Anna Freud ha così sintetizzato la situazione adolescenziale: “E’ normale per un adolescente e per un tempo abbastanza lungo un comportamento incoerente e imprevedibile (…) di amare i suoi genitori e di odiarli, di rivoltarsi contro di essi, di essere vergognoso con la propria madre davanti agli altri e inaspettatamente di desiderare di parlarle di tutto cuore” (Adolescenza, in Opere, vol. 2, Torino1958).
Tale comportamento può averlo anche nei confronti del padre solo che non dirà mai “di desiderare di parlargli di tutto cuore”.
di Gilberto Gobbi
Un giorno dopo l’altro, il padre si ritrova con il figlio, che entra nell’adolescenza e la vive in pieno. Sono passati gli anni. Come? Sappiamo che le fasi della vita sono tra di loro profondamente dipendenti, con una consequenzialità che vede il passato condensato nel presente e prospettato nel futuro. Il futuro dell’età adolescenziale, che sembrava molto lontana, è divenuto il “presente” e il padre si trova tra i quaranta e i cinquanta anni. Ha raggiunto un certo livello professionale e sociale e quindi potrebbe anche star bene, invece s’incontra quotidianamente con i problemi creati dal figlio o dalla figlia adolescente.
L’adolescenza viene considerata la tappa più controversa del ciclo vitale e senz’altro quella, nei confronti della quale il pregiudizio sociale sembra accanirsi con più virulenza. E’ una fase della vita, temuta da genitori, educatori, politici e tutori dell’ordine sociale e pubblico.
La Dolto, eminente psicoanalista francese, così parla dell’adolescenza: “(…) a mio parere è una fase di mutazione. Altrettanto fondamentale per l’adolescente quanto la nascita e i primi quindici giorni di vita per il neonato” (Adolescenza, esperienze e proposte per un nuovo dialogo con i giovani tra i 10 e i 16 anni, Milano 1995).
Di norma, pur nella sua continuità, viene oggi divisa in tre momenti:
– prima adolescenza o preadolescenza tra gli 10/11 e i 14 anni;
– seconda adolescenza tra 14 e i 16;
– terza adolescenza dai 16 anni, e dovrebbe concludersi, nella società odierna, tra i 20 e i 23. Vi sono anche persone, che restano degli eterni adolescenti: si parla di adolescenza incompiuta.
La vicenda adolescenziale, con i suoi mutamenti, spesso è tumultuosa e conflittuale e si snoda nell’appartenenza ai vari sistemi relazionali: la famiglia, i pari e gli adulti. L’adolescente attua una continua mobilità tra questi sistemi, che gli consente di utilizzare le risorse per il suo sviluppo e per la sua presenza nel mondo.
Tutte le strutture della personalità in trasformazione sono in continuo movimento: la dimensione affettiva, quella cognitiva e quella comportamentale. E’ un crescendo di modificazioni e di acquisizioni, di arresti e di progressioni.
La maturazione delle tre dimensioni comporta che l’adolescente sia contemporaneamente impegnato su vari fronti, che mettono alla prova da una parte le sue potenzialità e dall’altra le persone con cui si relaziona.
Lo sviluppo della dimensione mentale-cognitiva si caratterizza per un’espansione delle potenzialità intellettuali ed una evoluzione della facoltà volitiva, che conduce al perfezionamento del processo di apprendimento e decisionale. Vi è un migliore utilizzo dei processi della percezione, della memoria logica, dell’attenzione, della capacità di astrarre, giudicare, ragionare e formulare decisioni. Questo fa parte del progresso verso la maturità intellettuale, che comporta la capacità di pensare in termini astratti e generali.
La dimensione comportamentale è varia e diversificata, soggetta all’influenza della situazione ambientale e sociale, in cui l’adolescente vive. Diviene importante lo sviluppo dell’atteggiamento critico-costruttivo di fronte ai modelli di comportamento e ai valori propinati dalla società. L’adolescente si gioca il suo futuro modo di porsi: o un adattamento costruttivo o la ribellione, oppure un’acquiescenza supina. Il comportamento è ciò che maggiormente interessa ai genitori. Ci ritornerò successivamente, parlando del rapporto tra il padre e l’adolescente.
La maturazione della dimensione affettivo-emozionale caratterizza profondamente la fase adolescenziale. Le emozioni dell’adolescente si amplificano in quantità e qualità, e diventano più ricche e piene, creando nel contempo situazioni conflittuali sia dentro di sé che fuori, e nei rapporti con gli altri.
Le emozioni nascono di fronte ad una più ampia varietà di stimoli ed esercitano una considerevole influenza sul pensiero, di cui occorre tener conto sia per i risultati dell’apprendimento sia per valutare le modificazioni dell’umore, a cui l’adolescente è facilmente soggetto. Accenno solo di sfuggita all’importanza dello sviluppo corporeo, alla difficile ristrutturazione di una nuova immagine del sé corporeo, alle implicazioni della maturità psicosessuale.
Senza approfondire l’argomento, è opportuno però sottolineare come sia un periodo che oscilla tra il sentimento di adeguatezza e quello di inadeguatezza, in questo entrare e uscire dentro e fuori di sé, tra l’intrapsichico e l’estrapsichico, e la frequentazione dei vari sistemi di appartenenza: famiglia, pari, adulti.
Gli ambiti e i sistemi, in cui l’adolescente si viene a trovare, hanno una loro specifica funzione sull’elaborazione e sulla strutturazione della personalità:
– dal sistema famiglia egli attinge protezione, come l’ambiente degli affetti arcaici (positivi o negativi), che egli conosce e sta rielaborando;
– dal sistema degli adulti (educatori scolastici e altri) ricava spinte a cimentarsi nella lotta e ad impegnarsi per la realizzazione del successo (può rimanere deluso dal modo con cui il mondo degli adulti lo tratta e lo valorizza);
– il sistema dei coetanei lo sostiene nella trasgressione e nell’opposizione al mondo degli adulti.
Le spinte, che l’adolescente trova nei tre sistemi, dovrebbero consentirgli, in questa sua mobilità sistemica, di sperimentare il cambiamento e di apprendere a tollerare le ansie della crescita.
Sui problemi relazionali tra genitori e figli, in un mio libro sulla coppia e sulla famiglia, scrivevo così: “L’adolescenza dei figli (…) è un periodo caratterizzato da forti trasformazioni, dal ridimensionamento di quell’equilibrio “precario” in precedenza raggiunto. Occorre disporsi ad affrontare nuove situazioni e ricercare nuovi equilibri. Con l’adolescenza il figlio reclama un proprio spazio, una sua collocazione nella dinamica familiare, un modo nuovo di essere trattato e comportarsi. L’adolescente è una forza dirompente che va ad intaccare gli equilibri raggiunti, che obbliga a rivedere le relazioni, e alcune volte con il suo comportamento e con le sue provocazioni va a smuovere sicurezze acquisite e a stanare problemi di coppia irrisolti” (G. Gobbi, Coppia e famiglia. Crescere insieme, Verona1999).
L’adulto, nella relazione con gli adolescenti di differente età e sesso, può incorrere in vari errori, tra cui:
- a) da una parte scambiarli per dei ragazzi incapaci di riflettere e di giudicare da soli, mentre al contrario, in questa età essi maturano lo sviluppo del pensiero sintetico e tendono a costruirsi una loro valutazione della realtà e delle relazioni con gli adulti;
- b) e dall’altra, credere che sia sufficiente costringerli a ragionare e che ciò basterà per formali al controllo di se stessi.
Specialmente nella prima adolescenza (11/14 anni) le lunghe discussioni persuasive sono premature. A questa età i ragazzi hanno ancora bisogno che vengano loro presentate, ma anche esigite, alcune regole di comportamento, perché per loro i valori sono rappresentati da modelli viventi, che li attraggono, non sono interiorizzati e sono soggetti alle emozioni e ai vissuti nelle varie situazioni. Una certa fermezza, serena ed esigente, coerente e non nevrotica, è più efficace delle lunghe spiegazioni, purché essi si sentano compresi, accettati e amati dai loro genitori e dai loro educatori, anche quando si trovano di fronte ai dinieghi. Ciò non esime gli adulti dal dare spiegazioni su problemi che essi possono porsi nelle varie circostanze della vita familiare, di scuola, in gruppo; in occasioni di film, di letture, di discussioni su comportamenti, ecc.
Lasciar fare tutto, leggere tutto, vedere tutto, decidere i propri orari, permettere di rispondere in malo modo e aver paura degli eventuali comportamenti aggressivi o che se ne vadano di casa, sono una chiara manifestazione dell’abdicazione dei genitori alla loro funzione e al loro ruolo. E’ un non voler loro bene, un disinteressarsi della loro vita, soprattutto nel periodo in cui, con gli impulsi in continuo tumulto, l’adolescente avverte il bisogno di controllarli e di essere aiutato a porli nel giusto processo di maturazione personale e sociale.
Ritengo basilare avere da parte degli adulti dei criteri di relazione e di comportamento nei confronti del figlio adolescente e del suo modo di porsi di fronte alla realtà in trasformazione. In questa fase, infatti, si riassumono e vengono sinteticamente vissuti e rivissuti, in un breve arco di tempo, processi razionali ed emotivi, che si rifanno ai primi periodi dell’infanzia, come la relazione con le figure parentali, la sicurezza/insicurezza di base, l’immagine di sé e della propria corporeità, l’apertura/chiusura di fronte al mondo esterno, la proiezione verso valori. Tutto ciò in funzione dell’acquisizione di una sua definitiva identità psicosessuale e di una sua collocazione nella vita.
Anna Freud ha così sintetizzato la situazione adolescenziale: “E’ normale per un adolescente e per un tempo abbastanza lungo un comportamento incoerente e imprevedibile (…) di amare i suoi genitori e di odiarli, di rivoltarsi contro di essi, di essere vergognoso con la propria madre davanti agli altri e inaspettatamente di desiderare di parlarle di tutto cuore” (Adolescenza, in Opere, vol. 2, Torino1958).
Tale comportamento può averlo anche nei confronti del padre solo che non dirà mai “di desiderare di parlargli di tutto cuore”.
Il padre continua ad essere la figura altra, che è presente non solo per il mantenimento economico, ma come genitore affettivo, con il quale il figlio adolescente si confronta, si modella, si scontra e si incontra, si allontana e si avvicina, a seconda dei suoi momenti e delle reazioni del padre.
Allo stesso tempo, da parte del padre vi è una forte esigenza di essere e di sentirsi ri-conosciuto dal figlio, per quello che fa, ma in modo particolare per quello che è. Riconoscimento, che avviene attraverso il comportamento del figlio, il suo ascoltare, confrontarsi e l’accettare consigli e anche imposizioni.
Per il ragazzo maschio, volenti o nolenti, il padre è un modello di comportamento. Elabora una sua concezione sul padre e sul suo comportamento, che spesso tiene dentro di sé, ma che a volte manifesta alla madre, di norma in forma molto critica. La madre diviene depositaria dei conflitti tra padre e figlio. Ha spesso un compito non semplice per mantenere nel figlio un atteggiamento positivo nei confronti del padre e dialogare con questi, perché sia accettante e parli con il figlio.
Logicamente il padre deve trovare la disponibilità interiore e il tempo per stare con il figlio, coinvolgerlo in sue attività, dargli degli incarichi, valorizzare le sue capacità, dimostrare di avere stima, interessarsi dei suoi desideri e, anche se il ragazzo è cresciuto, esprimere atteggiamenti di affetto e di tenerezza.
Anche i padri provano affetto e tenerezza, ne sentono dentro l’impulso, ma spesso si trattengono perché ormai il figlio è grande. Ritengo che non si è mai grandi abbastanza sia per ricevere che per esprimere affetto e tenerezza. Non è sufficiente che il figlio sappia che gli si vuole bene, occorre anche dirglielo ed esprimerglielo con i gesti e con le parole. Anche se l’uomo non è stato abituato da piccolo a ricevere espressioni affettive da suo padre, può cambiare, modificarsi, e provare finalmente il piacere di far piacere alle persone con cui è in relazione, figlio compreso.
Il padre affettivo continua ad essere tale per tutta la vita, anche quando i figli vanno a trovarlo con i loro figli, che vedono entrambi i padri – nonno e papà – esprimersi l’affetto con i gesti dell’amore paterno e filiale.
Il padre dovrebbe essere orgoglioso della crescita e della maturazione della figlia, che diviene donna. Anche per lei egli è un modello di comportamento, da cui ha bisogno di sentirsi accettata e considerata. La figlia non è della madre, come il figlio non è del padre, o viceversa, come spesso mi sono sentito dire. La ragazza vive una sua identificazione con la madre, per distaccarsene ed acquisire una sua identità femminile, che è simile a quella della madre, ma che allo stesso tempo è diversa.
Il padre ha una funzione determinante in questo processo di maturazione identificatoria, attraverso l’equilibrio con cui si pone in relazione, la delicatezza della sua presenza, l’atteggiamento di ascolto, di comprensione e di fermezza rispetto a determinati comportamenti della figlia. E’ opportuno che il padre parli di sé, delle sue cotte e del suo innamoramento nei confronti della moglie. Riconferma, così, la figlia nella sua femminilità e nell’espressione delle sue emozioni. Il padre, che spesso si esprime con la frase “ai miei tempi”, dimostra che è rimasto attaccato morbosamente al passato e che ha difficoltà di accettare i cambiamenti, anche quelli positivi: è come se non permettesse ai figli di crescere.
Avere la chiarezza delle proprie idee e delle proprie posizioni e dissentire da quelle dei figli, non è in contrasto con l’espressione affettiva nei loro confronti. Il padre, di fronte a comportamenti e atteggiamenti del figlio, che ritiene disfunzionali, deve essere esplicito nel manifestare il suo pensiero, che può divergere da quello del figlio, avendo presente che comprendere non significa approvare. Si possono capire le varie motivazioni, ma ciò non significa che si debba accettare e acconsentire. La chiarezza della relazione comporta che si dica: “Per capire capisco, ma non puoi pretendere che io acconsenta”.
Il non detto, il tacere, il mugugnare sono la base dei fraintendimenti e invischiano le persone in relazioni confuse, che sfociano in malintesi e in conflitti. Occorre chiarezza nel positivo e nel negativo.
In certe famiglie, da sempre, si tace, ciascuno dà per scontato che gli altri membri debbano capire, comprendere, ma ognuno ha paura dell’altro, delle sue reazioni. Durante l’adolescenza dei figli il padre, di fronte al comportamento caratteristico dell’età, si chiude in un silenzio fatto di divieti, mai diretti e sempre trasmessi tramite la moglie.
A volte i padri non sanno esprimersi, si arroccano in se stessi e non permettono ai figli di capire il loro affetto. Le incomprensioni si moltiplicano attivando nei figli comportamenti contrastanti.
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