Don Luigi Giussani auspicava una Chiesa che non fosse “cortigiana della storia”, ma “protagonista”. Citando un esegeta, don Giussani ricordava anche che “Gesù è entrato nel mondo in polemica col mondo”. Di seguito qualche contrappunto al Meeting di CL.
di Silvio Brachetta
Dice il filosofo Umberto Galimberti al Meeting di Rimini 2020: «Anche gli atei sono cristiani, anche gli agnostici sono cristiani, anch’io – che non sono cristiano perché penso in maniera greca – sono cristiano, perché il cristianesimo non è solo una religione, ma una cultura». E rincara: «Anche Marx, a mio parere, è un grande cristiano». Perché? Perché – spiega il filosofo – tutti quelli che sono vissuti in ambito cristiano (come ad esempio Freud) riconoscono il tempo diviso in tre parti: «il negativo è nel passato, il presente è terapia e il futuro guarigione».
Questa è una delle tante corbellerie, senza contraddittorio, che si vanno dicendo all’ultima edizione del Meeting di Comunione e Liberazione. Galimberti confonde il tempo in senso progressista – che è una distorsione del cristianesimo – con il cristianesimo stesso. Galimberti non capisce che nel futuro cristiano (nei Novissimi) c’è anche l’inferno e non solo il paradiso socialista. Galimberti non capisce che nel passato cristiano c’era l’Eden, il paradiso. Galimberti non capisce, insomma, che è un errore anticristiano e storicista il sostenere che nel passato c’è il male, nel presente non si sa bene cosa ci sia e nel futuro c’è il bene.
L’ateo non è un cristiano. È un eretico del cristianesimo. Così come l’agnostico o il filosofo modernista. Non centrano nulla col cristianesimo, hanno distorto il cristianesimo. L’intervistatore – che si presume un seguace di don Giussani – non osa o non è in grado di replicare alle corbellerie di Galimberti e, tutto soddisfatto, continua l’intervista con un altro ospite.
Questo siparietto, purtroppo, è sempre più consueto al Meeting, dove presentatori pimpanti e ospiti supponenti sono tutti intenti a presentare le nuove «sfide» che attendono la Chiesa e il Mondo e che, malauguratamente, sono sempre e puntualmente perse.
Obiezione: ma Galiberti parla per metafora e vuole solo riprendere il «non possiamo non dirci cristiani» di Benedetto Croce. Chi è nato in Occidente è culturalmente cristiano, anche se ateo – questo intende Galimberti. Ma questo poteva anche essere vero fino al secondo dopoguerra, quindi già la frase di Croce dev’essere corretta e aggiornata: «non potevamo non dirci cristiani». Oggi no. Croce è stato dimenticato e, assieme a lui, molto, ma molto altro è stato sepolto e rimosso. Radici cristiane, metafisica, ellenizzazione. Anticaglie. Residuati da museo.
Oggi, invece, «non possiamo non dirci pagani» (è fattuale) e persino un gigante come Karol Wojtyła, che insisteva sulle radici cristiane dell’Europa, è stato definitivamente messo sotto naftalina. Una sola suggestione cristianoide, in effetti, è rimasta: la summenzionata divisione temporale progressista-galimbertiana, dove nel passato c’è l’uomo della pietra, nel presente c’è l’uomo di passaggio e nel futuro c’è il superuomo socialista, culmine della storia e del presunto cristianesimo schiacciato nell’al di qua.
Galimberti, poi, insiste e allarga l’equivoco sul tempo e sul cristianesimo. L’Occidente – osserva – «è fondato sul concetto di tempo dove, alla fine, si realizza quello che all’inizio era stato promesso» e «questa concezione del tempo non apparteneva ai greci». Vero.
Il diavolo, però, si nasconde nei dettagli, come dice il vecchio adagio. E il filosofo si confonde: «La cultura greca, [la quale] è una cultura con cui si è costituito l’Occidente, pensava che l’età dell’oro fosse alle spalle e che la successione del tempo avrebbe portato inesorabilmente ad una decadenza». Vero, ma parziale.
Anche il giudeo-cristianesimo ammette l’età dell’oro dell’Eden e della creazione in genere. Non tenendo conto di questa verità, Galimberti afferma che «i cristiani hanno capovolto questa dimensione: il passato è male, il presente è rimedio e il futuro è salvezza». Falso. Nel passato c’era il bene, perché «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1, 31). Nel presente c’è la scelta libera dell’uomo per il bene o per il male. Nel futuro c’è o la salvezza o la dannazione.
Al contrario, è il darwinismo prima e il marxismo poi che prendono a prestito (e a pretesto) le verità del cristianesimo e le fraintendono, modificandole a piacere per confermare autorevolmente le loro idee sbagliate. Nell’ideologia progressista di tempo manca tutto l’essenziale: peccato adamitico, conversione, libero arbitrio, assoluzione, condanna, inferno, purgatorio, paradiso. Si prende solo ciò che serve da Cristo e s’ignora quello che non piace.
È certo che, nella vicenda umana del penitente, c’è un progresso che va dal male al bene e di lui si può dire che il male è alle spalle, il presente è la cura e nel futuro c’è la salvezza. Solo nel penitente, però. Nell’empio avviene il contrario: alle spalle c’è la sua creazione buona, nel presente c’è l’accecamento e nel futuro la condanna (al netto del pentimento). Altra cosa invece è dire che tutta la storia è progresso, come sostengono i socialisti e/o simili. È una sciocchezza che, se detta nel quotidiano, è comprensibile, ma se detta al Meeting di Giussani è follia.
A proposito di don Luigi Giussani, ben altro è stato il suo programma:
«La Chiesa è stata per molti secoli la protagonista della storia, poi ha assunto la parte non meno gloriosa di antagonista della storia. Oggi è soltanto la cortigiana della storia. Ecco: noi non vogliamo vivere la Chiesa come cortigiana della storia…
Se Dio è entrato nel mondo non è per essere cortigiano, ma redentore, salvatore, punto affettivo totale, verità dell’uomo».
È chiedere troppo, dunque, che una manifestazione cattolica non sia un qualsiasi festival della filosofia, una riunione di economisti o un talk show? È chiedere troppo che il Meeting non sia il “cortigiano della storia”, la grancassa del mondo e del mainstream, contro l’impostazione del Fondatore?
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