In genere si pensa che il movimento pro-life abbia sostenitori soprattutto tra i Cattolici: ovviamente non è così, ci sono atei e agnostici che rifiutano la logica abortista. Negli Stati Uniti questi atei per la Vita sono anche piuttosto noti in quanto partecipano al dibattito culturale con la loro peculiare posizione che prescinde totalmente da motivazioni di ordine religiose sulla dignità di persona dell’essere umano prima della nascita.

Riportiamo nella traduzione di Annarosa Rossetto un articolo di Monica Snyder apparso sul sito Secular Prolife su come la disumanizzazione del feto e dell’embrione portata avanti per giustificare l’aborto volontario faccia soffrire molte donne che hanno avuto aborti spontanei: la società in genere rifiuta di accogliere il loro dolore perché deve passare il concetto che la vita persa in una interruzione precoce della gravidanza non è “davvero” un figlio di cui piangere la morte e vivere il lutto.

 

 

All’inizio del 2019, ho abortito uno dei miei gemelli. Sapevo già quanto l’aborto spontaneo fosse comune e sospettavo che quando ho iniziato a parlare pubblicamente del mio aborto spontaneo, le persone che conosco da anni mi avrebbero tranquillamente fatto sapere che anche loro avevano perso una o più gravidanze. È stato agrodolce che quella previsione si avverasse; la loro comprensione e il loro sostegno hanno significato molto per me, ma mi è dispiaciuto molto venire a conoscenza dei loro cuori spezzati.

Mi ha aiutato a gestire il mio dolore parlare della mia bambina perduta con altre che ci sono passate. Mi sono unita ad alcuni gruppi di supporto online per la perdita di gravidanza dove ho trovato ulteriore consolazione e sostegno vicendevole. L’aborto spontaneo è comune, ma le persone non ne parlano molto pubblicamente. Parlando a tu per tu con tante altre donne delle loro perdite, ho iniziato a capire perché.

In primo luogo, molte donne si sentono in colpa per aver abortito; temono che alcune loro azioni abbiano causato l’aborto spontaneo, anche se di solito non c’è motivo di credere che sia così. Alcune pensano addirittura che l’aborto spontaneo sia una sorta di destino, una punizione per qualche errore passato o un riflesso della loro incapacità di essere genitori. È terribile. Il dolore è abbastanza duro da solo, senza ulteriori aggiunte di sensi di colpa e vergogna.

In secondo luogo, molte donne temono che il loro dolore sia sciocco o irrazionale. Sperimentano un sacco di gaslighting (una forma di manipolazione psicologica violenta e subdola nella quale vengono presentate alla vittima false informazioni con l’intento di farla dubitare della sua stessa memoria e percezione, NdT) – quasi tutto, credo, involontario – da parte del personale medico, degli amici e della famiglia. E la mancanza di compassione sembra diventare più pronunciata quanto prima della gravidanza abortiamo.

La ricerca ha scoperto che “l’età gestazionale non sembra influenzare il grado, l’intensità o la durata del dolore, dell’ansia o della depressione” per le madri che avevano abortito, eppure uno dei tratti distintivi dell’aborto spontaneo precoce è “la minimizzazione della perdita da parte degli altri”. Nei miei gruppi di sostegno per la perdita di gravidanza vengono pubblicati regolarmente post dove ci si lamenta per i commenti che i propri cari fanno, ben intenzionati ma sprezzanti (“Puoi sempre riprovare”, “Almeno non la gravidanza non era tanto avanti”, “Almeno non era un bambino vero”)

Anche i terapeuti non sempre reagiscono in modo appropriato. Ho perso la mia bambina a circa 6 settimane. Il primo consulente che ho visto ha commentato su come quell’età gestazionale fosse “super precoce”. Durante la nostra sessione ha menzionato più di una volta che avrei potuto scoprire che il mio dolore per l’aborto spontaneo fosse un’emozione superficiale per altri problemi più profondi – implicando quindi che perdere un bambino, di per sé, normalmente non giustificherebbe così tanta angoscia. Alla fine della nostra sessione, ha detto “Beh, sono felice di lavorare con te, e possiamo lavorare sull’elaborazione del tuo … beh, immagino possiamo chiamarlo un aborto spontaneo, non è vero?” (Non sono più andata da lei).

Queste risposte sono tragiche ma non particolarmente scioccanti. Grazie al nostro infuocato e infinito dibattito nazionale sull’aborto, ci sono innumerevoli voci che insistono ad alta voce e incessantemente sul fatto che gli embrioni e i feti umani non sono bambini. Peggio ancora, spesso vanno oltre e implicano che vedere gli esseri umani non ancora nati come bambini è ignorante o superstizioso.

Qui un esempio:

 

 

Questo tipo di condiscendenza insulta e impedisce alle persone (pro-choice e pro-life) che piangono i loro aborti spontanei come morte dei propri figli di esprimere il proprio dolore.

 

 

In un articolo sull’aborto spontaneo e lo stress post-traumatico, la BBC ha intervistato una donna la cui reazione sottolinea il problema:

Toni Edwards-Beighton, 36 anni, dice che sentiva di star impazzendo dopo un aborto spontaneo nel 2016. “Sentivo che il mio dolore era sbagliato perché non era un vero bambino, ma ero completamente scioccata”, racconta. … “Non era un ‘tessuto’ per me, era il nostro bambino”, dice Toni.

Il mio aborto spontaneo mi ha spezzato il cuore, ma storie come quelle sopra mi rendono grata di avere così tanti amici e familiari pro-life. Ho persone nella mia vita che affermano il valore e il significato della mia bambina perduta non solo come un bambino potenziale che non verrà ad essere, ma come la mia bambina vera, una volta viva e ora andato. Non ho mai sentito che il mio dolore fosse fuori luogo o irrazionale. Non ho mai dovuto lottare per conciliare il mio istinto travolgente sulla realtà che vivevo e il valore della mia bambina con messaggi culturali o un ambiente sociale che sostenevano persistentemente il contrario. Ho avuto quattro figli: tre di loro sono con me ora, e una se n’è andata. Il dolore è difficile, ma sono grata di non dover affrontare anche il “gas-lighting”.

Sfortunatamente, oltre a gestire commenti minimizzanti nelle loro relazioni interpersonali, le persone che attraversano la difficile esperienza dell’aborto spontaneo spesso incontrano anche risposte insensibili da parte della comunità medica.

Nel suo recente articolo “L’atteggiamento ospedaliero aggiunge dolore alla coppia“, Sarah Terzo evidenzia questi temi. Lindsey e April Woods hanno perso la figlia per aborto spontaneo nel secondo trimestre, e il loro dolore è stato solo aggravato dal fatto che il personale medico si è ripetutamente riferito alla loro bambina come ad un “tessuto” e, solo dopo richieste persistenti, ha restituito loro i resti della figlia per la sepoltura in un secchio arancione per rifiuti ospedalieri.

Questo approccio apparentemente indifferente è fin troppo comune nelle strutture mediche. Nel 2010, Critical Care Nursing Quarterly ha pubblicato “Proof of life: un protocollo per le donne incinte che soffrono di perdita perinatale pre-20 settimane“, in cui gli autori hanno condotto una revisione della letteratura e hanno scoperto che non esistevano protocolli per la cura emotiva per le donne che soffrono di perdita di gravidanza prima dell’età gestazionale di 20 settimane. Gli autori hanno suggerito opzioni per rispettare meglio l’esperienza della perdita (come offrire una preghiera, un momento di silenzio, una cerimonia per dare il nome al proprio figlio, un rinvio a  gruppi di supporto perinatale, ecc.). Ma l’attuazione di tali protocolli è stata lenta. Un articolo del 2017 sul Journal of Perinatology ha spiegato che, in un ambiente di pronto soccorso, le donne sotto le 20 settimane di gestazione che abortiscono ricevono cure fisiche adeguate, ma “il supporto psicologico e di lutto di cui hanno bisogno viene fornito in modo meno coerente o, più spesso, per niente”. La ricerca ha scoperto che quando le donne non ricevono un adeguato supporto emotivo e psicologico, il loro dolore è più profondo e duraturo e la loro perdita ha maggiori probabilità di innescare dolore irrisolto e depressione durante le gravidanze successive. Al contrario, fornire un adeguato supporto emotivo alle donne che hanno abortito migliora sia i loro risultati nel campo della salute mentale che la soddisfazione lavorativa del personale medico.

A tal fine, negli ultimi anni le principali parti interessate nella gestione del pronto soccorso e nel lutto hanno lavorato insieme per creare un documento programmatico che affronti l’assistenza per le donne che hanno un aborto – a qualsiasi età gestazionale. Il documento descrive i migliori principi e pratiche, sottolineando la cura sensibile e dignitosa per la famiglia, come l’offerta di sostegno per il lutto e scelte adeguate ai contesti culturali per quanto riguarda i resti del bambino.

Questo è un passo nella giusta direzione, e spero che più personale medico possa accedere all’istruzione e alla formazione necessarie per curare meglio le persone in lutto per l’aborto spontaneo. Sono meno ottimista riguardo ai cambiamenti positivi nella nostra cultura nel suo complesso. È difficile vedere come la narrativa del diritto all’aborto – che la vita prenatale sia cioè effettivamente irrilevante – possa coesistere con le nostre esperienze vissute dei nostri figli prima vivi, poi scomparsi. Mi aspetto che finché gran parte della società sarà incentivata a disumanizzare i nostri figli, i miei gruppi di perdita di gravidanza continueranno ad avere post come questo:

 

Aborto spontaneo


“Un test positivo, la gioia ha inghiottito la mia anima
Non vivere più per me stessa
Un sorriso dentro tutto il mio essere
Rosso, il corpo si inarcò per il dolore
I sogni sono stati spazzati via dalla marea
Come può qualcosa di così vivo essere tolto in un istante
È solo un feto, tessuto, dicono
Ma io so meglio di loro
Era mio figlio, il mio bambino
Un essere vivente,
Una parte della mia famiglia
La tranquillità è diventata tempesta
La gioia è diventata disperazione
Perché?
Perché?
Non potrà essere
Ero già innamorata
Avevo già fatto dei progetti
Perché?
“Puoi provarci di nuovo”
Come fosse tanto facile
Tristezza, disperazione
Vale la pena tentare di nuovo?
Il mio corpo darà ad un altro figlio una possibilità?
Spero”

 

“È solo un feto, un tessuto, dicono
Ma io so meglio di loro
Era mio figlio, il mio bambino
Un essere vivente

Una parte della mia famiglia”

 


 

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