Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Aaron Kheriaty e pubblicato su The american mind. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella mia traduzione. 

 

totalitarismo biopolitico globale

 

Fran Maier ha ragione nel dire che siamo a un punto di svolta nella storia: la fine di un’epoca e l’inizio di qualcosa di nuovo. Chiunque pensi di sapere esattamente cosa emergerà dopo, probabilmente si sbaglia. Qualunque cosa stia per accadere, sarà un mondo molto diverso da quello che abbiamo abitato dopo la Seconda Guerra Mondiale. Sono certo che molte cose peggioreranno prima di migliorare. Le nostre istituzioni sociali – governative, educative, di comunicazione, mediatiche, mediche, di salute pubblica, eccetera – ci hanno deluso. Il grado di marciume di queste istituzioni rende impraticabile una riforma o una riparazione, almeno nel breve periodo.

Credo che il nostro compito sia analogo a quello intrapreso dai dissidenti cechi dell’epoca sovietica. Molti di noi conoscono Vaclav Havel, che divenne il primo presidente della Repubblica Ceca dopo la caduta del comunismo e scrisse il saggio ormai classico “Il potere dei senza potere”. Maier cita un altro Vaclav: un amico e collaboratore stretto di Havel. Vaclav Benda è meno conosciuto ma non meno importante. A differenza di Havel, Benda era un fedele cattolico e rimase ancorato alle sue convinzioni cristiane mentre affrontava le sfide del suo tempo e del suo luogo.

Alcuni lettori si chiederanno se l’analogia storica con un regime totalitario comunista non sia un po’ esagerata. Le cose possono essere brutte, ma di certo non possono essere così brutte. Ma si consideri, come ci ha insegnato Eric Voegelin, che la caratteristica comune di tutti i sistemi totalitari non sono né i campi di concentramento, né la polizia segreta, né la sorveglianza di massa, per quanto orribili siano tutti questi elementi. La caratteristica comune di tutti i sistemi totalitari è il divieto di porre domande: ogni regime totalitario monopolizza innanzitutto ciò che conta come razionalità e determina quali domande è consentito porre.

A rischio di offendere il mio pubblico, suggerirò: se non vedete che proprio questo sta accadendo su una scala globale senza precedenti, non avete prestato molta attenzione. Se siete ancora scettici, considerate la brillante formulazione del filosofo polacco Leszek Kolakowski per descrivere il metodo totalitario di imporre l’unità a un’intera popolazione: perfetta integrazione attraverso la perfetta frammentazione. Rimuginate su questa frase mentre guardate la TV o scorrete i social media: perfetta integrazione attraverso una perfetta frammentazione.

Nel contesto ceco degli anni ’70 e ’80, come scrive il professor F. Flagg Taylor, “[Vaclav] Benda vide che il regime comunista cercava di infiltrare e cooptare strutture sociali indipendenti per i propri scopi, oppure di delegittimarle e distruggerle. Cercava di mantenere una popolazione di individui isolati, senza abitudini o desideri di associazione”. In altre parole, secondo le sue parole, la cortina di ferro non era scesa solo tra Est e Ovest, ma anche tra un individuo e l’altro, o addirittura tra il corpo e l’anima di un individuo.

Benda riconobbe che le speranze di una riforma radicale del regime o addirittura di una sua moderazione erano inutili. Era tempo di ignorare le strutture ufficiali del regime e di costruirne di nuove, dove la comunità umana potesse essere riscoperta e la vita umana potesse essere vissuta decentemente.

Benda propose di costruire nuove istituzioni su piccola scala della società civile – nell’educazione e nella famiglia, nella produttività e nello scambio di mercato, nei media e nelle comunicazioni, nella letteratura e nelle arti, nello spettacolo e nella cultura, e così via – che Benda chiamò “Polis parallela” (1978).

Egli descrisse questa idea come segue: “Suggerisco di unire le forze per creare, lentamente ma inesorabilmente, strutture parallele che siano in grado, almeno in misura limitata, di integrare le funzioni generalmente benefiche e necessarie che mancano nelle strutture esistenti e, ove possibile, di utilizzare queste strutture esistenti, per umanizzarle”. E ha chiarito che questa strategia “non deve necessariamente portare a un conflitto diretto con il regime, ma non si illude che i ‘cambiamenti cosmetici’ possano fare la differenza”. Ha spiegato Benda:

In termini concreti, ciò significa assumere ad uso della polis parallela ogni spazio che lo Stato ha temporaneamente abbandonato o che non gli è mai venuto in mente di occupare in primo luogo. Significa conquistare per il sostegno di obiettivi comuni… tutto ciò che è vivo nella società e nella sua cultura nel senso più ampio del termine. Significa conquistare tutto ciò che è riuscito in qualche modo a sopravvivere al disfavore dei tempi (ad esempio, la Chiesa) o che è stato in grado, nonostante i tempi sfavorevoli, di nascere.

La polis parallela non è, sottolinea Benda, un ghetto o una metropolitana; non è un sistema di mercato nero che si nasconde nell’ombra. Come suggerisce la parola polis, lo scopo di queste istituzioni era quello di rinnovare la società più ampia, non di ritirarsi completamente da essa. “L’obiettivo strategico della polis parallela”, scriveva Benda, “dovrebbe essere la crescita, o il rinnovamento, della cultura civica e politica e, insieme ad essa, un’identica strutturazione della società, creando legami di responsabilità e di appartenenza”.

Benda riconosceva che ogni istituzione della polis parallela era un Davide che affrontava il Golia di uno Stato totalitario di enorme potenza. L’una o l’altra di queste istituzioni poteva essere schiacciata dall’apparato statale, se quest’ultimo la destinava specificamente alla liquidazione.

Il compito, quindi, era quello di creare un numero così elevato di queste strutture e istituzioni parallele che lo Stato corrotto sarebbe stato infine limitato nel suo raggio d’azione: mentre poteva schiacciare una qualsiasi istituzione in qualsiasi momento, alla fine ci sarebbero state troppe istituzioni di questo tipo perché lo Stato potesse prenderle tutte di mira contemporaneamente. Elementi della polis parallela sarebbero sempre sopravvissuti: quando lo Stato avrebbe schiacciato un’istituzione, altre due sarebbero sorte altrove.

Piano d’azione

La polis parallela richiede una strategia deliberata: non si sviluppa automaticamente. Come propose a suo tempo Benda, sono convinto che sia giunto il momento di costruire queste nuove istituzioni parallele della società civile. Dobbiamo pensare a intervalli di 50 anni. Ciò significa piantare semi di senape che potrebbero non germogliare completamente nel corso della nostra vita. Suggerisco che l’odierna Polis parallela si basi su tre principi: Sovranità, Solidarietà, Sussidiarietà. Concluderò con cinque brevi punti per illustrare l’applicazione di questi principi nel nostro momento attuale. (Mi limiterò a enunciarli, poiché il tempo non mi consente di argomentare o spiegare ciascuno di essi).

Primo: i governi durante il COVID hanno preteso che fossimo esautorati e isolati. Le persone, a livello globale, hanno ceduto la loro sovranità e abbandonato la solidarietà sociale. Al contrario, le nuove istituzioni parallele della società civile devono restituire la sovranità agli individui, alle famiglie e alle comunità e rafforzare la solidarietà sociale.

Secondo: i mercati, le comunicazioni e le strutture di governo sono diventati sempre più centralizzati a livello nazionale e globale, privando gli individui, le famiglie e le comunità locali della legittima autorità, della privacy e della libertà. Pertanto, le nuove istituzioni devono basarsi su tecnologie e modelli di comunicazione decentralizzati, condivisione delle informazioni, autorità e mercati di produttività e scambio.

Terzo: soprattutto gli individui, le famiglie e le comunità locali sono stati privati della loro legittima autorità e dei loro obiettivi. Per rimediare a ciò, le nuove istituzioni devono sostenere il principio di sussidiarietà e potenziare gli sforzi pratici a livello locale.

Quarto: la paura è stata usata come arma per costringere individui, famiglie e comunità a cedere la propria sovranità e persino a far dimenticare di averla avuta. Per aiutare gli individui, le famiglie e le piccole comunità a recuperare la loro sovranità – la loro capacità di autogovernarsi – dobbiamo aiutare le persone a superare la paura e a trovare il coraggio.

In quinto luogo, con l’introduzione di nuovi meccanismi di sorveglianza e controllo sociale – il modello di governance della biosicurezza, i documenti d’identità digitali biometrici, le valute digitali delle banche centrali, il capitalismo di sorveglianza e così via – la finestra temporale per reclamare la solidarietà e riconquistare la sovranità si sta chiudendo rapidamente. Pertanto, il momento di iniziare è adesso.

 


Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. I contributi pubblicati su questo blog hanno il solo scopo di alimentare un civile e amichevole confronto volto ad approfondire la realtà.


 

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