Gli esperti cinesi reagiscono alle argomentazioni a favore del controverso accordo provvisorio del Vaticano sulla nomina dei vescovi, che questo mese è in corso di rinnovo.

L’articolo è di Edward Pentin, pubblicato su Catholic National Register, nella traduzione di Elisa Brighenti.

 

Papa Francesco e Xi Jinping, presidente della Cina
Papa Francesco e Xi Jinping, presidente della Cina

 

Mentre la Santa Sede si appresta a rinnovare il controverso accordo provvisorio con la Cina sulla nomina dei vescovi, un esperto americano sulla Cina è diventato uno dei pochi commentatori a difendere pubblicamente l’accordo, sostenendo che i precedenti metodi per migliorare i rapporti erano falliti e che il Vaticano non aveva altra scelta.

Ian Johnson, autore e giornalista del New York Times e del New York Review of Books, vincitore del premio Pulitzer, che ha trascorso molto tempo nel Paese, ha detto alla radio austriaca ORF il 2 settembre che lo “status quo” che esisteva prima dell’accordo “non ha funzionato” e che “i critici devono saper  riconoscere che il vecchio metodo non ha avuto successo, che è fallito“.

Johnson ha aggiunto che l’accordo è arrivato in un momento in cui c’erano “sempre meno sacerdoti e sempre meno religiosi in Cina”. La Chiesa, ha detto, “era in caduta libera”. Sostiene  che è “facile criticare il Papa, ma occorre capire che egli doveva intervenire e cercare qualcosa per contrastare questa realtà”.

I dettagli precisi dell’accordo provvisorio, che verrà rinnovato il 22 settembre (sembra però ad ottobre prossimo, ndr) a due anni dalla firma, devono ancora essere pubblicati, ma si pensa di attribuire più poteri alle autorità cinesi per la nomina di nuovi vescovi. Si ritiene che il Papa possa porre il veto alle loro scelte, anche se non in modo illimitato.

Dai tempi della rivoluzione comunista  del 1949, la Chiesa in Cina è stata divisa tra la Chiesa “sotterranea”, in piena comunione con Roma, e l’Associazione patriottica cattolica cinese gestita dallo Stato. Il Vaticano ha sperato che attraverso l’accordo si potesse avviare un nuovo processo che sanasse queste antiche divisioni, portando l’unanimità sulla nomina dei vescovi, e favorendo ulteriormente “la piena comunione di tutti i cattolici cinesi”.

Il cardinale Pietro Parolin, il segretario di Stato vaticano che ha guidato l’accordo provvisorio, ha detto che si tratta di “un atto di fede”, e che l’obiettivo è “di evitare di avere vescovi in disaccordo con la Santa Sede”. Ha paragonato questo  processo all’inculturazione, che egli considera “complementare” alla “sinicizzazione” della Cina – una politica che intende portare le religioni non cinesi sotto l’influenza della cultura cinese,  avviata nel 2013, da quando il presidente cinese Xi Jinping ha assunto il potere.

Tuttavia, il Vaticano non ha ancora fornito una motivazione dettagliata dell’accordo. L’arcivescovo Claudio Maria Celli, figura chiave in merito, ha detto a giugno che il Vaticano “dovrebbe probabilmente riconfermare l’accordo  per uno o due anni”, ma non ha spiegato il perché, al di là del “bisogno di rispetto” e di “comprensione reciproca” tra la Chiesa cattolica e la Cina.

 

Circostanze difficili

Johnson, tuttavia, ha sostenuto che la “comprensibile scommessa“ del Vaticano di firmare l’accordo è nata a causa di circostanze sempre più difficili.

“Quando è difficile consacrare i vescovi, o ordinare i sacerdoti, o quando non si hanno sacerdoti legittimi per far andare avanti la Chiesa, diventa molto difficile per la Chiesa progredire”, ha detto.

Ha ammesso che l’accordo “non ha ancora funzionato come il Vaticano aveva sperato”, ma ritiene che sia troppo presto per esprimere un giudizio definitivo. Ha ipotizzato che se un accordo con la Cina fosse stato fatto 20 o 30 anni fa, sarebbe possibile vedere il successo ora, facendo eco all’invito del cardinale Parolin nel 2019 ad assumere una prospettiva più lunga, dato che “la storia non è stata costruita in un giorno, ma è un processo a lungo termine”. 

Padre Bernardo Cervellera, il direttore di AsiaNews che è stato missionario in Cina, ha osservato che il “vecchio metodo” citato da Johnson – la dura presa di posizione del Vaticano sulla libertà religiosa senza l’aiuto di relazioni diplomatiche formali – aveva certamente portato a una “situazione molto difficile”, come quella dei vescovi e dei sacerdoti illegittimi e della divisione, ma non spiega come questo approccio sia stato un fallimento se non in senso diplomatico.

Ha riconosciuto che l’accordo ha salvato la Chiesa cattolica da “una valanga di vescovi illegali”, che Pechino aveva promesso di nominare nel gennaio 2018. Ma ha aggiunto  che “non bisogna  abbassare la guardia sulla libertà religiosa e sull’evangelizzazione della Cina” e ha osservato che, nonostante le difficoltà, la Chiesa “continuava a vivere” e ogni anno celebrava circa 100mila battesimi.

“L’interesse della Chiesa non è solo quello di rafforzarsi a lungo termine, ma anche di testimoniare la giustizia e la pace nella società”, ha detto, riferendosi alla Lettera che Benedetto XVI nel 2007 rivolse ai cattolici cinesi. Eppure, l’accordo “non aiuta la Chiesa a trovare un modo per evangelizzare la Cina”, ha proseguito, e a motivo del “delicato” desiderio di migliorare le relazioni diplomatiche, il Vaticano ha taciuto sulla violenza contro il clero e i laici.

 

Peggioramento della situazione

L’accordo ha coinciso con la peggiore repressione della libertà religiosa dai tempi in cui la Costituzione cinese nel 1982 interveniva sui diritti umani. Da quando l’accordo è stato firmato, la situazione è peggiorata: le autorità del Paese hanno arrestato e incarcerato sacerdoti, distrutto chiese e santuari e imposto controlli di sorveglianza e restrizioni. Nel frattempo, il Papa e il Vaticano sono rimasti in silenzio, anche riguardo ai centinaia di migliaia di musulmani appartenenti alla etnia degli Uiguri detenuti in campi governativi di ri-educazione.

Alcuni critici dell’accordo non sono convinti dal caso Johnson, soprattutto in considerazione della situazione attuale in Cina.

“Il Vaticano dovrebbe sempre ‘agire’ per sostenere la Chiesa, specialmente dove è perseguitata”, ha detto l’esperto cinese Steven Mosher, presidente dell’Istituto di Ricerca sulla Popolazione. “Ma ritenere che abbia dovuto, in effetti, allearsi con un regime comunista per risolvere la carenza di vescovi e di sacerdoti, sembra contraddittorio“.

“Sicuramente – ha aggiunto – il Papa può nominare tutti i vescovi che vuole, mentre loro a loro volta possono ordinare il numero richiesto di sacerdoti”. Insinuare, come alcuni hanno fatto, che a questo scopo  occorra il sostegno del PCC [Partito comunista cinese], appare  un’inutile concessione dell’autorità papale”.

Per quanto riguarda la necessità di essere pazienti e di avere una visione a lungo termine, Mosher, autore di “Bully of Asia: Perché il sogno della Cina è la nuova minaccia per l’ordine mondiale”, ha detto che “tra 20 o 30 anni il PCC potrebbe non esserci più; dubito piuttosto che i fedeli cinesi guarderanno con favore all’accordo in quel momento”.

Per quanto riguarda la possibilità che il Vaticano, con l’accordo, abbia raggiunto il proprio scopo, i critici parlano anche in questo caso di risultato vago. Da quando è stato firmato, non ci sono state nuove nomine episcopali. Le cinque ordinazioni che hanno avuto luogo dal settembre 2018 “erano già in cantiere”, ha detto Mosher. L’ultima nomina, quella del vescovo Jin Yangke, insediatosi  nella diocesi di Ningbo nella provincia di Zhejiang nella Cina orientale, il 18 agosto, era avvenuta molto tempo prima, essendo stato ordinato segretamente vescovo coadiutore della diocesi nel 2012.

Si potrebbe intravedere un segno di speranza nel giuramento di fedeltà che uno dei cinque vescovi ha modificato: invece di giurare di promuovere  una “Chiesa indipendente e autonoma” ha promesso fedeltà alla “Chiesa una, santa, cattolica e apostolica”. Tuttavia Mosher ritiene che “il tempo dirà” se il cambiamento è un segno di miglioramento, oppure un “inganno strategico”.

 

La prospettiva di Pechino

Dal punto di vista di Pechino, secondo Johnson, l’accordo è stato impegnativo. Il regime ha trovato infatti “molto difficile” permettere a un’organizzazione esterna come il Vaticano di determinare gli affari del clero cinese – un fattore questo che forse spiega perché i media statali si siano espressi poco in merito.

“Gli interessi del Vaticano e quelli della Cina sono molto diversi”, ha detto, anche se sia lui che padre Cervellera concordano sul fatto che una forte motivazione per Pechino è data dall’eliminazione della Chiesa clandestina.

Padre Cervellera crede anche che Pechino desideri l’accordo perché, attraverso di esso può isolare Taiwan, che attualmente intrattiene pieni legami diplomatici con la Santa Sede (la Santa Sede è una delle sole 15 nazioni – e l’unico Stato in Europa – ad avere pieni legami diplomatici con Taiwan). La Cina ha sempre preteso la rivendicazione territoriale di questo paese a governo democratico e attualmente sembra che stia intensificando la pressione su di esso.

“Questo, alla fine, è il motivo per cui il Ministero degli Esteri cinese è così desideroso di intessere relazioni con il Vaticano”, ha sostenuto padre Cervellera, sottolineando che, allo stesso tempo, il Fronte Unito, una rete di gruppi e di individui chiave influenzati o controllati dal PCC, “rappresenta il nemico assoluto di questo accordo e sta facendo tutto il possibile per boicottarlo”.

Pechino, tuttavia, sta dando pubblicamente un’impressione positiva. In una rara dichiarazione sull’accordo del 10 settembre, Zhao Lijian, un portavoce del Ministero degli Affari Esteri cinese, ha affermato che l’accordo provvisorio è stato “realizzato con successo” ed entrambe le parti “continueranno a promuovere il processo a favore del miglioramento delle relazioni”.

 

Molto rischioso

Johnson ritiene che la durata del processo di unificazione della Chiesa sarà determinata da queste sfide, presenti in entrambe le parti. Il Vaticano, ha detto, spera che le divisioni vengano superate e che “la Chiesa diventi più giovane, più flessibile, più forte”. Ma ritiene che non sarà un compito facile perché la sfiducia verso la Chiesa ufficiale rimane grande.

“C’è molta diffidenza nella stessa città, nello stesso paese, tra la Chiesa sotterranea e la Chiesa di Stato”, ha detto Johnson. “Non è realistico pensare che diventeranno tutte una cosa sola. Ci vorrà molto tempo”.

Padre Cervellera concorda con Johnson nel ritenere che Papa Francesco abbia fatto una “scommessa comprensibile”, ma ha aggiunto che si tratta di una scommessa “molto rischiosa”, proprio perché “l’interlocutore non è credibile” e vuole “la soppressione delle religioni, o il loro totale controllo”.

“Come si fa a dialogare con chi ti vuole sopprimere? chiede padre Cervellera. “Forse è meglio pregare per lui, anche dall’interno di un carcere”.

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