Di seguito un articolo del prof. Michael Pakaluk, studioso di Aristotele e Ordinario della Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino, professore alla Busch School of Business della Catholic University of America. Vive a Hyattsville, MD, con sua moglie Catherine, anche lei docente alla Busch School, e i loro otto figli. Il suo acclamato libro sul Vangelo di Marco è Le memorie di San Pietro. Il suo nuovo libro, Mary’s Voice in the Gospel of John: A New Translation with Commentary, è ora disponibile. L’articolo è stato pubblicato su The Catholic Thing. Eccolo nella mia traduzione.
Non nego la validità del Vaticano II, naturalmente, né la sua immensa importanza. Ho letto ogni documento e affermo con tutto il cuore ogni linea. Ho anche letto tutti i documenti “post-conciliari”, e le Fonti del Rinnovamento di Karol Wojtyla. Ho scritto molti saggi e tenuto molte conferenze sul Concilio. Ho anche fatto una nuova traduzione di uno dei suoi decreti. Sarebbe difficile trovare dieci cattolici che abbiano studiato il Concilio più a fondo di me (“non è un vanto, solo un fatto” – John Wayne). Eppure ora mi trovo a chiedermi, ogni giorno di più, se il Concilio non sia in qualche modo “esaurito”.
Vi darò prima la mia ragione positiva. Considerate una qualsiasi associazione (la Chiesa è per molti aspetti un’associazione), e fatele adottare delle risoluzioni su come cambiare e migliorare, e poi assegnatele il miglior leader possibile, che capisca queste risoluzioni meglio di chiunque altro – qualcuno, infatti, che le abbia già incarnate. Inoltre, inondate quel leader di ogni tipo di assistenza divina e dategli il mandato più lungo possibile per attuarli e il più ampio pubblico. Ora, penso che la maggior parte di noi direbbe: bene, questo è quanto. Qualunque sia il risultato – questo è l’effetto che quell’associazione dovrebbe ragionevolmente aspettarsi dal suo autoesame e dalle sue risoluzioni.
Capite il punto. Il Vaticano II si è inteso come un “Concilio pastorale”. Qualcosa di pastorale è pratico. Qualcosa di pratico è come una forza che viene esercitata e applicata entro limiti definiti. Oppure la si può paragonare al seme che viene seminato (immagine di Nostro Signore). Il suo effetto dipende dalla ricettività e da molte altre cose. Ma un intervento pastorale ha un effetto definito e limitato, per la natura del caso. Quindi, consideratelo come positivo, o come deprimentemente scarso, forse. Ma perché non è vero che l’energia e l’intuizione del Vaticano II sono già esaurite, che il raccolto del Concilio è ormai chiaro? E consiste, in una parola, in qualsiasi effetto duraturo derivante dal pontificato di Giovanni Paolo II.
Tra parentesi, noto che sebbene Giovanni Paolo II non abbia scritto alcun documento magisteriale senza suffragare quasi ogni riga con un riferimento al Concilio, Benedetto ha in gran parte smesso di citare il Concilio (delle 40 note a piè di pagina della Spe Salvi, per esempio, non c’è un solo riferimento a un documento conciliare).
E vediamo prove che il Concilio è “esaurito” nelle pratiche dei cattolici? Da parte mia trovo che, mentre trent’anni fa avrei potuto mettere con entusiasmo la Gaudium et Spes nelle mani di uno studente sotto la mia guida, ora raccomanderò Sant’Agostino, San Francesco di Sales, San Giovanni Vianney, o semplicemente i Vangeli come portatori dei migliori effetti pratici.
Ma ora vi darò quattro “fosche” ragioni per cui è esaurito, e per cui è bene considerarlo esaurito.
La prima ragione ha a che fare con il significato pratico di ciò che diciamo e facciamo, e che c’è nelle cose umane un tempo limitato per stabilire un significato, un significato definito. Chiunque abbia effettivamente letto i documenti del Vaticano II sa che i documenti dicono una cosa, e che ampie fasce di cattolici o non ne hanno idea, o li prendono per significare qualcos’altro.
Ora questo non è un problema di ieri. Persiste da quasi sessant’anni. In effetti, non è mai stato stabilito un significato pubblico proprio (eccetto, di nuovo, dagli atti pastorali di San GP II). I documenti, da soli, sono inerti; non significano nulla se non vengono compresi e messi in pratica da una comunità – così devono ritenere i cattolici. Alla Chiesa manca l’abitudine, la cultura e la volontà di interpretare quei documenti in ciò che dicevano originariamente. Se c’è bisogno di una prova, considerate le smarrite peregrinazioni della “via sinodale”.
L’onestà potrebbe sembrare richiederci di dire che il Concilio è ormai lettera morta: O meglio dire, non che è morto, ma che ha ottenuto tutto ciò che poteva ottenere.
La seconda ragione ha a che fare con il luogo in cui guarderemmo oggi per dare seguito ai principali temi del Consiglio. Quasi tutti sono stati ignorati, ma il rimedio non è più nel Concilio. La chiamata universale alla santità? Il rimedio ora è nei Vangeli e nei santi. Il rinnovamento della liturgia? Ma sappiamo che si è dimostrato in pratica quasi impossibile attuare il Novus Ordo conservando il mistero e la trascendenza. Il “mutuo arricchimento” del Vecchio Rito è stato pensato per fornire il rimedio. Libertà religiosa? Ditemi un solo cattolico che creda che l’assenza di sostegno statale o di sgravi fiscali per le scuole cattoliche sia una grave oppressione della libertà religiosa. Ma lo è, e una contromossa deve venire dalle tradizioni di libertà civile.
La terza ragione “triste” è che nel lungo pontificato di GP II è diventato evidente che l’insegnamento del Concilio mancava di incisività a parte una ferma adesione ad alcune idee chiave che sono state chiarite, piuttosto, nelle encicliche di GP II. Che siamo di fronte a una cultura di morte (non nel Vaticano II). Che l’abbraccio della contraccezione artificiale è il passo chiave nel rifiuto da parte della società dei propositi di Dio come mostrato nella natura (non nel Vaticano II). Che la teologia morale deve affermare azioni per se malum – atti “malvagi in sé” (non nel Vaticano II). Che le università cattoliche devono essere riformate (non nel Vaticano II). Che la famiglia cristiana è l’unità standard e fondamentale dell’evangelizzazione (in Familiaris Consortio ma non nel Vaticano II).
La quarta e ultima ragione è che, chiaramente, abbiamo bisogno di un nuovo Concilio. Se una coppia fa un ritiro di matrimonio, e si presenta con delle risoluzioni, e un anno dopo scopre che non ne ha mantenuta quasi nessuna, nonostante le circostanze propizie – la cosa migliore che può fare è fare un altro ritiro, in cui capire perché. Abbiamo bisogno di un altro Concilio che faccia diagnosi, sì, ma anche che scomunichi, che ponga fine a uno scisma implicito tracciando delle linee su chi appartiene (alla Chiesa, ndr) e chi no.
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