INSOMMA, DOBBIAMO ASCOLTARE LA COSCIENZA DELLE PERSONE O LA PAROLA DI DIO?
Non c’è niente da fare. Le parole dette dal card. Cupich sul matrimonio alla luce di Amoris Laetitia stanno scuotendo il mondo cattolico, stanno sollevano una marea di critiche. Qui riporto l’intervento di padre Gerald E. Murray pubblicato oggi su The Catholic Thing. Sono molto chiare. Non ve le perdete.
Eccole nella mia traduzione.
La Chiesa ha sempre insegnato che il matrimonio è intrinsecamente indissolubile per volontà espressa di Dio. Che l’unità inscindibile del matrimonio non è un ideale, nel senso di una meta ancora non raggiunta verso la quale le coppie sposate si sforzano, ma è piuttosto la realtà stessa, la natura stessa del matrimonio. La Chiesa insegna che la fedeltà alle promesse matrimoniali non è solo qualcosa per cui dovreste sforzarvi nel cercare di arrivare all’ideale del matrimonio, ma è piuttosto un obbligo serio insito nella natura del matrimonio. L’infedeltà non è quindi una scusabile incapacità di realizzare un ideale difficile, forse impossibile da raggiungere. L’infedeltà è piuttosto un rifiuto positivo di un voto solennemente promesso di vivere secondo la natura divinamente voluta del matrimonio. Insomma, la Chiesa insegna che Dio unisce un uomo e una donna in un legame indissolubile e offre loro la grazia di essere fedeli per la vita agli obblighi inerenti a questo stato di vita. L’infedeltà a tali obblighi non comporta la morte o la scomparsa del matrimonio. E il matrimonio non è soggetto a scioglimento con il ritiro retroattivo del consenso in qualsiasi momento dopo lo scambio delle promesse.
Fin dalla pubblicazione di Amoris Laetitia, sono stati espressi dubbi sulla necessità di aderire a questa comprensione del matrimonio. Il cardinale Blasé Cupich di Chicago ha recentemente parlato di Amoris Laetitia al College di St. Edmund di Cambridge, Inghilterra. La sua linea di ragionamento mina l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio, e tutto il resto, trattando la propria esperienza vissuta come una sorta di rivelazione divina. Ciò significa che ciò che si fa diventa lo standard di ciò che si dovrebbe credere.
Il cardinale Cupich parla di una chiesa sinodale nella quale:
“non esiste una distinzione gerarchica tra coloro che hanno conoscenza e coloro che non ce l’hanno. In quanto tale, la conseguenza più importante di questo invito all’accompagnamento dovrebbe essere una maggiore attenzione alle voci dei laici, soprattutto in materia di matrimonio e vita familiare, perché loro vivono questa realtà giorno dopo giorno”.
I laici sono spesso meglio istruiti nella dottrina cattolica dei loro pastori. I pastori dovrebbero rallegrarsi quando trovano che il loro gregge sia sapiente e fedele credente. Ma cosa succede se rifiutano l’insegnamento della Chiesa? È questo rifiuto da abbracciare come segno dell’azione di Dio nella loro vita?
Il cardinale Cupich sostiene:
“Va da sé che questo significherà anche rifiutare un modo autoritario o paternalistico di trattare con le persone che stabiliscono la legge, che pretende di avere tutte le risposte, o risposte facili a problemi complessi, che suggerisce che le regole generali porteranno senza soluzione di continuità ad una chiarezza immediata o che gli insegnamenti della nostra tradizione possono essere applicati in modo preventivo alle particolari sfide che le coppie e le famiglie affronteranno. Al suo posto sarà necessaria una nuova direzione, che preveda il ministero come accompagnamento, un accompagnamento, che vedremo, è segnato da un profondo rispetto per la coscienza dei fedeli“.
È profondamente demoralizzante sentire un vescovo cattolico descrivere il compito di insegnare ai fedeli le verità del Vangelo come un esercizio di autoritarismo o paternalismo che “finge” di rispondere alle difficili domande o problemi che le persone hanno. Quando sostiene che è sbagliato pensare che “gli insegnamenti della nostra tradizione” possano “preventivamente” rispondere “a particolari sfide che devono affrontare le coppie e le famiglie”, egli riduce l’insegnamento della Chiesa ad una serie inadeguata di suggerimenti possibilmente utili. La voce del Signore che parla attraverso la dottrina della sua Chiesa non è più affidabile o universalmente applicabile. Dobbiamo invece ascoltare la coscienza delle coppie sposate, che è addirittura vista come una nuova fonte di insegnamento divino.
Il cardinale Cupich afferma:
“L’accompagnamento è anche un atto di formazione dell’insegnamento della Chiesa. C è un continuum di accompagnamento che sostiene questa intera gamma di azioni della Chiesa. E così. . . lo scopo principale dell’insegnamento formale sul matrimonio è l’accompagnamento, non la ricerca di un insieme astratto e isolato di verità. Si tratta di un cambiamento importante nel nostro approccio ministeriale che è a dir poco rivoluzionario“. [Enfasi aggiunta].
Che cosa comporta questa rivoluzione? Il cardinale Cupich dice:
“Se presa sul serio, questa definizione richiede un profondo rispetto per il discernimento delle coppie sposate e delle famiglie. Le loro decisioni di coscienza rappresentano il consiglio personale di Dio per le particolarità della loro vita. In altre parole, la voce della coscienza – la voce di Dio – o, se mi fosse permesso di citare un uomo di Oxford qui a Cambridge, ciò che Newman chiamava “il vicario aborigeno di Cristo” – potrebbe benissimo affermare la necessità di vivere ad una certa distanza dalla comprensione dell’ideale da parte della Chiesa, chiamando tuttavia una persona “a nuove fasi della crescita e a nuove decisioni che possano consentire di realizzare meglio l’ideale” (AL 303). [grassetto mio]
Così una decisione di coscienza, ad esempio, di lasciare la propria moglie e di “risposarsi” civilmente, è etichettata come “consiglio personale di Dio” che darebbe approvazione divina al proprio irreprensibile abbraccio della “necessità” di ciò che eufemisticamente si chiama “vivere a una certa distanza dalla comprensione dell’ideale da parte della Chiesa”. Il cardinale Cupich ci sta dicendo che Dio ispirerà qualcuno a decidere serenamente nella sua coscienza che per lui è necessario commettere atti adulteri, e che questa è quindi la volontà di Dio per lui.
Vi è una qualche possibile via che questa opinione sia conciliabile con l’insegnamento cattolico sulla natura e la corretta formazione della coscienza, sulla necessità di evitare sempre il peccato mortale e sull’impossibilità per Dio di approvare ciò che Egli condanna, cioè l’adulterio?
Ciò che è rivoluzionario qui non è un cambiamento nell’insegnamento della Chiesa sul matrimonio (che è impossibile), ma piuttosto il tentativo di contestare tale insegnamento sostenendo che, poiché alcune persone decidono che preferiscono non essere fedeli alle loro promesse matrimoniali, possono in buona coscienza sostenere che Dio non richiede loro di essere fedeli; piuttosto dovrebbero riconoscere con calma la “necessità” di abbracciare ciò che è sempre stato insegnato dalla Chiesa essere uno stile di vita gravemente immorale.
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