di Roberto Allieri
Ha destato molto scalpore (qui e qui) qualche settimana fa la proposta di legge di un esponente di Fratelli d’Italia che, in difesa della lingua italiana, prevedeva l’applicazione di multe in caso di abuso di parole straniere nei documenti della pubblica amministrazione.
La proposta, che peraltro si ispira ad analoghe disposizioni vigenti in Francia e Spagna (dove non ci si vergogna nella difesa del purismo della propria lingua madre) molto probabilmente verrà affossata; o è già stata affossata. Troppo clamorosa la protesta delle opposizioni e del mainstream globalista, sfociata nell’aperta derisione, discredito e disprezzo. Valorizzare l’identità nazionale è evidentemente un intralcio all’agenda che vuole livellare e omologare sempre più i cittadini su standard globali.
Tutto sommato però, concordo con chi avversa la proposta su un punto: l’odiosità delle sanzioni economiche. Non sopporto chi vuole applicare multe perché non ti adegui a imposizioni di carattere etico-culturale-filosofico-religioso; insomma, per dirla tutta, sopraffazioni di carattere ideologico e contro la libertà di pensiero e manifestazione del pensiero.
Il quale pensiero deve pur esprimersi in una lingua comprensibile a chi lo elabora. Valorizzare e difendere la lingua italiana può perciò essere un proposito condivisibile ma che non deve essere imposto coercitivamente bensì favorito con una campagna di moral suasion. Ecco vedete? Ci sono cascato anch’io. Forse dopo aver seguito una campagna di educazione gentile (di quelle che lasciano libertà di scelta, preferendo convincere che imporre) avrei detto ‘persuasione morale’.
Detto questo e sgombrato il campo da possibili simpatie politiche, attendo al varco quei fieri censori citati in apertura con i quali condivido, per una volta, lo stesso orientamento su una questione etico/culturale.
Questi paladini della libertà di esprimersi in lingue straniere dovrebbero, a maggior ragione, difendere la libertà di un cittadino di esprimersi nella propria lingua madre.
Se è aberrante punire un italiano perché usa parole straniere lo sarebbe ancor di più se un italiano fosse punito perché parla nella sua lingua materna. Che potrebbe, per ipotesi, essere anche un dialetto o un idioma straniero (pensiamo alle province trentine o in certe zone a ridosso della Francia o della Slovenia).
Vorrei allora portare il discorso ad un paio di situazioni scabrose relative a Paesi europei, nelle quali mi aspetto un atteggiamento di coerente condanna da parte dei suddetti fustigatori; altrimenti calerebbe, una volta di più, il velo dell’ipocrisia farisaica.
Pesco alcune informazioni dal seguente video, tratto dalla trasmissione Grandangolo-Pangea, condotta da Manlio Dinucci su byoblu.
Partendo dal minuto 12 e 07 secondi scopro che in Lettonia, il 28% della popolazione è russofona.
Al minuto 17 e 30 secondi allibisco: i cittadini russofoni della Lettonia per non essere espulsi dal Paese sono costretti a sostenere un esame di lingua lettone molto arduo (anche per gli stessi lettoni, per dare un’idea). Un’agenzia Reuter riporta la testimonianza scioccante di una ‘candidata’ russofona alla prova di cittadinanza. Dice Valentina Sevastjanova, insegnante di inglese che vive a Riga: ‘Se venissi espulsa non saprei dove andare. Vivo qui da 40 anni’.
L’agenzia denuncia inoltre che in Lettonia sono state vietate le trasmissioni televisive dalla Russia, cambiati nomi a vie intestate a personaggi russi (come del resto in Ucraina, ma la russofobia sta dilagando anche da noi) e, cosa ancor più indicativa dell’odio razziale, si sta epurando nelle scuole l’insegnamento del russo: una vera e propria pulizia etnica linguistica.
Faccio presente che la Lettonia è Paese aderente alla UE e alla Nato dal 2004. Dovrebbe quindi abbracciare i principi contenuti nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea che prevedono il diritto ad esprimersi nella propria lingua. Un diritto di lingua e identità culturali esplicitamente riconosciuto quale aspetto che forma l’identità personale e collettiva di ciascuno. Come la mettiamo con quei commissari di Bruxelles tanto solerti nel sanzionare Polonia e Ungheria per violazione allo Stato di diritto perché mantengono leggi contro l’aborto e a difesa della famiglia? Non è questa una della più macroscopiche violazione allo Stato di diritto, tutelato anche a livello europeo? Ma so già che il mio interrogativo cadrà nel vuoto…
E veniamo a quanto succede in Ucraina (minuto 25). La soppressione della toponomastica russa e l’attuale campagna di pulizia etnica che colpisce ogni simbolo riconducibile alla storia e cultura russa è l’esito finale di un percorso iniziato dal 2014 in Donbass. Giova infatti ricordare che da qualche anno, in un territorio dove, secondo l’ultimo censimento del 2001, il russo è la lingua parlata dal 74,9% della popolazione contro il 24,1 di lingua madre ucraina, (fonte wikipedia) (per non parlar della Crimea, dove la percentuale di russi e russofoni ha percentuali… bulgare) si è in questi anni recenti vietato l’uso e l’insegnamento della lingua russa in ogni scuola e ufficio pubblico. Sembra che parlare russo stia quasi diventando un reato. Immaginiamo cosa succederebbe se nell’Alto Adige si adottassero misure analoghe contro la lingua e la cultura tedesca!
Ed ecco la ciliegina sulla torta (minuto 26.30): il Presidente del comitato ucraino per la politica umanitaria e l’informazione ha disposto che, per ottenere la cittadinanza ucraina, sarà necessario superare un esame non solo sulla conoscenza della lingua ucraina ma anche della Costituzione e sulla storia dell’Ucraina. Disposizioni che si affiancano a quelle che prevedono l’invio al macero e ai roghi di testi scritti in russo, per cancellare quella cultura che viene considerata la fonte del male (ci ricordano qualcosa questi roghi?).
Ebbene, la carrellata di situazioni che ho riportato non è affatto eterogenea. In ognuna di esse viene minacciata la libertà di esprimersi nella lingua che più ci aggrada: che sia l’inglese per i cittadini italiani esterofili o la lingua madre per i russofoni che vivono in Lettonia e Ucraina. Il tutto per favorire una lingua che a volte è ostica e matrigna. Una lingua che si vuole fare amare per forza.
Sia ben chiaro: ci possono essere valide motivazioni nella difesa di un idioma nazionale. In Francia e Spagna l’orgoglio nazionale non lo vedo come un attentato alla libertà culturale e di espressione.
Ciò che fa la differenza è l’odio, il disprezzo o il deliberato tentativo di repressione che va al di là della ragionevolezza e del rispetto dell’identità di una persona. Il razzismo, insomma. Questa brutta bestia è bene riconoscerla, sempre. Soprattutto quando ci si appella a norme spacciate contro le discriminazioni, ma che in realtà vengono strumentalizzate per amplificarle.
Mi riferisco alla liberticida Legge Mancino del 1975 confluita negli attuali 604 bis e ter del Codice Penale. Norme ipocrite contro le discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi che si sconfessano apertamente nel momento in cui si favoriscono atti e atteggiamenti contro la nostra identità nazionale o russofobici, cristofobici, etc; per poi volerle applicare discrezionalmente e pesantemente, anche in assenza di sanzioni normative, per presunte discriminazioni omotransfobiche…
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