Interessante analisi del prof. Massimo Introvigne sulla complessa posizione del Vaticano nei confronti della protesta che sta sempre più montando a Hong Kong. La posizione del Vaticano sembra indecifrabile. Introvigne, però, ci aiuta a decifrare alcuni fatti.
L’articolo è stato pubblicato su Bitter Winter, e noi ve lo presentiamo nella traduzione di Riccardo Zenobi.
Il passato, presente e futuro della Chiesa cattolica di Hong Kong – e le decisioni da prendere da parte del Vaticano – pesano fortemente sul destino della protesta.
Le proteste di Hong Kong continuano. Alcuni credono che possano diventare una nuova Tiananmen. Attivisti per i diritti umani riflettono su come la linea degli Stati Uniti e del presidente Donald Trump possano determinare il destino della protesta, o addirittura alimentare o creare opposizione al presidente Xi Jinping all’interno dello stesso CCP (il Partito Comunista Cinese, ndr).
Alcuni ad Hong Kong, ad ogni modo, credono che le scelte di un leader del terzo mondo, in aggiunta a Trump e Xi Jinping, possano pesare pesantemente sul futuro di Hong Kong. Questo leader è papa Francesco. I cattolici ad Hong Kong sono solo il 5% della popolazione, ma hanno uno sproporzionato potere in politica, nella cultura e nei media. La Chief Executive di Hong Kong, Carrie Lam, le cui posizioni filo-CCP hanno scatenato la protesta, è lei stessa un’attivista cattolica, educata in scuole cattoliche, e non è un segreto che si consulta regolarmente con vescovi cattolici in importanti questioni politiche.
Hong Kong è anche un tradizionale ponte tra il Vaticano e la Cina. Secondo gli studiosi delle relazioni Vaticano-Cina, Hong Kong è il luogo dove, fino a che papa Francesco non si è insediato nel suo ufficio nel 2013, la più forte opposizione ad ogni accordo Vaticano con il Partito Comunista Cinese (CCP) che potesse incoraggiare preti e vescovi Cattolici ad unirsi alla Chinese Patriotic Catholic Association (CPCA) ( la Chiesa Cattolica Patriottica, ndr) controllata dal governo sia stata organizzata e gestita con successo, con l’influenza del cardinale anti-CCP Joseph Zen (nato nel 1932 e vescovo di Hong Kong tra il 2002 e il 2009) che si è estesa fino a Roma. Zen, secondo gli stessi studiosi, ha costruito un formidabile team con un membro dell’ordine salesiano, l’arcivescovo Savio Hon Tai-fai (nato ad Hong Kong nel 1950), il più influente prelato cinese nella curia romana, dove ha servito fin dal 2010 come segretario della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, ossia il dipartimento vaticano direttamente responsabile per la Cina. Sia Zen che Ho erano ascoltati da papa Benedetto XVI, e hanno silurato ogni possibile accordo sotto il quale sacerdoti o vescovi cinesi potessero o dovessero unirsi al CPCA. Erano supportati dal Padre, più tardi arcivescovo, Ettore Balestrero, un alto ufficiale politico nel Segretariato di stato vaticano, e un fiero oppositore del CCP.
Nel 2013, papa Benedetto XVI abdicò, e fu eletto papa Francesco. Indicò un accordo con il governo cinese come una delle sue priorità diplomatiche, al costo di chiedere certi “sacrifici” a quei cattolici anti-CCP che avevano sofferto per il (fino ad allora) rifiuto Vaticano di unirsi al CPCA.
Le persone contano, e per fare un accordo con il CCP alcune persone avrebbero dovuto andarsene. Balestrero era talmente un uomo di Benedetto XVI che fu mandato dal Vaticano come ambasciatore (nunzio) in Colombia appena prima l’abdicazione del Pontefice tedesco, secondo le fonti vaticane per proteggerlo da ciò che poteva venire da un nuovo pontefice con diverse inclinazioni. Le stesse fonti affermano che il CCP espresse il suo compiacimento al Vaticano per il fatto che Balestrero lasciava Roma, inducendo qualcuno a vedere la longa manus della Cina dietro un oscuro scandalo riguardante il fratello dell’arcivescovo che lo ha portato ad essere nuovamente mosso da nunzio in Colombia (una nazione importante per la Chiesa cattolica) a nunzio in Congo nel 2018.
Zen terminò il suo episcopato nel 2009 e fu sostituito dal vescovo, più tardi cardinale, John Tong Hon (nato nel 1939). È certamente meno belligerante contro il CCP rispetto a Zen e (diversamente dal suo predecessore) non incline a criticare il Vaticano su nessun argomento. Inoltre, è stato sempre estremamente cauto in questioni riguardanti la terra cinese. Che il Vaticano si muovesse molto cautamente ad Hong Kong è stato confermato dall’aggiunta, nel 2014, di due più giovani vescovi ausiliari, uno considerato anti-CCP, il francescano Joseph Ha Chi-shing (nato nel 1959), ed uno più favorevole ad un accordo con la Cina, Stephen Lee Bun-Sang (nato nel 1956). Lee è un membro dell’Opus Dei ed è considerato teologicamente conservatore, mostrando che essere liberal o conservatori non significa necessariamente essere pro o contro l’accordo Vaticano-Cina.
Le cose, comunque, cambiarono tra il 2016 e il 2017, quando certe decisioni riguardo l’accordo Vaticano-Cina del 2018 furono probabilmente già prese a Roma. L’arcivescovo Savio Hon Tai-fai fu rimosso dalla curia vaticana nel 2016 (un’altra mossa per la quale, secondo fonti interne, il CCP ha ringraziato la santa sede) e fu mandato a prendersi cura della problematica Chiesa Cattolica a Guam, il cui vescovo abdicò dopo essere stato coinvolto in uno scandalo di abusi sessuali. Poi fu mandato in Grecia (non esattamente una nazione chiave per la diplomazia vaticana) come nunzio.
Sempre nel 2016, il vescovo ausiliario di Hong Kong Lee Bun-Sang fu promosso vescovo di Macao, secondo alcuni con le benedizioni del CCP.
Nel 2017, il mandato del cardinale Tong terminò. Venne sostituito dal vescovo Michael Yeung (1945-2019). Stretto collaboratore di Carrie Lam, è difficile scacciare l’impressione che sia stato nominato per promuovere l’accordo Vaticano-Cina siglato nel 2018. Ma andò troppo oltre e finì con l’imbarazzare la Santa Sede, prima dando l’impressione di approvare la distruzione sistematica da parte del CCP delle croci delle chiese protestanti in Cina, poi dichiarando che la sua posizione a riguardo era che le regole del CCP dovessero essere rispettate. Dimostrando, ancora una volta, che uno può essere favorevole al CCP e al tempo stesso teologicamente conservatore, Yeung ha stupito qualche curiale per la sua attitudine militante contro i diritti LGBT e per aver comparato l’omosessualità all’abuso di droga, da molti percepito come contrario alla più tollerante attitudine di papa Francesco sulla materia.
Il 3 gennaio 2019 Yeung, che soffriva di cirrosi al fegato, morì prima che il suo mandato come vescovo di Hong Kong finisse. Tutti gli occhi si spostarono a Roma. C’erano due candidati naturali per la successione, e la scelta avrebbe rivelato come il Vaticano stesse valutando l’accordo che aveva siglato con il CCP alcuni mesi prima. Chiaramente, il CCP sarebbe stato più felice con la scelta del vescovo di Macao, Lee Bun-Sang, come nuovo vescovo di Hong Kong – e molto meno felice se il Papa avesse scelto per la posizione il vescovo ausiliario Ha Chi-shing, considerato anti-CCP. Papa Francesco sorprese tutti nominando né Lee né Ha, ma richiamando dalla pensione il moderato cardinale Tong, chiedendogli di riprendere i suoi vecchi doveri.
E’ così che Tong ha dovuto guidare la Chiesa Cattolica di Hong Kong attraverso la tempesta delle proteste. Ha consigliato Carrie Lam di non firmare il controverso trattato di estradizione con la Cina, e insieme ad altri leader religiosi ha offerto un moderato appoggio a chi protestava. Al tempo stesso, ha anche fatto sì che i cattolici di Hong Kong sapessero che non appoggiava la sonora opposizione del cardinale Zen all’accordo Vaticano-Cina. Ma non ha impedito al suo vescovo ausiliario Ha Chi-shing di partecipare attivamente alle proteste, ed anche essere considerato uno dei suoi leader morali.
Il Vaticano è stato zitto sulle proteste di Hong Kong. Ma chiaramente dovrà parlare prima o poi, non con parole ma con una decisione importante. Il cardinale Tong ha 80 anni. Ha detto chiaramente che accettava il ritorno alla sua vecchia sede provvisoriamente. Presto il Papa dovrà nominare un nuovo vescovo di Hong Kong. I cattolici locali supportano massivamente le proteste e non fanno segreto che si aspettano la nomina del vescovo Ha. Considererebbero la nomina del vescovo di Macao, Lee, come una presa di posizione contro le proteste e la democrazia. Alcuni, comunque, hanno detto a Bitter Winter che circolano alcune voci secondo le quali l’accordo Vaticano-Cina del 2018, il cui testo rimane segreto, potrebbe includere una clausola secondo cui sulla scelta del vescovo ci dovrà essere l’accordo della Santa Sede e del CCP anche ad Hong Kong. Il tempo lo dirà, ma chiaramente la nomina del vescovo Ha sarebbe un segnale al CCP e al mondo che il Vaticano marcia per la democrazia in Hong Kong, e che l’accordo del 2018 non significa che Roma ignora le questioni dei diritti umani. La nomina del vescovo Lee sarebbe un segnale differente, nonostante alcune cautele in quanto il prelato dell’Opus Dei di Macao è una personalità complessa e sarebbe un errore considerarlo come un incondizionato supporter del CCP, esattamente come il vescovo Ha non ha mai supportato l’aperta critica del cardinale Zen al Vaticano. A meno che papa Francesco non sorprenda di nuovo tutti “inventandosi” un terzo candidato – sul quale finora non circolano né indizi né voci.
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