Sant'Agostino e il Diavolo
Sant’Agostino e il Diavolo, di Michael Pacher

 

 

di Mattia Spanò

 

L’autorità – cosa ben diversa dal potere – è sempre esistita. Le comunità umane, sin dalla preistoria, si organizzano in società a partire da un’autorità riconosciuta da tutti i suoi membri, o larga parte di essi. In genere è il vecchio, o un consiglio di anziani. Il vecchio è colui che più ha vissuto. Conosce tutti gli uomini venuti dopo, giudica e amministra. Non lo fa sempre bene, qualcuno scontenta, ma tutti riconoscono la necessità di un ordine. Si crede che l’autorità sia conferita dagli dei, e in qualche caso il capo stesso è un dio o un semidio. Si riconosce cioè che l’autorità suprema non è umana, discende dall’alto. Quella umana ne è un riflesso.

Con la guerra, l’autorità diventa potere. In questo frangente, il potere si può  definire come autorità esercitata su esseri umani che non si riconoscono come stirpe, cioè membri della comunità originaria. Di loro non ci si può fidare: hanno altre lingue, altre credenze, altre culture. Bisogna sfruttarli o opprimerli, comunque contenerli, più di rado integrarli.

Per gran parte della Storia umana, l’autorità è corporea. C’è un re, un arconte, un senato, un imperatore. Il sistema delle leggi assicura che l’autorità venga esercitata in ogni circostanza. Tuttavia, se il sovrano viene meno ai suoi obblighi, può essere rovesciato o ucciso. La guerra è argomento politico universalmente accettato: si può perdere, si può vincere, comunque vada le cose cambiano. L’efficacia pratica della brutalità non passi inosservata.

Fino alla Rivoluzione Francese, l’autorità è la realtà, parola che secondo un’interpretazione accreditata deriva da rex, il re. La realtà è ciò che esiste sotto il re: è ordinata da leggi che provengono da un soggetto. Dalla Rivoluzione in poi, la realtà diventa l’Idea. È lì che prende corpo l’idea del potere come astrazione. L’uomo politico, il governante, non è che il semplice notaio dell’Idea.

Gli obiettivi del potere, anche grazie alla macchina, diventano sempre più magniloquenti, urgenti, epocali. Nei fatti, un massacrante calciare il barattolo. Pace nel mondo, eliminare la fame, la guerra e la povertà, lotta contro le discriminazioni (non tutte), la transizione ecologica, la colpa storica incancellabile: tutto diventa universale, imperativo, urgente. Cambiamo il mondo, cambiamo l’uomo, salviamo il pianeta, facciamo l’Italia anzi gli italiani, il nuovo secolo americano, il globalismo, la fine della Storia, il Grande Reset.

Viviamo l’epoca del Grande Filantropo, il pittore di scenari  catastrofici e insieme chimerici, colui che si strugge per le sorti del mondo e dell’umanità investendo miliardi a vantaggio dei più deboli, naturalmente salvandoli da se stessi. Salvandoli secondo lui, non certo secondo loro. Se poi ne ricava profitto, è giusto così perché egli è buono.

La politica viene divinizzata, i presidenti diventano “autorità morali”, i progetti politici filtrano da oscuri consessi, agglutinati di think tank, spin-doctor e turbo-consulenti di altissimo profilo, i Jean Monnet, i Kagan, i Kissinger, gli Attali, i Delors, gli Schwab. I piani Marshall, le Agende 20-30, i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza si moltiplicano come le Giornate della Moffetta e dell’Alluce Valgo. I Monti, i Draghi, i Macron sono i fachidiot del potere incorporeo, fantozziano, fatto di slide e fogli Excel come a suo tempo il ministro Vittorio Colao.

Talvolta non eletti ma “credibili” a livello internazionale – però non si specifica mai chi li ritenga tali –,  talaltra terminali di massicce macchine di propaganda erette da gruppi d’interesse che mai fanno la spesa al supermercato né prendono un aereo, limitandosi a comprare gli uni e gli altri. Impiegatizi, sono l’Eichmann che a Gerusalemme si difende dicendo di essersi limitato ad eseguire gli ordini del Fürher. Maschere ridicole e tragiche. D’altra parte, bene scrive Céline in Viaggio al termine della notte, “perché nel cervello d’un coglione il pensiero faccia un giro, bisogna che gli capitino un sacco di cose e di molto crudeli”.

Coinvolgimento delle parti sociali? Nessuno. Richiesta di pareri, favorevoli o contrari? Giammai. L’identità di chi soffia ai loro orecchi? Ignota. Sono uomini seri per decreto mediatico che loro stessi foraggiano lautamente, perché dissentire? Le alternative possibili? Sovranismo nazista, come ha ricordato a se stesso papa Francesco. Tutto scende dall’alto come bene in re ipsa. L’euro è irreversibile, ci vuole più Europa, bisogna somministrare meno informazione democratica, bisogna cedere sovranità, ah signora mia dove finiremmo se. Slogan apodittici, professioni di fede. I referendum popolari danno risultati sgraditi? Si ripetano finché il risultato non piace alla gente che piace. I vegliardi inglesi votano Brexit? Togliamo il voto agli anziani, oppure agli ignoranti.

La Genesi racconta che il serpente tenta la donna, che a sua volta corrompe l’uomo. Il serpente non agisce direttamente, ma per procura. Promette che diventeranno come Dio, non dice con quali conseguenze. È questo, ad un occhio attento, il limite del diavolo. Non può agire direttamente: deve suggerire, sviare, mentire. Deve attaccarsi alla Scienza, ai Dati, al Marketing, perché in fondo non ha nessuna autorità. Egli è divisivo perché anzitutto divide l’uomo dal Creatore, poi l’uomo dal suo simile, poi lo frantuma nello spirito.

Il diavolo fa progetti roboanti e ha bisogno di collaboratori disposti a vedere nel futuro, ben oltre le loro sterili vite. Dio, al contrario, non spaccia soluzioni, non inizia processi: ha un posto diverso per ognuno di noi – “vado a prepararvi un posto”, perché “nella casa del Padre mio vi sono molte dimore” (Gv 14, 1-6) – cioè offre un destino. Va Lui, non manda altri a fare il lavoro sporco. Non dice né che è lo stesso posto per tutti – anzi – né domanda il permesso o chiede se ci faccia piacere. Agisce d’imperio, alla luce del sole. Ha un nome, un volto di cui quello umano è “immagine e somiglianza”. Dona e toglie, senza bisogno di alcuna spiegazione. Il diavolo vive nell’ombra di fuoco, affabula, si contraddice, si giustifica, manipola, cambia discorso, rimanda ad altro, falsifica. È un influencer, una Chiara Ferragni più bravo e meno bello, parente stretto dell’influenza causata dai virus. E come un virus agisce.

Suggestioni? Ognuno la pensi come vuole, ma a valle di due anni di mostruosità pandemoniche abbiamo un premier che dichiara candidamente che un tot di italiani sono fuori dalla società. O che gran parte dei problemi del Paese dipendono da chi non si vaccina. Non da decenni di governi-guitto e commedia dell’arte, o da un’emergenza gestita come in stato di ubriachezza molesta. No: il vaso di Pandora sono i no-vax, persone che non violano nessuna legge. Se questa non è una manifestazione del carattere diabolico del potere, non so davvero cosa lo sia.

 

Facebook Comments
Print Friendly, PDF & Email