenziali» ed affrontare direttamente il presunto colpevole, attirandolo nel suo studio per indurlo a confessare. Dopotutto, «l’innocenza può esistere solo in un mondo senza peccato. Invece, le situazioni si presentano e noi dobbiamo essere pronti ad agire quando ravvisiamo il male».
Convocato nello studio della religiosa con la scusa di discutere della recita di Natale, padre Flynn si scontra subito sulla scelta delle canzoni da inserire. Troppo mondani i canti come It’s Beginning to Look a Lot Like Christmas e Frosty the Snowman, secondo suor Aloysius, che piacciono invece a padre Flynn, con il complice entusiasmo di suor James, addirittura eretico il loro contenuto, perché Frosty the Snowman, ad esempio, comunicherebbe la credenza nel potere della magia, grazie al quale il pupazzo di neve del titolo ritorna in vita: perché inserirle allora?, è la domanda di suor Aloysius. Perché sono divertenti, è la risposta semplice ma disarmante di padre Flynn. Spiega meglio il sacerdote: «Noi dovremmo suonare di tanto in tanto una canzone ascoltata alla radio. Portare fuori i ragazzi a prendere un gelato. Forse portarli in campeggio. Dovremmo essere più alla mano con loro. I ragazzi e i loro genitori dovrebbero vedere in noi dei membri della loro famiglia piuttosto che degli emissari di Roma. Io penso che la nostra recita di Natale debba essere affascinante, come se fossimo un teatro sociale e di comunità che realizza uno spettacolo». «Ma noi non siamo membri della stessa famiglia», è la gelida replica di suor Aloysius. «Noi siamo differenti». «Perché? A motivo dei nostri voti?». «Precisamente». «Io non penso che siamo così differenti». «E invece i ragazzi e le loro famiglie è questo che pensano».
Il dialogo si sposta quindi sul vero tema dell’incontro: Donald Muller. Perché padre Flynn si è appartato da solo con lui in sacrestia? Lo ha fatto forse ubriacare per poi abusare di lui?, accusa suor Aloysius. Il sacerdote nega decisamente di avere un interesse morboso per il ragazzo, spiegando che è stato l’unico a tendergli una mano in un ambiente ostile nei confronti di Donald Muller, inserendolo nel gruppo dei chierichetti. Accortosi però che il ragazzo aveva bevuto del vino di nascosto, aveva dovuto rimproverarlo, ma in segreto, se no sarebbe stato costretto a rimuoverlo dal suo incarico: cosa che sarà ora costretto a fare, dato che il fatto è venuto alla luce. La spiegazione convince suor James, ma non suor Aloysius, per la quale la consorella più giovane preferisce solo credere a quel che non disturba la sua ingenuità. Suor James ha un sussulto di orgoglio: la verità è che a lei, suor Aloysius, non piace padre Flynn e basta.
Verso la fine di Doubt, padre Flynn avrà un ultimo, chiarificatore dialogo con la giovane religiosa, quasi a volerla ringraziare della fiducia nei suoi confronti: «Non c’è nessuna prova che io abbia fatto alcunché. Anche l’azione più innocente può apparire sospetta a una mente avvelenata. Ho dovuto allontanare quel povero ragazzo dal servizio liturgico. È rimasto devastato da questo. L’unica ragione per cui non sono ancora andato a parlare con Sua Eccellenza è che non intendo rovinare la reputazione di questa scuola. Suor Aloysius perderebbe quasi sicuramente il suo posto, se rendessi note le sue accuse nei miei confronti. (…) È a me che preme quel ragazzo, non a lei. Ha mai fatto una carezza a quel ragazzo o a qualche altro di questa scuola? Ma se è un pezzo di ghiaccio! I ragazzi invece hanno bisogno di calore, gentilezza e comprensione. Lei invece cosa offre loro? Regole. Quel ragazzo nero ha bisogno di essere aiutato o non ce la farà! Se lei farà a modo suo, lo rovinerà. Perché pensi che bevesse vino in sacrestia di nascosto? Perché ha dei problemi! Lei invece vede me parlare con umanità a questi ragazzi e subito salta alla conclusione che ci deve essere necessariamente qualcosa di morboso in questo mio atteggiamento, qualcosa di sporco. Bene, non le permetterò di tenere questa parrocchia nel medioevo! E non le lascerò distruggere il mio spirito di compassione! (…) Ci sono persone che perseguiranno la tua umanità, suor James, che ti diranno che la luce nel tuo cuore è una debolezza. Che i tuoi sentimenti gentili sono traditori. Io non credo a ciò. È una vecchia tattica di gente crudele per uccidere la gentilezza in nome della virtù. Non prestare fede a questo. Non c’è niente di sbagliato nell’amore. (…) Hai dimenticato quale fu il messaggio di Nostro Signore? Amore. Non sospetto, disapprovazione e giudizio. Amore per la gente. Hai mai trovato una ispirazione positiva in suor Aloysius?».
Non sapremo mai se i sospetti di suor Aloysius erano fondati, né se padre Flynn era in realtà un manipolatore e un abusatore sessuale. Rimarremo, appunto, nel dubbio. Ma perché inscenare questo dramma allora? Per accusare la Chiesa della sua cattiva condotta nei confronti dei giovani? Non mi sembra questo l’intento di Shanley, che si dichiara cattolico e che ha dedicato sinceramente questa sua pièce teatrale «ai molti ordini di suore cattoliche che hanno dedicato la loro vita a servire gli altri negli ospedali, nelle scuole e negli ospizi. Anche se esse sono state molto diffamate e ridicolizzate, chi tra noi è stato generoso come loro?». Doubt ricorda le accuse di abusi sessuali mosse contro padre Paul Shanley (nessuna parentela con l’autore), molto popolare fra la gente della diocesi di Boston, allora retta dal cardinale Bernard Law e che costarono, fra l’altro, le dimissioni dell’alto prelato, come raccontato, con ben altri toni, da Il caso Spotlight (Spotlight, 2015). In un’intervista concessa al New York Times, Shanley ha indicato piuttosto come modello di padre Flynn alcuni insegnanti religiosi dei tempi del college, che riuscirono a mettere fine alle sue intemperanze giovanili: «Sono stati per la maggior parte degli insegnanti omosessuali a salvarmi. Il responsabile della disciplina al Thomas Moore era gay, ed era mio amico e protettore. Aveva le sue ragioni per interessarsi a me? Ognuno ha le sue ragioni. La passione alimenta molte cose, e viene usata in molti modi». Ma riconosce anche che «queste persone non oltrepassarono mai il limite».
Qui si apre una seria possibilità interpretativa: furono questi insegnanti carismatici, ma dalla confusa condotta sessuale, il prodotto del rilassamento morale avvenuto in seguito alla rivoluzione sessuale degli anni Sessanta del secolo scorso? È questa la tesi rilanciata recentemente dal notevole libro di Céline Hoyeau, Il tradimento dei padri. Manipolazione e abuso nei fondatori di nuove comunità (Brescia 2023), apparentemente avvalorata dalla presentazione che fa di sé padre Flynn come esponente di una «Chiesa progressista e accogliente». È una lettura suggestiva, ma è tuttavia riduttivo ridurre Doubt ad uno scontro fra la mentalità preconciliare, incarnata da suor Aloysius, e quella conciliare e poi post-conciliare, testimoniata da padre Flynn. Entrambi, a ben vedere, non sono modelli del tutto perfetti, rispettivamente, della rigida religiosa e del prete di strada: infatti, per metterlo alle strette, suor Aloysius non manca di violare quelle regole cui tanto tiene fingendo di informarsi della condotta di padre Flynn presso una precedente parrocchia dov’era stato il sacerdote; quanto a padre Flynn, se era così solare, perché poi ha taciuto sulle circostanze che lo hanno portato a cambiare ben tre parrocchie in cinque anni, come apprendiamo dall’indagine non autorizzata di suor Aloysius?
Dubbi, ancora dubbi, come si vede, che Shanley non scioglie, non tanto perché vuole confonderci o in quanto incapace di trovare un finale adeguato al suo dramma (come insegna proprio il caso di padre Shanley, l’attendibilità delle testimonianze di così gravi crimini non regge il vaglio del processo), quanto perché vuole spingerci a riflettere sulla «cultura dell’aula di giustizia» («courtroom culture») che, secondo Shanley, anima il dibattito attuale, in tutti gli ambiti della nostra vita, compreso quello religioso come in Doubt, riducendo la nostra capacità di giudizio ad adesione o a rigetto di una tesi precostituita. La discussione è così ridotta a dibattito, la comunicazione a incontro/scontro di personalità, il discorso politico a chiacchiere insincere. «Non c’è spazio o valore attribuito al dubbio, che è uno dei tratti distintivi dell’uomo saggio», dice Shanley sempre al NYT. «Sta diventando sempre più difficile in questa società trovare un luogo per un ampio e vero scambio intellettuale. Tutto sta diventando una questione di chi ha vinto la discussione, il che è semplicemente idiota». Quali le origini di questa «cultura dell’aula di giustizia»? la «vasta pubertà» nella quale l’occidente vive a partire dagli anni Sessanta che, per l’autore di Doubt, coincidono anche con l’educazione cattolica ricevuta. «Io non ho mai dimenticato la lezione di quel periodo, né l’ho mai imparata abbastanza bene. Desidero ancora quella certezza condivisa, quella consapevolezza che altri sanno che cos’è bene per me. Ma sono stato guidato dalle amare contingenze di una vita interessante a considerare l’antica pratica del dubbio».
Doubt è, allora, un antidoto alla certezza attuale che la verità sia necessariamente in una delle posizioni presentate dalla «cultura dell’aula di giustizia» così ben rappresentata dai dibattiti televisivi, ad esempio, non il contrario di un atto di denuncia del fallimento dei metodi educativi della Chiesa. Come recita una parte del suo titolo, è una parabola, una piccola storia inventata, benché ispirata a fatti e persone reali: come quelle delle omelie pronunciate da padre Flynn, a ricordare che ciò che accade nella vita è sempre più importante della superficiale individuazione di colpevoli ed innocenti così tipica della «cultura dell’aula di giustizia» contemporanea.
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