
di Mattia Spanò
Giorni fa una professoressa di un liceo femminile è stata sospesa, poi lasciata a casa per aver salutato le allieve con “buongiorno ragazze”. Alcune di loro hanno protestato in direzione, perché “non tutte si sentono così” non tanto in relazione alla giornata, che può essere pessima per chiunque, quanto all’essere ragazza.
Prendendo per buona la percezione delle ragazze, bisognerebbe chiedere loro perché si siano iscritte in un collegio femminile, e perché non cambino scuola: sono loro ad essere fuori posto.
Lo sarebbero a maggior ragione difendendo un principio di genere come “io mi sento donna, ma facciamo finta di no”. Il ghiribizzo infantile di tipo volitivo-esclusivo, altrimenti detto capriccio, meriterebbe trattazione a parte. Un tempo, per dire, veniva ammansito a righellate sulle mani tese.
Bisognerebbe anche domandare alla scuola perché insista nel proporsi al pubblico con quell’aggettivo, “femminile”, di sapore villanoviano. L’ultima ad essere fuori contesto è proprio l’insegnante, ma è l’unica a pagare il fio. Perché?
Una spiegazione agibile si trova nel comportamento del pollame: in un gruppo di 40 faraone, mi capitò di osservare che 39 individuarono la più piccola e debole (nonché in opprimente minoranza) e cominciarono a beccarla sulla testa, bloccandone la crescita e uccidendola in capo a qualche giorno.
Quale beneficio il gruppo ne abbia tratto in termini di disponibilità di cibo, acqua, libertà (chiuse in voliera) o persino potere, è difficile da cogliere ma un simulacro – un’idea, un’illusione, la semplice alienazione da cattività – doveva alloggiare nei loro faraonici cervellini.
La domanda “quale beneficio avremmo da qualunque cosa” (non vantaggio né guadagno: bonum) dovrebbe essere centrale tanto nel pensiero dei volatili quanto in quello umano.
Nei fatti, la repressione del singolo è quasi sempre una scelta poco avveduta: ottenuta l’auto-determinazione all’interno della voliera, e una frazione di cibo in più (1/40 da dividere in 39), tutte le faraone di lì a poco finirono nel forno. Tutte.
In fondo, è stata la percezione di una sparuta minoranza no-vax che ha permesso al restante 90% di vaccinati amorevoli, solidali e responsabili, di liberare la bestia dormiente, impancandosi a Sbirri della Scienza.
La stessa propaganda che illumina gli occidentali sulla natura minoritaria, arretrata e malaticcia dei russi, e promette che l’Ucraina vincerà la guerra perché essa rappresenta i “nostri valori”: corruzione, traffico di esseri umani, ideologia neonazista dominante, bio-lab ad ogni angolo di strada, razzismo, repressione feroce di diritti elementari e persecuzione religiosa fra le altre “conquiste di civiltà”. Questo bisogna concludere.
Propaganda e auto-circonvenzione di capace presunto: quella, ad esempio, della maggioranza di ebrei che hanno sopportato le angherie montanti senza fuggire a gambe levate dalla Germania nazista. Molti certo non potevano, ma altri avrebbero potuto. “Diamine, siamo nel 1939 nella civilissima Germania, mica possono ammazzarci tutti”, dev’essere stato un pensiero in voga, condito dalla folle speranza di poter scendere a patti col nemico radicale.
Lo stesso accecamento che impedisce di vedere il pericolo enorme insito in questa piccola vicenda di sopruso umano, derubricandolo a fatto straordinario. Tutto sommato, si tratta di un’insegnante in uno sperduto liceo per bambine ricche nella lontana Inghilterra.
Soprattutto, è la stessa miopia che rivela il contorno offuscato del gender come una bagatella secondaria: se Bruno vuole farsi chiamare Pamela, che problema c’è?
Fossi una donna che si sente donna, qualche preoccupazione l’avrei. Da uomo che si sente uomo e al quale piacciono le donne che si sentono tali, mi posso solo associare alla preoccupazione.
Il femminismo nacque come istanza politica – il voto, il lavoro, il salario, la questione sessuale e dei diritti riproduttivi – che oppose all’antropologia imperante la ginecologia.
Si può dire che il maschio patriarca abbia commesso errori e leggerezze sul piano culturale e politico nei confronti della donna. Si può sostenere che sul piano antropologico ne abbiamo ignorato, mistificato e represso il ruolo; tuttavia, la questione femminile esisteva nella cultura precedente: viceversa, non si sarebbe mai posta, né men che meno imposta.
È il riconoscimento, controverso finché si vuole, senz’altro ingeneroso ed errato, della donna e del suo ruolo che ha fatto da premessa necessaria al movimento femminista.
Al contrario nel pensiero femminista non c’è molto spazio per il ruolo positivo dell’uomo, col quale la donna sarebbe costretta a convivere come un cane con le pulci.
È in questa originale crepa ideologica che si è inserita dapprima la questione omosessuale, a sua volta apripista del gender e della cancel culture. La stessa questione omosessuale non è estranea ad un maschilismo di fondo.
L’ideologia omosessualista ha inteso per lo più comunicarsi nel senso di “il” gay, “i” gay, e più in sottofondo come movimento lesbico. Questo avrebbe dovuto allarmare le femministe, che in effetti hanno provato a sollevare il tema. Il limite delle ideologie di rottura è che una volta preso di mira il bersaglio grosso, difficilmente riescono a correggere il tiro: è una negoziazione sociale che si sviluppa in varie modalità, ma non ti consente di volere quello e quell’altro. Senza dimenticare che il vaso di Pandora era scoperchiato, beninteso con le migliori intenzioni.
A questo argomento, gli alfieri del pensiero omosessuale potrebbero ribattere che, come si usa la parola “uomo” per indicare tanto gli uomini quanto le donne, la parola “gay” o “omosessuale” è un pluralia tantum. O specificare che “omosessuale” indica una condizione neutra.
L’argomentazione è parzialmente accettabile. Mentre le donne omosessuali sono definite da un termine specifico, “lesbica”, il lemma “omosessuale” è tipico e distintivo della pratica omoerotica maschile. Le donne devono precisare la propria condizione, gli uomini non sono obbligati a farlo.
Dedurre che la questione omosessuale sia principalmente al maschile può essere impreciso, ma non totalmente ingiustificato.
Inoltre, l’ideologia omosessualista al maschile ha come ideale tipo il macho. Ammira e ricerca nel genere maschile in prevalenza quelle qualità che sono oggi socialmente inaccettabili: forza, coraggio, sfrontatezza, virilità, brutalità, perfino la violenza, anche se il più delle volte in termini di pura fantasticheria.
Qualità analoghe sono state per vie traverse imitate e declinate dalle donne a prescindere dall’inclinazione sessuale, il che le ha poste in diretto conflitto e concorrenza con la comunità omosessuale maschile, almeno sul piano politico.
La nuova sfida transgender dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio due cose. La prima, è che l’alleanza Lgbtq+ era contingente: puro opportunismo politico.
Questa alleanza è molto vicina ad un epilogo traumatico: nel momento in cui il transessuale cambia sesso – o anche semplicemente “sente” un genere diverso da quello biologico – tutto il castello di specificità, e i diritti particolari conseguenti, decade. Nessuna società può reggere a lungo l’urto del sentimento individuale.
Il cozzo con la cultura omosessuale è frontale ed inevitabile. Un uomo attratto da un altro uomo che si senta donna, è omosessuale? Coerentemente, no. Un uomo che si senta donna ma sia attratto dalle donne, è omosessuale? Senza dubbio sì. Ma sul piano pratico, esistenziale, la questione minaccia di essere molto più complicata.
Il punto è che lo status del genere percepito e la tendenza sessuale non necessariamente coincidono, come invece nel caso degli omosessuali.
Questa constatazione ci porta alla seconda conseguenza. Negli effetti pratici, il maschio si riappropria delle proprie prerogative maschiliste e patriarcali per via transessuale.
Tanto è vero che si promuovono e celebrano le gravidanze maschili, gli uomini che allattano, gli sportivi uomini che competono con le donne, con risultati imbarazzanti per queste ultime. Una donna che gareggiasse con gli uomini scomparirebbe per indifferenza e ludibrio. Una donna incinta o che allatta non è una notizia.
Che si siano dovute fare campagne per far accettare alla maggioranza l’allattamento in pubblico, o attrezzare spazi per agevolare questa cura umana primordiale, che si sia infine sentito il bisogno di “spiegarla” all’opinione pubblica è un’indicazione adamantina (non l’unica) che nonostante tante chiacchiere, qualcosa nella “donna percepita” dagli altri, donne comprese, proprio non gira per il verso giusto.
Soprattutto, per quanto spiaccia ai liberal, l’attacco spietato alla maternità – prodigiosa esclusiva femminile, forse un po’ frettolosamente mandata in soffitta – è un formidabile affronto alla femminilità.
Togli alla donna la qualifica di madre – anche in termini di soppressione del figlio, inteso come proprietà di desiderio, qualcosa che si può desiderare e rifiutare – e lei cessa di esistere.
In un mondo di uomini che partoriscono e allattano – o eventualmente abortiscono e vadano in maternità – le donne non servono a nulla e a nessuno. Una donna che diventi uomo, e come tale decide di partorire un figlio, è nè più nè meno una femminicida.
Perdono anche il diritto ad essere Medea, perché la parità con gli uomini si è risolta negli uomini che si sentono donne sterili da un lato, e nelle donne che uccidono la madre che sono dall’altro.
Per molti anni si è discusso, spesso a sproposito, della sparizione dell’uomo, quando invece il genere in via d’estinzione è la donna. A quanto pare, è l’uomo il surrogato di entrambi. La donna si realizza nel diventare un uomo.
Ci sono, lo riconosco, parecchie possibili obiezioni a questa constatazione, ma la maggior parte di esse hanno radici reali, fattuali. Vale a dire che sono ammissibili nel momento in cui tutti riconoscono un primato alla realtà.
In un momento in cui questo diritto di primogenitura viene meno come quello che stiamo vivendo, tutti i possibili distinguo decadono miseramente.
In altre parole, questa guerra intima fra ciò che si è e ciò che si vuole essere si conclude con la morte assoluta della donna.
Se da una parte la lotta femminista ha aperto le porte alle rivendicazioni di genere, essa sembra aver esaurito il suo compito storico. È il limite intrinseco delle ideologie parcellizzanti (salviamo il pianeta, ad esempio): totalitarie e inflessibili sullo scopo, man mano che vengono accolte perdono di efficacia.
La “questione femminile” non interessa, né può interessare, più nessuno, perché essa è diventata decidibile. Anche la questione omosessuale presto decadrà – anch’essa è decidibile, molto più di quella femminile, ed anzi ha traghettato il femminismo sul piano della libera scelta: dove il femminismo poneva un fatto onto-biologico, l’omosessualismo ha imposto un pensiero soggettivo, anch’esso totalitario ed esclusivo: sei membro della comunità nel momento in cui ti dichiari omosessuale. Il pensiero trans è l’ultimo gradino della scala, e nega sia il primo che il secondo: semplicemente, nessuno può dire chi sei, nemmeno tu stesso.
Ancora una volta: non andrà tutto bene, e neanche benino. Maluccio, forse persino malissimo.
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