In Germania la fazione realista sulla guerra in Ucraina comincia a ritrovare la sua voce. Ne parla Ralph Schoellhammer nel suo articolo pubblicato su Unherd che vi propongo qui sotto nella mia traduzione.
Un Paese può davvero cambiare da un giorno all’altro? Dopo aver coltivato una cultura nazionale intrinsecamente diffidente nei confronti dell’intervento in conflitti stranieri dopo il 1945, la guerra in Ucraina sembra aver provocato un cambiamento fondamentale nel modo in cui Berlino vede la sua posizione nell’ordine internazionale. A pochi giorni dall’invasione russa, il cancelliere Scholz ha dichiarato di aumentare la spesa per la difesa oltre il 2% del PIL e di destinare altri 100 miliardi di euro alle forze armate tedesche.
Ma nelle ultime settimane, alcuni dei principali intellettuali tedeschi sono usciti allo scoperto per esprimere il loro disagio riguardo al coinvolgimento del Paese in Ucraina.
All’inizio di maggio, un gruppo di accademici tedeschi ha pubblicato una lettera aperta in cui si chiedeva al governo tedesco di riconsiderare la fornitura di armi pesanti all’Ucraina, che ha raccolto oltre 285.000 firme (per contro, una lettera rivale che chiedeva un sostegno incondizionato all’Ucraina ha raccolto solo 71.000 firme). Grazie al sostegno di Martin Walser e Jürgen Habermas, la fazione contro la guerra ha dalla sua parte due dei più importanti intellettuali tedeschi. Quest’ultimo è stato particolarmente severo nel criticare coloro che chiedono maggiore sostegno all’Ucraina. Habermas sostiene che sono stridenti e ricattano moralmente, sabotando il corso prudente del cancelliere Scholz.
Dal compianto Günther Grass – vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1999 – a Walser e Habermas, c’è stato a lungo un consenso sul fatto che l’Occidente debba sempre mostrare moderazione nella sua politica estera. Dal 1945 l’identità e la politica estera tedesca si sono basate sul principio di evitare il coinvolgimento diretto nei conflitti armati e di interferire principalmente attraverso il sostegno finanziario, come è accaduto durante la guerra del Golfo Persico nel 1991, quando Berlino non ha inviato truppe ma un assegno. Ci sono state alcune eccezioni, come le guerre balcaniche negli anni ’90 o dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, ma entrambi i casi hanno portato ad accesi dibattiti interni.
È importante capire che questa linea di pensiero non è solo una questione di politica, ma di una cultura politica che vede in ogni potenziale coinvolgimento militare il riflesso del proprio passato bellicoso e qualsiasi tipo di pace come opzione preferibile. Non vedendo la sconfitta della Russia come una possibilità realistica, per molti intellettuali tedeschi l’attuale livello di sostegno all’Ucraina è avventato.
Anche l’atteggiamento nei confronti del Presidente Zelenskyy sta cambiando. Una rivista austriaca ha recentemente pubblicato un articolo di copertina che è stato ampiamente condiviso in Germania, in cui si afferma che Zelenskyy “mente e inganna per riempire un vuoto interiore guidato dal trauma psicologico di avere antenati ebrei”, mentre Putin “si sente incompreso”. Nella sua attuale edizione cartacea, il quotidiano tedesco “Süddeutsche Zeitung” ha pubblicato una vignetta che raffigura uno Zelenskyy sovradimensionato che incombe sul World Economic Forum di Davos, giocando con gli stereotipi antisemiti. Queste storie riflettono un sentimento più ampio nel Paese: la maggioranza dei tedeschi ha chiarito, ad esempio, che non sosterrebbe un embargo energetico contro la Russia.
Man mano che la guerra si trascina, un numero sempre maggiore di tedeschi sembra desiderare un ritorno al consenso post-1945 e disimpegnarsi il più possibile dal conflitto. E sono i principali intellettuali del Paese a guidare questo cambiamento.
Ralph Schoellhammer
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