Mario Draghi e Giorgio Vittadini
Mario Draghi e Giorgio Vittadini

 

 

di Mattia Spanò

 

Ho avuto un focoso dialogo con un amico disfunzionale – così i profiler chiamano le persone con scarsa propensione ad una paciosa convivialità – sulle manifestazioni di giubilo per il testamento politico di Mario Draghi al Meeting di Rimini.

Sostiene lui che un certo trasporto per il potere, eccitato da fervorini sopra le righe (‘siamo draghiani’ è la professione di fede di Giorgio Vittadini), non sia una novità: da qualche lustro nei movimenti ecclesiali, non soltanto in Cl, oltre ad idee spurie si fa strada una generale sottomissione e secondarietà alla cultura di massa, che in quanto di massa non è cultura ma un banale cicaleccìo emotivo. La bava collosa secreta dal potere, appunto.

In altre parole, sostiene l’amico, il linguaggio proprio dell’esperienza cristiana siccitosa si è prosciugato, e i riferimenti fondamentali alla dottrina e al magistero cattolici si sono smarriti fra gli strass della moda autunno-inverno 2023.

Motivo per cui, a parte blaterare slogan motivazionali degni di un ritrovo di venditori Herbalife, ben pochi sono i cattolici in grado di rendere ragione della propria fede, e in fondo di sé stessi.

Siamo tutti draghiani come fummo berlusconiani, montiani, renziani, a volte gentiloni coi meloni, più volentieri salvini che mette a letta i bersani quando calenda la sera.

Il fenomeno in Italia prende le mosse, si può azzardare, da due fatti storici: il Concordato, capitolazione che pose fine alla tumultuosa fase risorgimentale, e il Concilio, che si potrebbe definire come il concordato della Chiesa col mondo – la radice stessa delle parole rimanda agli armistizi che pongono fine alle guerre.

Fuori dai denti: il potere spirituale ha perso la guerra contro il potere temporale. Guerra in passato molto dura ma prolifica di conseguimenti positivi quali la separazione stessa dei due ambiti, come quelli sul piano della legge e del diritto – che non a caso ora Colao previene e concede, o alla bisogna toglie: basta dire, come fece Letta anch’egli presente al Meeting, che il vaccino ci dà la libertà: chi vuoi che si opponga, si ribelli, eccepisca o critichi? Siamo tutti qualcuniani.

La prima conseguenza di ciò, dopo le ultime fiammate di dignitoso dissenso sotto i pontificati di Giovanni Paolo II e soprattutto Benedetto XVI, è un papato incline alla concordia ad oltranza nel trattare temi mondani come l’ecologismo e l’immigrazionismo, che ha finalmente messo in cantina i valori non negoziabili – non capisco l’espressione, ha detto il papa – per approdare all’obbedienza a ciò che impone l’autorità civile.

Del resto, la guerra è una pazzia, ha tuonato lo stesso papa Francesco. Ha ragione: è da pazzi battersi quando sei già malamente sconfitto. Bene che sia finita.

Ho solo qualche dubbio personale circa l’opportunità di definire ‘innocente’ sempre e comunque quello che le busca,  come i poveri ucronazi che obbediscono all’autorità civile di Zelensky, ma non tutte le ciambelle escono col buco: il principio generale è salvo.

Tesi analoga a quella del leader congedato di Cl, don Julian Carròn, autore del profetico libro La bellezza disarmata, che in diverse occasioni pubbliche e private sostenne come la battaglia culturale sia perduta.

Invece di gettare la talare alle ortiche e andarsi a divertire, scelta che definirei naturalmente conseguente, un certo clero tormentato dall’ottimismo scarica sul tavolo verde del casinò globale le fiches rimaste. Punta gli ultimi spiccioli di incredibilità su questioni bagatellari che somigliano ad una conferenza sulle tecniche di restauro della pittura parietale pompeiana: roba per palati fini, insomma.

È pacifico che lo scandalo cristiano interessi a malapena quattro scemi. I temi importanti li stabiliscono Repubblica e Corriere della Sera, che ancora non hanno finito di stracciarsi le vesti per il tramonto del Migliore (in attesa dell’alba, o meglio della resurrezione, brigando perché accada: cambiare padrone è sempre sottilmente traumatico).

A suffragio del concetto, sulla scia del papa pure don Carròn si è commosso di fronte al desiderio di libertà e giustizia espresso dai resilienti ucraini. Nazisti di Settore Destro, Svoboda e Azov inclusi: ognuno di noi anela alla libertà e giustizia secondo lui.

Eugenio Scalfari scrisse con tanto di virgolette che anche il papa pensa qualcosa del genere: “Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene”. Notizia smentita, cioè data due volte. Forse che un nazista è meno creatura divina di padre Pio? Perbacco no.

Non c’è dubbio che l’invito ad adeguarsi al ruolo inedito di reggipanza dei potenti sia stato assimilato alla lettera da leader catto-laici come Vittadini (non soltanto da lui) il cui messaggio papposo, deglutibile anche senza dentiera, si esprime in quella posizione proto-culturale sostanzialmente servile che si può a buon diritto definire allineata al magistero attuale della Chiesa: comandi, capo.

Senza scomodare l’Arlecchino servitore dei due padroni di Goldoni, la dimostrazione scientifica del fenomeno è la delusione di Zelensky per il riferimento del papa al barbaro omicidio di Daria Platonova, figlia del filosofo russo Dugin. Corri di qua per dare un colpo al cerchio, corri di là per darlo alla botte, ed ecco che invece di ringraziamenti i maestri prendono schiaffoni dal somaro della classe. Sordida ingratitudine.

Il ragionamento sottostante questa impostazione politica, brutale e prosaico, mi pare per sommi capi questo: poiché siamo responsabili di realtà aggregative numerose e vicarie di Santa Madre Chiesa, nonché della Chiesa tutta, il compromesso con il potere – autorità civile, la chiama il papa – mette in sicurezza il gregge garantendogli la particola di tranquillità borghese alla quale, non prendiamoci in giro, l’uomo occidentale disperatamente tende.

La vera eucarestia de noantri è la venerazione per chi graziosamente ci permette di vivere dai balconi dei palazzi: di’ soltanto una parola, ed io sarà salvato. Draghi ha parlato un’ora abbondante.

Se poi come cattolici mettiamo le mani in pasta come fan tutti, nessuno si accorgerà di noi. Il mimetismo è la strategia di sopravvivenza privilegiata dalle prede sin dal Mesozoico, e forse prima.

Di qui discendono gli eventi-polpettone a tema arioso, ad esempio una passione per la persona ‘sì-vax’, come emerso dal dibattito riminese sul debordante successo della campagna vaccinale, in cui sostanzialmente tutti hanno voce in capitolo, purché benedetta da Palazzo Chigi o la Casa Bianca.

Se la chiesa di satana chiedesse un angolino per celebrare una messa nera, ho qualche dubbio che sussistano ragioni fondamentali per negarglielo. A parte il fatto che anche i satanisti credono in Dio – gli sta sulle palle ma ci credono, come chiosò mio fratello sull’argomento, e chi siamo noi per trinciare giudizi – se uno non gradisce provare l’esperienza può sempre andare a vedere una mostra sui frullatori o sulle Laude di Jacopone da Todi. Sono l’una accanto all’altra.

È questo il carattere distintivo minimale del cattolico da supermercato: girovagando fra gli scaffali qualcosa da comprare si trova sempre.

Beninteso, mi astengo dal più piccolo riferimento all’esperienza spirituale personale di chiunque: la possibilità di piluccare ciò che più aggrada e corrisponde è tutt’altro che disprezzabile, specie in un tempo di reazioni avverse anche gravi al divino come il nostro.

Tuttavia ho l’impressione che alla Chiesa contenitore, ecumenica, migrante, in uscita, accogliente ed inclusiva nel senso che qualsiasi putrido liquame vi trova alloggio, pasti gratis, gran sorrisi e pacche sulle spalle, non restino chissà quanti anni di serena irrilevanza davanti a sé. Questo riguarda tutti, belli e brutti.

Quando si gigioneggia col potere sperando di ritagliarsi il ruolo di servo utile, mendicando non Cristo ma tiepidi favori, quand’anche cioè si bruciasse il granellino d’incenso in onore di Diocleziano, bisogna sapere che c’è sempre un debito da saldare (come l’onesto banchiere dimissionario e sommellier del debito greco che regala armi come caramelle ai bambini sa benissimo), e la testa di qualcuno cade.

La moneta di cui il mondo è prodigo è la morte. Non di rado, come dimostra la storia, per mezzo di persecuzione e sterminio. Forse gli stagionati leader cattolici che si parlano addosso perché all’altro non hanno più nulla da annunciare – non ne hanno motivo, c’è la voce ‘Gesù’ su Wikipedia – saranno così fortunati da morire nel proprio letto, e quindi il problema non li tocca. Sono felice per loro.

Agli altri non resta che pregare Dio che non accada – per quanto i segni siano ormai concreti come sassate in testa – o se proprio non si può evitare, chiedere la forza di perseverare nel martirio. L’unica vera vocazione cristiana. Il resto, sono frattaglie di cui faccio volentieri a meno.


 

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