Papa Francesco viaggio Cipro Grecia ritorno a Roma (dicembre 2021)
Papa Francesco viaggio Cipro Grecia ritorno a Roma (dicembre 2021)

 

 

di Miguel Cuartero Samperi

 

Fin dalla sua elezione al soglio di Pietro papa Francesco ha dimostrato di trovarsi a suo agio in mezzo ai giornalisti creando con loro una specie di idilio che a distanza di dieci anni sembra rafforzarsi. Con loro ha riso e scherzato, a loro ha dedicato confidenze, raccontato barzellette e aneddoti, in un clima di massima distensione e spensieratezza. Un clima amichevole e familiare, come tra amici al bar, come tra parenti attorno a un tavolo domenicale.

Ma i momenti più intimi e più sinceri coi giornalisti sono i voli papali durante i quali il Papa dialoga a ruota libera rispondendo a braccio alle domande. È qui che il Santo Padre da il meglio di sé anche nel suo rapporto personale coi giornalisti accreditati presso la Sala Stampa. È qui ad esempio, il 12 settembre 2021 durante il volo diretto a Budapest, ha scherzato col “decano” dei vaticanisti Philip Pullella definendo la sua fronte “una pista di atterraggio” (“Eccolo lì, vedo la pista di atterraggio” [indica la testa di Pulella]).

Scherzare con le fattezze fisiche dei suoi interlocutori non è certo un problema, soprattutto se il clima è amichevole e disteso. Il problema si pone se si comincia a parlare in modo leggero e scherzoso su altre persone non presenti sulla base delle proprie idee o – peggio ancora – su notizie non accertate lette sulla stampa. Ciò non sarebbe rispettoso in qualunque caso, ma sappiamo che tutti abbiamo il vizio di chiaccherare e giudicare e lo stesso Francesco ce lo ricorda una volta o due al mese. Certo, se a farlo è il Sommo Pontefice c’è da restare interdetti, e se l’oggetto del discorso sono vescovi, arcivescovi e cardinali con nome e cognome, beh c’è da restare perplessi.

Si dà il caso che Francesco abbia parlato più volte di altre persone in maniera scherzosa e leggera davanti ai giornalisti in colloqui destinati a fare il giro del mondo. Così è stato quando parlando sul suo stato di salute disse: “sono ancora vivo nonostante alcuni mi volessero morto”, aggiungendo (in risposta a chi gli chiedeva un’opinione sui rumors di un imminente conclave) di “sapere” di complotti alle sue spalle: “So che ci sono stati persino incontri tra prelati, i quali pensavano che il Papa fosse più grave di quel che veniva detto. Preparavano il conclave”. Ovviamente si trattava di uno scherzo. O forse no.

In un altro colloquio coi giornalisti, parlando dei cosiddetti “no vax” affermò: “Anche nel collegio cardinalizio ci sono negazionisti e uno di questi, poveretto, è ricoverato con il virus… ironia della vita”. In questo modo il Papa si riferiva al cardinale Raymond Burke, che in quei giorni si trovata ricoverato terapia intensiva. Un “negazionista” folgorato dall’”ironia della vita”. Alcuni si indignarono per quella che sembrò una battuta di pessimo gusto per un cardinale cattolico in condizioni critiche a causa del Covid. Chiamarlo negazionista e definire la sua malattia una “ironia” di fronte ai giornalisti, sembrò uno scherzo poco rispettoso nei confronti del cardinale americano.

In questi giorni il papa è tornato a parlare in aereo, questa volta durante il viaggio di ritorno da Cipro. Alla domanda di in un giornalista francese sulla vicenda dell’arcivescovo di Parigi, mons Aupetit, il papa si è lasciato andare a un lungo discorso che riportiamo come trascritto nella versione ufficiale:

Sul caso Aupetit. Io mi domando: ma cosa ha fatto, Aupetit, di così grave da dover dare le dimissioni? Cosa ha fatto? Qualcuno mi risponda…

Se non conosciamo l’accusa, non possiamo condannare. Qual è stata l’accusa? Chi lo sa? [nessuno risponde] E’ brutto!

Prima di rispondere io dirò: fate l’indagine. Fate l’indagine. Perché c’è pericolo di dire: “E’ stato condannato”. Ma chi lo ha condannato? “L’opinione pubblica, il chiacchiericcio…”. Ma cosa ha fatto? “Non sappiamo. Qualcosa…”. Se voi sapete perché, ditelo. Al contrario, non posso rispondere. E voi non saprete perché, perché è stata una mancanza di lui, una mancanza contro il sesto comandamento, ma non totale ma di piccole carezze e massaggi che lui faceva: così sta l’accusa. Questo è peccato, ma non è dei peccati più gravi, perché i peccati della carne non sono i più gravi. I peccati più gravi sono quelli che hanno più “angelicità”: la superbia, l’odio… questi sono più gravi. Così, Aupetit è peccatore come lo sono io. Non so se Lei si sente così, ma forse… come è stato Pietro, il vescovo sul quale Cristo ha fondato la Chiesa. Come mai la comunità di quel tempo aveva accettato un vescovo peccatore? E quello era con peccati con tanta “angelicità”, come era rinnegare Cristo, no? Ma era una Chiesa normale, era abituata a sentirsi peccatrice sempre, tutti: era una Chiesa umile. Si vede che la nostra Chiesa non è abituata ad avere un vescovo peccatore, e facciamo finta di dire “è un santo, il mio vescovo”. No, questo è Cappuccetto Rosso. Tutti siamo peccatori. Ma quando il chiacchiericcio cresce e cresce e cresce e ti toglie la buona fama di una persona, quell’uomo non potrà governare, perché ha perso la fama, non per il suo peccato – che è peccato, come quello di Pietro, come il mio, come il tuo: è peccato! –, ma per il chiacchiericcio delle persone responsabili di raccontare le cose. Un uomo al quale hanno tolto la fama così, pubblicamente, non può governare. E questa è un’ingiustizia. Per questo, io ho accettato le dimissioni di Aupetit non sull’altare della verità, ma sull’altare dell’ipocrisia. Questo voglio dire.

 

Di certo l’argomento delle dimissioni di mons. Aupetit è estremamente delicato e complesso: le accuse lanciate dal giornale Le Point su una presunta relazione con una donna, relazione che risale al 2012 e scoperta da una segretaria, la difesa dell’arcivescovo, la condanna mediatica fino alla decisione di mettersi da parte, la lettera di dimissioni accettata dal Papa. Il tutto all’interno di un dibattito rovente sugli abusi sessuali in Francia, il rapporto Sauvé pubblicato da una commissione indipendente sugli abusi nella Chiesa e la risposta critica scritta firmata da otto membri dell’Accademia Cattolica di Francia (tra cui il presidente, i due vicepresidenti e il segretario generale), infine i difficili rapporti dell’arcivescovo all’interno della Diocesi, rapporti difficili sia coi tradizionalisti (a causa dell’applicazione del motu propio del Papa contro la Messa in Latino) sia coi progressisti (la chiusura del centro pastorale Saint Merri legato a Sant’Egidio, per problemi di dottrina, liturgia e di obbedienza…). Un clima incandescente dove è facile arrivare a rapide conclusioni e sentenze definitive e immediate che rischiano di mettere in difficoltà, non solo il vescovo e la sua Diocesi, ma la Chiesa intera.

Considerando la situazione, sia lo stesso atto di dimissioni di Aupetit (la domanda rivolta al Pontefice era “Che fretta c’era?”) che le riflessioni a braccio avrebbero meritato una prudenza estrema per non alimentare la confusione. Invece il Papa ha deciso di parlare a braccio esponendo delle riflessioni che in qualche modo gettano benzina sul fuoco e mescolando diversi argomenti in una sola risposta: i peccati, il sesso, il chiacchiericcio, la sentenza mediatica, la buona fama del vescovo… Il Papa, come ha fatto altre volte, chiede ai giornalisti di indagare (in realtà sono i giornalisti stessi ad aver alzato il polverone aprendo le danze del tribunale mediatico e ora chiedono lumi a chi può avere informazioni certe da fonti sicure vista la sua posizione ed il suo ruolo). Poi offre qualche “pista” interpretativa.

Molte considerazioni si possono fare. Una su tutte la questione sui “peccati della carne”. Il Papa non solo conferma in mondovisione le indiscrezioni dei media sui peccati personali del vescovo, in qualche modo ammesse dall’imputato nella sua difesa, ma aggiunge dei particolari non proprio necessari ai fini delle indagini e che non erano emersi sulla stampa. Francesco parla di “carezze e massaggi” (fortunatamente senza specificare in quali parti del corpo della donna). Inoltre parla erroneamente di una segretaria (termine scomparso nella trascrizione ufficiale), quando invece secondo il racconto dei media la segretaria sarebbe stata il detonatore della denuncia e non il complice (avendo lei stessa intercettato mail personali per offrirle alla stampa al fine di incastrare il suo capo).

Un pasticcio che, forse involontariamente, contribuisce ad affondare la figura del sacerdote e vescovo francese e a degradare la questione affrontandola come un gossip di corridoio. Eppure, dice il Papa, Aupetit è vittima del “chiacchiericcio” che uccide. Sarebbe stata dunque lesa la sua buona fama a causa della pubblica denuncia delle relazioni ambigue con una donna. Ma è proprio il Pontefice a specificare che non ci sarebbe stato un rapporto completo, giusto qualche carezza e palpatina di troppo.

A tutto ciò il Papa sottolinea che il peccato di sesso non è il più grave dei peccati cosa che – qualsiasi cosa ne dica la teologia morale – nel contesto degli abusi sessuali del clero sembra una affermazione un po’ fuori mira e passibile di maldestre interpretazioni.

Le parole del Papa (non proprio all’insegna della sua proverbiale misericordia) sono state commentate con amarezza da alcuni commentatori. Immaginiamo che neanche monsignor Aupetit ne sia rimasto contento. Come si dice? “Cornuto e mazziato”. Il prelato si era detto turbato dalla macchina di fango cadutagli addosso ma ha assicurato di pregare per i suoi persecutori (“prego anche per chi mi ha augurato il male”). Avanti dunque con le preghiere, monsignore!

 

 

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