V Domenica di Quaresima (Anno C)
(Is 43,16-21; Sal 125 (126); Fil 3,8-14; Gv 8,1-11)
di Alberto Strumia
La “chiave” per aprire la porta dell’insegnamento del Vangelo di oggi sembra essere racchiusa nello “scrigno” di queste parole della prima lettura, tratta dal profeta Isaia: «Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?». Una cosa nuova… In che cosa consiste questa cosa nuova, che non c’era ancora “prima di Cristo” e della quale, dopo due millenni di cristianesimo, l’umanità sembra, ormai, incapace di accorgersi più (non ve ne accorgete?), nel mondo e in larga misura perfino nella Chiesa?
Sembra quasi che il Signore l’abbia scritta nelle parole – che per noi rimangono misteriose e sconosciute – chinandosi per ben due volte a tracciarle sulla terra («Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra»; «e, chinatosi di nuovo, scriveva per terra»). Forse le parole che pronuncerà subito dopo ai presenti: «Di nuovo Gesù parlò loro: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”» (Gv 8,12); o qualche capitolo più avanti: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6).
Di fatto nel Vangelo di oggi vengono corretti due errori che sono due facce di una stessa medaglia.
– Il primo è quel “legalismo” moralistico che, in nome della “legge” – fosse quella degli Stati degli uomini, o fosse addirittura quella di Dio – non riesce a riscattare le persone che non la rispettano, ma le condanna a finire vittime di un “giustizialismo” che può giungere anche ad uccidere (direttamente con una morte inferta o indirettamente spingendo al suicidio). Sono cose che succedono anche ai nostri giorni, e sono successe qui da noi in questi ultimi trenta-quarant’anni.
L’episodio dell’adultera del Vangelo descrive l’esecuzione di una sentenza che sta per avvenire in nome della Legge che Dio aveva dato a Mosè, i Dieci Comandamenti («Un uomo o una donna che faccia ciò che è male agli occhi del Signore tuo Dio, trasgredendo la sua alleanza […] lapiderai quell’uomo o quella donna, così che muoia», Deut 17,2.5). Come dire che
= la Legge è indispensabile per mantenere in piedi una vita vivibile individualmente e socialmente (soprattutto quella stabilita da Dio Creatore per il buon funzionamento delle persone e delle cose)
= ma, una volta identificato l’errore (il peccato) non è in grado, “da sola”, di risanare la coscienza di chi l’ha trasgredita. Lo ha spiegato bene san Paolo ai Galati, quando ha detto che «dalle opere della legge non verrà mai giustificato [cioè restituito alla “giustizia originale”] nessuno» (Gal 2,16).
– Il secondo errore, partendo dalla constatazione che la legge (neppure la Legge data da Dio), da sola, non basta a rieducare le coscienze al bene, è quello che cade nell’eccesso opposto, quello del “perdonismo lassista” che lascia fare tutto a tutti, concependo il “perdono” come un “condono” generalizzato. Siccome non siamo in grado di curare la malattia (il peccato), fingiamo che l’uomo sia comunque buono e che la malattia (il peccato) non esista. È quello che si fa oggi insegnando che nella vita privata non ci sono regole morali da rispettare, purché non si arrechi danno agli altri. Alla fine, si rende soggettiva la stessa distinzione tra il bene e il male, perché tutti hanno modi di vedere le cose diversi, finendo nell’anarchia (ognuno ha la sua verità) o nella dittatura (la verità ce l’ha chi ha preso il potere).
Occorre una cosa nuova […] non ve ne accorgete? Per il momento, oggi, non se ne accorge praticamente nessuno e ci si ferma ad analisi sempre più lontane dalla realtà e sempre meno efficaci nel risanarla; e anche nella Chiesa sembra ci si sia ridotti a seguire questo andazzo… Il Signore sembra essere rimasto in silenzio ad aspettare che qualcuno lo chiami e a scrivere per terra “l’ultima parola” sulla storia che è la Sua. Allora neppure la donna lo capì subito: «E Gesù disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”»; e insieme a quella raccomandazione morale, Gesù dovette darle la Sua Grazia per metterla in condizioni di poterla mettere in pratica.
Ma mentre allora «insistevano nell’interrogarlo», oggi non lo si interroga neppure più, presumendo di avere superato il Suo insegnamento, di averlo addomesticato adeguandolo ai tempi («Stolti e ciechi», Mt 24,25; «E disse loro: «Siete anche voi così privi di intelletto?», Mc 7,18; «Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore…», Lc 24,25). E allora non c’è che da chiedergli di intervenire Lui direttamente per far vedere che solo Lui è in grado di ricostruire le coscienze facendo in modo che, chi vuole liberamente domandarla, abbia la capacità (“Grazia”) di seguire il bene indicato nella Legge («La Legge è per noi come un pedagogo che ci ha condotto a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede», Gal 3,24).
San Paolo, nella seconda lettura dimostra di avere capito come stanno le cose e di avere fatto il passo che va ben oltre le sole analisi e ipotizzate soluzioni umane che accumulano strutture e sovrastrutture, riunioni e tavoli di confronto, chiacchiere e commenti inutili («ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura») e di fare di tutto «per guadagnare Cristo ed essere trovato in Lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede». Solo in questa prospettiva si può risanare anche la vivibilità in questo mondo. La sfida della Chiesa sta nel gridarlo e documentarlo nella vita e non certo nello scimmiottare il mondo per farsi accettare come un relitto del passato che chiede di sopravvivere…
Con l’Apostolo siamo richiamati ad avere il realismo di dire: «Non ho certo raggiunto la meta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù» (seconda lettura), perché siamo in attesa di passare da questa provvisorietà terrestre alla definitiva condizione di Bene nell’Eternità.
Questo tempo di Quaresima dovrebbe avercelo ricordato, come ogni anno, preparandoci a celebrare la Pasqua seguendo i riti della liturgia della Settimana Santa, pieni di gratitudine verso Cristo unico Salvatore.
Maria ci accompagna anche in questi giorni e le chiediamo la Grazia di poterli vivere con fede per saper correre «verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (seconda lettura).
Bologna, 3 aprile 2022
Alberto Strumia, sacerdote, teologo, già docente ordinario di fisica-matematica presso le università di Bologna e Bari.
Scrivi un commento