di Antonio Caragliu
Il movimento LGBT nelle ormai celebri parate del “Gay Pride“ promuove un’immagine di sé legata all’emancipazione e alla libertà. Libertà dai ruoli di genere e dai conformismi dominanti. In nome dei diritti e dell’uguaglianza.
Per promuovere questa immagine gli attivisti LGBT operano su due piani. Uno è il piano della festa carnevalesca, nella quale la persona si trasfigura in personaggio e le regole sociali della vita ordinaria vengono sospese, talora fino ad arrivare ad espressioni pubbliche di carattere pornografico e blasfemo.
L’altro piano è quello della rivendicazione di “diritti” disconosciuti, o comunque non sufficientemente riconosciuti, da una società considerata discriminatoria e non inclusiva. Chi rivendica questi diritti, sostanzialmente orientati alla parificazione delle prerogative della coppia omosessuale rispetto a quella eterossesuale ed alla libertà del singolo di scegliere il proprio genere di appartenenza, si presenta o come un oppresso o come un paladino degli oppressi. Chi disconosce questi diritti è stigmatizzato come un oppressore.
In questo scaltro oscillare tra il piano scherzoso e irriverente della parata carnevalesca e quello ideologicamente impegnato della “dialettica tra oppressi ed oppressori” la prima vittima è il senso critico. La seconda è la libertà.
Ne è prova il Disegno di Legge Zan, all’esame della Commissione Giustizia della Camera.
Il DDL Zan, che riunisce cinque diverse proposte di legge, interviene in particolare sul delitto di cui all’art. 604 bis c.p., il quale, insieme alla circostanza aggravante di cui all’art. 604 ter c.p., è compreso nella Sezione I bis, rubricata “Dei delitti contro l’eguaglianza”, del Capo III del titolo XII del Libro II del Codice penale.
La modifica è volta ad estendere l’area delle condotte punibili previste dall’art. 604 bis c.p. a quelle di «chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione (…) fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere».
La minaccia alla libertà di pensiero ed alla libertà della sua manifestazione è determinata dal fatto che il concetto di discriminazione non è un concetto autonomo, ma un concetto elastico e relativo, che dipende dalla definizione del concetto di eguaglianza, ovvero dalla definizione dei parametri dell’eguaglianza.
Ecco allora che se l’eguaglianza è intesa come la intendono gli attivisti LGBT chi la pensa in maniera differente e si comporta di conseguenza può essere incriminato per avere istigato o aver commesso atti discriminatori.
È alla luce di questo aspetto liberticida del DDL Zan che il presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli ha proposto di abbandonare la strada dell’estensione delle condotte punibili previste dall’art. 604 bis c.p. e di aggiungere all’art. 61 c.p., che contempla le circostanze aggravanti per tutti i reati, l’aggravante di “aver agito per determinare discriminazioni lesive della dignità e dell’uguaglianza della persona umana”.
In questo modo, afferma Mirabelli, “non si modifica l’assetto penale ed evitiamo di categorizzare le persone”.
Il punto è che i disvalori evidenziati dal giurista Mirabelli costituiscono l’obiettivo primario perseguito dai sostenitori del DDL Zan, il quale, all’art. 5, mira ad istituire una “Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesfobia, la bifobia e la transfobia” in occasione della quale organizzare cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile, in particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, “al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in attuazione dei principi di uguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione”.
Chi potrebbero essere i protagonisti di questa opera di rieducazione se non i “rappresentanti della categoria”, ovvero le associazioni LGBT?
Le posizioni che contraddicono le pretese delle associazioni LGBT, volente o nolente, che lo si dica esplicitamente o lo si taccia furbescamente, verranno stigmatizzate come “pregiudizi, discriminazioni e violenze”, in spregio dei “principi di uguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione”, così come intesi dalle associazioni LGBT.
Alla luce di questo impianto concettuale la recente approvazione di un emendamento al Disegno di Legge Zan, che prevede l’aggiunta di un art. 2 bis secondo il quale “Ai sensi della presente legge, sono consentite la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte”, non elimina il carattere liberticida del disegno di legge. Anzi, lo mette in evidenza. Qual è, infatti, il criterio di “legittimità” delle condotte se le rivendicazioni dei movimenti LGBT costituiscono una “attuazione” dei principi di eguaglianza e di pari dignità sociale stabiliti dalla Costituzione? Qual è il criterio per stabilire quando una discriminazione è legittima e rispettosa delle altre persone?
Non si tratta di questioni di lana caprina: è in gioco la libertà delle persone.
Eppure i movimenti LGBT, votati alla libertà ed all’emancipazione, sembrano ignorarle.
Il problema di fondo è che i movimenti LGBT sono movimenti politici che pretendono di essere riconosciuti come movimenti umanitari, promotori di “diritti umani”. Di qui la loro pretesa pedagogica. Di qui il loro totalitarismo mascherato.
Parlo di totalitarismo mascherato perché costringere gli altri, siano essi adulti o minori, a riconoscere e soddisfare i propri desideri di identificazione o di genitorialità, non è libertà. È sopruso. Anche se travestito di eguaglianza.
Da ultimo mi pare utile evidenziare una banalità che, tuttavia, nel dibattito pubblico è per lo più ignorata: i movimenti LGBT non hanno l’esclusiva della tutela delle persone omosessuali o transessuali. Non più di quanto i Partiti Comunisti avevano l’esclusiva della tutela degli operai.
Ricordarlo è un buon inizio per ragionare, confrontarsi sul merito delle questioni e continuare ad essere liberi.
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