Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Ed Condon e pubblicato su The Pillar. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella mia traduzione.
La dichiarazione ha generato notevoli critiche (noi ne abbiamo parlato qua in italiano, ndr), per aver lodato la “sana vita comunitaria del Centro Aletti senza particolari criticità” e per aver elogiato i suoi membri per aver “mantenuto il silenzio” sulle decine di accuse secondo cui Rupnik avrebbe abusato spiritualmente e sessualmente di donne, anche attraverso atti sessuali apertamente sacrileghi.
Il rapporto sembra anche difendere Rupnik, che è stato espulso dalla Compagnia di Gesù all’inizio di quest’anno, e mette in discussione la decisione del Vaticano di scomunicarlo per breve tempo per un crimine contro il sacramento della confessione.
Per alcuni critici, la valutazione della Diocesi di Roma del 18 settembre è sembrata appoggiare il famoso artista, nonostante le decine di accuse di abusi sessuali che lo stesso investigatore della Compagnia di Gesù ha definito “altamente credibili”.
Ma a parte questi problemi, il rapporto solleva un’altra seria questione.
Il rapporto dell’investigatore diocesano sembra attingere ai fascicoli di un’indagine penale canonica sigillata, in cui la diocesi di Roma non ha svolto alcun ruolo apparente.
Come ha fatto l’investigatore ad accedere a quei documenti?
Ci sono tre possibili risposte più ovvie a questa domanda.
Queste risposte indicano o gravi lacune nella gestione di materiali riservati, o uno sforzo concertato per minare la condanna di Rupnik e difendere la sua reputazione.
L’indagine su Centrol Aletti è stata condotta da mons. Giacomo Incitti, un professore di diritto canonico incaricato dal vicario diocesano del Papa, il cardinale Angelo De Donatis.
Il riassunto di Incitti, incluso nella relazione del 18 settembre, ha sottolineato che il canonista ha esaminato un numero “copioso” di documenti relativi a Rupnik.
Incitti ha detto che quei documenti indicavano un problema nel modo in cui Rupnik era stato indagato.
“Sulla base del copioso materiale documentale studiato, il visitatore ha potuto riscontrare, e quindi segnalare, procedure gravemente anomale il cui esame ha generato anche fondati dubbi sulla stessa richiesta di scomunica”.
Incitti parlava di un’indagine del 2019 sull’accusa che nel 2015 Rupnik abbia tentato di assolvere sacramentalmente un partner sessuale. Il tentativo di assoluzione è un reato grave nel diritto canonico, che deve essere trattato dal Dicastero per la Dottrina della Fede.
I funzionari della Compagnia di Gesù affermano che l’ordine ha trasmesso i dettagli dell’accusa al dicastero nel 2019, quando i funzionari dicono di esserne venuti a conoscenza.
Il dicastero ha delegato il gesuita a indagare e a procedere con un processo penale contro Rupnik, nel quale è stato condannato per il reato.
La pena della scomunica – prevista dalla legge – è stata dichiarata dal dicastero, comminata alla conclusione del processo, e revocata alcuni mesi dopo, perché Rupnik si sarebbe pentito.
Ma i file relativi a quel caso sono sigillati dal più alto tipo di riservatezza nella Chiesa – il segreto pontificio.
Questo livello di riservatezza viene applicato con particolare rigore nei casi che riguardano il confessionale, come questo.
Ma nell’ambito della sua visita al Centro Aletti, Incitti ha apparentemente avuto accesso ai fascicoli del caso per trarre le proprie conclusioni su come è stato gestito il processo.
Infatti, secondo la dichiarazione del vicariato, Incitti aveva informazioni sufficienti per contestare la dichiarazione di pena del dicastero vaticano.
Non è chiaro come o perché abbia avuto accesso a quei file, dal momento che il Vicariato di Roma ha precedentemente insistito sul fatto che Rupnik non era sotto la sua giurisdizione canonica e che non era in grado di perseguirlo.
Sebbene Rupnik avesse “un rapporto pastorale a più livelli con la diocesi di Roma”, ha detto De Donatis l’anno scorso, “non è in una posizione di sottomissione gerarchica al cardinale vicario a livello disciplinare ed eventualmente penale”.
Più precisamente, il cardinale ha detto l’anno scorso che la diocesi era appena venuta a conoscenza delle accuse contro il sacerdote.
Prendendo il cardinale in parola, lo scorso dicembre, che il vicariato non era a conoscenza delle accuse contro Rupnik e non aveva l’autorità per procedere canonicamente contro di lui, sembrerebbe che la diocesi di Roma non abbia alcun documento proprio riguardante un processo penale contro Rupnik nel 2019.
Pertanto, il “copioso materiale documentario” sul caso apparentemente studiato da Incitti deve provenire o dai superiori dei gesuiti o dallo stesso DDF.
Se l’accesso a tali file fosse stato concesso ufficialmente, ciò rappresenterebbe un’eclatante violazione del segreto d’ufficio, soprattutto per quanto riguarda un caso che coinvolge materiale confessionale. Solleverebbe interrogativi reali sul perché di questa decisione, data la precedente insistenza del cardinale De Donatis sul fatto che i presunti crimini di Rupnik non erano un problema diocesano.
E se l’accesso ai file del caso fosse stato concesso a livello ufficiale dalla Compagnia di Gesù o dal DDF, ciò renderebbe anche la decisione del vicariato di rendere pubbliche le critiche di Incitti al caso e alle sue conclusioni un atto di antagonismo calcolato contro il dicastero vaticano e l’ordine dei gesuiti.
Ma se questo è ciò che è accaduto, è tutt’altro che chiaro il motivo per cui De Donatis, in qualità di vicario diocesano del Papa, avrebbe scelto di litigare pubblicamente con la curia e l’ordine religioso di Francesco, infiammando uno scandalo nel suo stesso giardino.
L’alternativa sembrerebbe essere che Incitti non abbia avuto accesso ai fascicoli canonici del processo penale del 2019 di Rupnik che ha portato alla sua scomunica breve e che invece abbia accumulato la sua voluminosa collezione di documenti nel corso della sua visita al Centro Aletti.
Se così fosse, sarebbe notevole per diverse ragioni, in primo luogo che abbia intrapreso un’indagine parallela su un crimine canonico al di fuori della sua giurisdizione, riservato al DDF, e che era già stato risolto dalla massima autorità disciplinare della Chiesa. E che lo ha fatto nonostante ciò gli imponesse di cercare di scoprire i dettagli di ciò che era accaduto in un incontro in confessionale tra un sacerdote e un penitente, pur non avendo l’autorizzazione a farlo.
In questo caso, è ancora più difficile capire perché lo abbia fatto. E perché De Donatis avrebbe approvato un attacco pubblico e apparentemente auto-motivato al processo e alle conclusioni della DDF e dei gesuiti, soprattutto perché né lui né Incitti potevano sapere se stavano operando con le informazioni complete in possesso del dicastero e della società.
Esiste, naturalmente, una terza possibilità.
È possibile che Incitti abbia potuto esaminare i file del processo canonico di Rupnik del 2019 perché qualcuno della Compagnia di Gesù o del Dicastero per la Dottrina della Fede glieli ha trasmessi senza autorizzazione.
Questo avrebbe permesso a Incitti di farsi un’idea propria del processo e della decisione, anche se, a seconda delle motivazioni di chi ha fatto la soffiata, potrebbe essersi formato su informazioni incomplete o addirittura selettive, destinate a portarlo a una particolare conclusione.
In ogni caso, la possibilità che una fuga di notizie porti a una relazione e a una dichiarazione del vicariato che contesti la condanna di Rupnik suggerirebbe che è in corso uno sforzo concertato per sostenere la causa di Rupnik e forse per ottenere una sorta di riabilitazione per lui.
Ma anche in questo caso, e anche ipotizzando sincere preoccupazioni per il processo penale di Rupnik piuttosto che partigianeria personale a suo favore, la dichiarazione del vicariato rappresenta comunque una mossa coraggiosa da parte del cardinale De Donatis.
Per il momento, oltre a suscitare una nuova serie di critiche, il vicariato ha ottenuto di mettersi al centro dello scandalo Rupnik e di sollevare interrogativi reali sulla sua indagine e sul giudizio del cardinale.
Ed Condon
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. I contributi pubblicati su questo blog hanno il solo scopo di alimentare un civile e amichevole confronto volto ad approfondire la realtà.
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