Per il considerevole numero di persone che nel mondo occidentale credono ancora nell’autogoverno e nella conservazione delle tradizionali identità morali delle loro nazioni, l’estensione del progetto contemporaneo dei diritti umani li porterà forse a riconsiderare la legge naturale, presentata in una formulazione prudentemente modesta. Si tratta di un’impresa cruciale alla quale il nuovo libro di Pierre Manent è un degno contributo.
Un interessante articolo Carson Holloway pubblicato su The Public Discourse nella traduzione di Riccardo Zenobi.
C’è bisogno di un uomo audace per muovere una critica pubblica all’idea di “diritti umani”. C’è bisogno di un uomo profondo per spingere questa critica in modo da rivelare le più profonde verità sul carattere della nostra civiltà e sulla natura della condizione umana. C’è bisogno di un uomo prudente per derivare da questa critica delle nozioni pratiche che possano essere realmente utili ai suoi concittadini.
Il mondo occidentale è benedetto dall’avere un tale uomo – audace, profondo e prudente – in Pierre Manent. Tutte queste virtù sono mostrate nel suo nuovo eccellente libro, Natural Law and Human Rights: Toward a Recovery of Practical Reason (Legge naturale e diritti umani: verso un recupero della ragione pratica). Nonostante la brevità, il libro è ricco di intuito penetrante, il frutto dei decenni trascorsi dall’autore in profonda meditazione sulla storia della filosofia politica e sulla situazione intellettuale, morale e politica del mondo moderno.
Le origini del problema
A prima vista, l’idea di diritti umani sembra inattaccabile. Attraverso diversi secoli ci siamo abituati a pensare in termini di diritti e a presumere che giustizia e progresso dei diritti sono sinonimi. Più recentemente, l’idea di diritti umani è stata avallata formalmente dalle nostre istituzioni più prominenti. Appena dopo la Seconda guerra mondiale, le Nazioni Unite hanno promulgato la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani come una apparentemente necessaria risposta ai “crimini contro l’umanità” che hanno avuto luogo in quel terribile conflitto.
Esaminata più da vicino, comunque, e vista con libertà filosofica dalle opinioni dominanti della nostra epoca, la dottrina dei diritti umani dimostra di essere più ambigua. Manent mostra la sua astuzia nel percepire, e la sua audacia nel proclamare, il discutibile e addirittura problematico carattere del progetto dei diritti umani. Per la precisione, l’idea di diritti umani è stata sviluppata in risposta a vere forme di oppressione. Ciononostante, come osserva Manent, è attualmente brandita molto aggressivamente da qualcuno con un’agenda radicale – un’agenda che spesso sembra spietatamente indifferente od ostile a tradizioni morali di lungo termine e credenze religiose che sono ancora care a molti. Paradossalmente, la dottrina dei diritti umani non sembra sempre molto umana o amica all’umanità – almeno se riteniamo che l’attaccamento ad antichi costumi e convinzioni è una propensione umana profondamente radicata.
Il carattere aggressivamente partigiano e polemico del patrocinio dei diritti umani non è un fenomeno nuovo. Manent annota l’anno 1968 come un importante punto di flessione nello sviluppo dei diritti. È stato allora, suggerisce, che la richiesta di diritti iniziò a divenire oltremodo ostile alle istituzioni esistenti – con, per esempio, giovani richiedenti il diritto non solo di essere ammesso all’università ma anche a trasformare il suo curriculum e la sua missione. Qui Manent parla da francese: sta pensando alle famose o infami rivolte studentesche in Francia in quell’anno fatale. Ciononostante, sta dicendo qualcosa che è ammissibile a molti conservatori nel mondo occidentale, che vedono gli ultimi anni ’60 come un momento di trasformazione politica, un punto in cui la sinistra in molte nazioni occidentali divenne di colpo più radicalmente ostile alle cose che i conservatori vogliono conservare.
Manent rivela la sua profondità, tuttavia, nel portare la sua diagnosi molto indietro gli anni ’60. Non è solo una critica conservatrice agli eccessi della sinistra contemporanea. È un filosofo. Di conseguenza, insegue il nostro problema con i diritti fino alle sue radici ultime – alle origini del mondo moderno e sulla considerevole influenza della moderna filosofia politica sullo sviluppo del pensiero e della società moderni.
Come osserva Manent, le origini della moderna idea di diritti umani possono essere rintracciate nel radicale e ardito esperimento intellettuale sviluppato dai pionieri della moderna filosofia politica del sedicesimo e diciassettesimo secolo. Questo esperimento è stato svolto con la più grande chiarezza, consistenza e spietatezza da Thomas Hobbes, al quale Manent dà attenzione speciale. Gli esseri umani, come li incontriamo ordinariamente e forse anche universalmente, vivono sotto qualche sistema di legge. Ciononostante, i moderni filosofi politici, come Hobbes, trovando l’allora prevalente sistema di legge confuso e inadeguato, vogliono abbattere la legge e ricostruirla dalle basi, per così dire. Hanno postulato uno “stato di natura”, uno stato prepolitico nel quale tutti gli esseri umani sono uguali e liberi, e hanno cercato di basare il loro insegnamento politico su quella presunta e naturale condizione umana. In altre parole, secondo Manent, hanno provato a strappare del tutto la legge dall’uomo e quindi a ricostruirla su più solidi fondamenti, o su cose pensavano fosse un più solido fondamento – il desiderio di ogni persona di essere sicura dal danno personale che necessariamente accompagna la carenza di legge.
Recuperando il ragionamento pratico
Tale radicale progetto era legato all’avere conseguenze di enorme e grave importanza. I teorici moderni dello stato di natura volevano correggere una fonte di confusione e instabilità nella legge del loro tempo – il conflitto tra legge politica e religiosa. Hanno avuto successo, ad ogni modo, solo nell’introdurre una nuova e forse peggiore forma di confusione e instabilità. Avendo insegnato agli esseri umani che sono per natura del tutto liberi, che non c’è una legge naturale che restringe i loro naturalmente illimitati “diritti” alla libertà di azione, cosa ottieni?
Se insegni agli esseri umani a far valere i propri diritti, ma neghi ogni standard naturale in base al quale giudicare la giustizia delle loro azioni, scateni una ricerca senza fine di diritti non governata da nessun principio intellegibile – una ricerca che semina confusione a tutti i livelli della società. Ottieni governi che provano a far avanzare e regolare l’esplosione di diritti, ma senza nessun chiaro concetto di alcun autoritativo bene comune per i loro cittadini. Ottieni istituzioni sociali che non possono più vedere la loro funzione in alcun modo autoritativa e quindi devono soccombere alle richieste di diritti individuali che non sono compatibili con il fiorire né con l’esistenza di tali istituzioni. In ultimo, ottieni individui che sembrano liberi, e che richiedono ancora maggior libertà, ma che non hanno alcuna idea di cosa fare con la loro libertà e che in effetti finisco per essere carenti del più vero tipo di libertà. Sono dominate dalle loro passioni, perché non hanno alcun concetto di una ragione pratica autoritativa alla luce della quale possono giudicare alcune delle loro passioni più importanti di altre. Sono liberi fintanto che gli ostacoli esterni alle loro passioni sono stati rimossi, ma non sono liberi di agire responsabilmente alla luce della loro ragione – che è come dire che mancano della libertà di condurre una vita autenticamente umana.
Come suggerisce questa osservazione finale, Manent mostra di nuovo la sua profondità nel valutare la moderna sete di diritti umani alla luce della permanente verità sulla natura umana. Fondamentalmente, il moderno progetto dei diritti umani è un tradimento di ciò che è l’uomo. Manent concorda con Aristotele e san Tommaso d’Aquino. L’uomo è per natura un animale politica, cioè è per natura capace di ragione pratica, ossia è naturalmente consapevole che le sue azioni devono essere valutate alla luce di qualche norma o legge.
Così la modernità e l’ideologia dei “diritti umani” alienano l’uomo da sé stesso.
Una modesta proposta per rifondare i diritti
Tali critiche filosofiche della modernità sono spesso teoreticamente persuasive me di dubbio valore pratico. Da una parte, percepiamo che c’è qualcosa di sbagliato nel mondo moderno, nonostante tutto il suo progresso materiale. È caratterizzato dal costante sconvolgimento intellettuale, morale e sociale portato avanti dalla sua interminabile ricerca di nuove e ancora più radicali concezioni di “diritti”. Questa non può essere la condizione normale e sana per gli esseri umani. D’altra parte, non abbiamo altra scelta che vivere nel mondo moderno. Non possiamo tornare indietro al mondo premoderno, il mondo precedente la rivoluzione dei diritti filosofici. E, in ogni caso, come accenna Manent, quel mondo aveva i suoi problemi.
Qui è dove emerge la prudenza dell’autore. La sua critica teoretica della modernità richiede ad ognuno di noi un ripensamento radicale, ma non richiede necessariamente uno sconvolgimento radicale nelle nostre vite. Manent scopre ragionevoli modi per limitare la distanza che dobbiamo percorrere, per così dire, in modo da beneficiare dal suo insegnamento.
Per prima cosa, Manent non insiste che il nostro rigetto degli errori filosofici della modernità richiede di esentarci da tutte le istituzioni libere del mondo moderno. Le società moderne, nota Manent, vogliono essere basate sull’idea del laissez faire – o lasciare che ogni individuo faccia le sue scelte. Un legislatore o fondatore che agisce sull’antica comprensione aristotelica della legge naturale può affermare una tale libertà moderna, sostiene Manent, se quella libertà è compresa come stabilimento di un reame “favorevole al progresso delle capacità pratiche dei membri della società o dei suoi cittadini, alla loro educazione per scelte riflessive”. In altre parole, il ripudio di Manent dello “stato di natura” come la verità fondamentale circa gli esseri umani non richiede di disfarci tutte le libertà individuali alla quali siamo abituati, ma invece di riconcepirle. Tale libertà, propriamente intesa, esiste non per il fine della licenza illimitata ma come occasione per l’esercizio della nostra ragione pratica nel governare noi stessi in accordo con il principio morale.
In secondo luogo, la concezione di Manent della legge naturale non è ingiustamente proibitiva o eccessivamente rigorosa. Avendo completato la sua critica dei diritti umani, il suo libro si conclude con una molto “modesta” proposta positiva. Il fondamento della legge naturale, suggerisce Manent, è semplicemente la sperimentata verità universale che tutti gli esseri umani sono mossi da tre motivazioni: il piacere, l’utile e il giusto o nobile. Armati di questa elementare intuizione, possiamo iniziare a giudicare modi di vita in accordo con il loro provvedere sufficienti scopi per tutti questi tre beni umani naturali.
Qui l’argomentazione di Manent è aperta a forti obiezioni, che probabilmente verranno fatte dai proponenti di più tradizionali e altamente elaborate concezioni di legge naturale. Il suo modesto suggerimento non dà origine a chiare, specifiche leggi che gli esseri umani devono osservare. Per tale materia, l’autore non suggerisce nemmeno alcun fondamento per cui gli esseri umani sono obbligati a trattare il giusto e il nobile come più validi che il piacevole e l’utile. Dove, possiamo ben chiedere, la legge positiva entra in questa forma di legge naturale?
Ciononostante, la modesta proposta di Manent è potenzialmente molto fruttuosa, perché mentre non toglie nulla al moderno lettore (lungamente abituato alla sua apparentemente illimitata libertà) in quanto non è troppo specificamente esigente, almeno fa qualcosa nel ricordarci della più alta possibilità umana insistendo che il nostro senso di giustizia e nobiltà è del tutto naturale, umano come il nostro desiderio di piacere e di utile. Un essere umano che ammette la verità della modesta proposta di Manent sa almeno questo: che i suoi desideri non possono essere semplicemente autogiustificanti, che una vita umana completa richiede che riflettiamo sulle nostre passioni alla luce del giusto e del nobile. E questo, per quanto poco, è abbastanza per permetterci di iniziare a interrogare l’infinita rivoluzione dei diritti che sta caratterizzando il mondo moderno.
Tale interrogativo, tale ripensamento, è necessario alla luce del carattere sempre più radicale del movimento contemporaneo per i diritti umani. Come osserva Manent, i più fanatici sostenitori di oggi dei diritti umani non credono più nell’autogoverno democratico, né nella necessità che un governo sia responsabile nei confronti della comunità che governa. Per loro, i diritti umani sono più esigenti dell’autogoverno comune; il punto del loro progetto politico non è quello di rappresentare la comunità ma di trasformarla. Il progetto sui diritti umani, forse intossicato dai suoi notevoli successi recenti (come la ridefinizione del matrimonio), sta esagerando. Per il considerevole gruppo di persone nel mondo occidentale che ancora crede nell’autogoverno e nella conservazione delle tradizionali identità morali delle loro nazioni, questa esagerazione li condurrà forse a riconsiderare la legge naturale, presentata in una formulazione prudentemente modesta. Questa è un’impresa cruciale alla quale il libro di Manent è un degno contributo.
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