Mi ha molto colpito questa testimonianza di Joseph Sciambra, omosessuale, una testimonianza che nasce dalla carne, la sua. Per usare le sue parole, una possente denuncia contro il “falso conforto di padre James Martin”.
Eccola nella mia traduzione.
All’età di sedici anni, dopo un’indifferente educazione cattolica, mi sono recato inspiegabilmente in visita al sacerdote locale.
Non sapevo bene perché volevo vederlo. E’ stato durante l’apice della crisi dell’AIDS, ed ero terrorizzato, perché in quel tempo ero fuori di me. Ero un ragazzino triste e solo, senza amici maschi o modelli di ruolo. Avevo abbandonato la fede cattolica, ma volevo parlare con un uomo – qualsiasi uomo – e non sapevo dove altro andare. Nervosamente farfugliando poche semplici parole, mi sono seduto nel confessionale ed ho detto al sacerdote: “Sono gay“. Il sacerdote mi assicurò che Dio aveva capito. Dio mi aveva “fatto così“. Il suo tentativo di compassione e comprensione portò alla luce ricordi delle mie classi di “religione” di scuola media e superiore, durante le quali era stato sottolineato il primato della coscienza. Secondo il sacerdote, avrei dovuto praticare “sesso sicuro“. Questo era il ruolo proprio della coscienza: doveva indurmi ad agire “responsabilmente“.
Meno di due anni dopo, sono entrato nel quartiere Castro di San Francisco. Per un po’ di tempo, ho giocato al sicuro; più tardi, non l’ho fatto. Dopo qualche anno, in un momento in cui la mia vita non andava così bene, parlai con un altro sacerdote. Egli mi offrì lo stesso consiglio che mi aveva dato il primo sacerdote, ma aggiunse che avevo bisogno di stabilizzarmi con un partner. Ho provato anche questo. Ma non credo di aver fatto grandi cambiamenti nello stile di vita sulla base di quello che mi avevano detto questi sacerdoti. Per la maggior parte, la mia mente era già definita: credevo di essere nato gay. Che qualche Dio mi avesse fatto così o meno, non mi importava molto. In un certo senso, questi sacerdoti avevano facilitato la mia vita confermando ciò che già pensavo. Eppure a sedici anni, quando parlai con quel primo sacerdote, avevo segretamente voluto che dicesse qualcos’altro. Avevo voluto che fosse forte – Avevo voluto che mi salvasse da me stesso.
Oggi (cioè ieri, ndr) il celebre sacerdote James Martin, S.J. parla al World Meeting of Families di Dublino, Irlanda. Il tema della sua presentazione è “Mostrare accoglienza e rispetto nelle nostre parrocchie per le persone LGBT e le loro famiglie“. Nel suo libro Costruire un ponte: Come la Chiesa cattolica e la comunità LGBT possono entrare in un rapporto di rispetto, compassione e sensibilità, Martin loda il Catechismo per aver detto che gli omosessuali devono essere trattati con “rispetto, compassione e sensibilità” e che “ogni segno di ingiusta discriminazione deve essere evitata“. In superficie, il messaggio di James Martin appare compassionevole e sensibile.
In realtà, è conflittuale e confuso. Pur lodando l’appello del Catechismo alla sensibilità, Martin lo denuncia anche come “inutilmente offensivo“ nei confronti degli omosessuali perché descrive l’omosessualità come intrinsecamente disordinata. Martin ha proposto che il Catechismo adotti invece la frase “diversamente ordinato”.
Ma se quella frase fosse stata nel Catechismo quando sono tornato nella Chiesa cattolica dopo anni di vita nel peccato, sarei tornato solo alla mia morte. Dopo aver vissuto per più di un decennio come omosessuale sessualmente attivo, finalmente ho cercato Cristo come un uomo spezzato e umiliato. La mia salute era peggiorata. Avevo visto i miei amici morire di AIDS e ho capito che ero il successivo. Ma anche allora avevo paura di andarmene. Dove andare? Fortunatamente, ho trovato che potevo andare a casa. Anche se ogni sacerdote che ho incontrato presumeva che avrei dovuto continuare nel mio peccato, i miei genitori non lo hanno mai fatto. Mi hanno dato un posto per guarire.
Per un po’ di tempo ho lottato con il Catechismo e con Dio. Mi sono reso conto che l’attività omosessuale è sbagliata. Ho potuto vedere la natura distruttiva del sesso gay nel mio corpo in frantumi. Ma non potevo accettare che, durante tutti quegli anni trascorsi in un paese lontano, le mie sofferenze fossero state vane, che innumerevoli uomini gay fossero morti per niente, che tutti noi avessimo ceduto a una menzogna. Eppure lo abbiamo fatto. Nella mia epoca, alcuni ascoltavano la menzogna attraverso la cultura popolare, sulla scia di “Y.M.C.A.” (brano musicale, vedi sotto, ndr), che prometteva cameratismo maschile per quelli abbastanza coraggiosi da seguire Madonna e “Express Yourself”.
I sacerdoti superficialmente premurosi e compassionevoli che avevo incontrato in gioventù, infatti, non avevano fatto nulla per aiutarmi. Invece di dirmi la verità – che gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati – mi hanno dato delle pacche sulla schiena e mi hanno lasciato andare sulla mia strada. Invece di chiamarmi al celibato e incoraggiarmi a vivere una vita casta, mi hanno lasciato come mi hanno trovato: confuso. Le parole di questi sacerdoti, pronunciate a un giovane con pochissima fede, hanno permesso a quell’uomo di rimanere nel peccato mortale per anni, non pentito e separato da Dio.
Se questo consiglio sacerdotale può così danneggiare la vita di un giovane, immaginate il danno che le parole di padre Martin faranno agli innumerevoli giovani che partecipano sinceramente all’Incontro Mondiale delle Famiglie. Se la Chiesa vuole mostrare vero rispetto, compassione e sensibilità verso le persone omosessuali, deve offrire loro le parole di Cristo – non il falso conforto di padre Martin.
Fonte: First Thing
Ma ancora c’è gente che crede a queste notizie fake?