Oggi, 15 luglio, è la festa liturgica di San Bonaventura da Bagnoregio, Dottore Serafico della Chiesa. Di seguito pubblichiamo ampi stralci da un breve saggio di Ignazio Mancini OFM (1922-2016), pubblicato in “Bonaventuriana. Saggi in occasione del VII Centenario della morte di S. Bonaventura”, Franciscan Printing Press, Gerusalemme, 1974. Per non appesantire il testo, non sono trascritte le note dell’autore. Le citazioni tra virgolette sono tratte dalle opere di San Bonaventura. Trascrizione di Silvio Brachetta.
La Chiesa proclamando S. Bonaventura Dottore ha riconosciuto ufficialmente la perenne validità della sua teologia. Nel corso di sette secoli, la testimonianza esplicita ed ammirativa di tanti Papi, quella di moltissimi teologi che l’hanno seguito come loro maestro e soprattutto quella di numerose anime, che hanno trovato nella sua dottrina il loro nutrimento, autorizzano a ritenerlo tuttora uno dei maggiori esponenti della teologia cattolica.
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Diciamo prima di tutto che, per S. Bonaventura, tutte le scienze provengono da Dio, «il grande datore delle scienze». La scienza è come l’acqua: è più pura se si attinge alla prima sorgente. Chi vuole ottenere il dono della luce piena deve ricorrere a Dio, dottore e donatore di questo dono. La conoscenza di Dio è necessaria per conoscere qualunque altra verità: «è impossibile che il nostro intelletto conosca con sicurezza qualche verità, senza che in qualche modo conosca la verità suprema»; «Se non si conosce l’essere in sé, non si può conoscere nessun’altra sostanza particolare», né rilevare le incompletezze e i difetti della realtà: «Come l’intelletto potrebbe conoscere che un ente è parziale e incompleto se non avesse nessuna nozione dell’essere completo?».
In conclusione, per S. Bonaventura, l’intelletto umano conosce nella luce di Dio e raggiunge la certezza delle realtà perché può regolarsi sulla «ratio aeterna» ed essere mosso dalla suprema «ratio motiva».
Per il Serafico Dottore, la scienza è la luce dell’anima: «La chiarezza dell’anima è la scienza, e all’inverso la tenebra dell’anima è l’ignoranza». Le scienze, tuttavia, non rischiarano tutte allo stesso modo, anche se tutte provengono da Dio. Si tratta di più doni di differente portata.
Bonaventura enumera quattro scienze: la filosofica, la teologica, la gratuita e la gloriosa. La gratuita è quella che nel linguaggio ordinario siamo soliti chiamare scienza infusa; la gloriosa è quella che si avrà pienamente nella gloria: «Tale scienza s’inizia nei contemplativi, si perpetua in quelli che risorgono».
Come in tutte le cose, anche nella valutazione della scienza gli uomini prendono degli abbagli. I mondani esaltano la filosofia a scapito della teologia: «La chiarezza della scienza filosofica è grande nell’opinione dei mondani, piccola però in confronto alla chiarezza della scienza cristiana. La chiarezza invece della scienza teologica appare piccola nel pensiero dei mondani, ma nella realtà è grande».
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Nel pensiero di S. Bonaventura una direzione orizzontale della scienza è inconcepibile. Per lui, infatti, tutte le scienze sono a servizio della teologia. Nella sua operetta De reductione artium ad theologiam, egli divide lo scibile umano in sei discipline. Ogni disciplina ripete un’analogia col Verbo Incarnato, un dovere per l’uomo ed un fine della vita. Cosa vi è di apparentemente più profano delle scienze meccaniche? Ebbene, S. Bonaventura afferma che le scienze meccaniche ci portano anch’esse al mistero dell’Incarnazione.
L’analogia, secondo il Serafico Dottore, consiste nel fatto che, come il pensiero dell’uomo si fa visibile nell’opera prodotta dalle scienze meccaniche, così il Verbo si è reso visibile diventando uomo; il dovere è visto nell’ammonizione a ben vivere che ci viene dall’opera prodotta dalle scienze meccaniche, la quale sarà ben riuscita se avrà le tre qualità richieste dalla sua natura, se cioè sarà bella, utile e stabile, qualità che corrispondono alle tre condizioni richieste dal ben vivere: sapere, volere e perseverare.
Per S. Bonaventura, Dio è presente nelle scienze, come lo è nelle creature. Tra scienza e fede non può esistere nessun contrasto, «in quanto la radice dell’unità delle scienze risiede nel pensiero eterno, Cristo Verbo del Padre, luce di ogni uomo che viene nel mondo».
Se tutte le scienze sono vie che conducono a Dio, per il Dottore Serafico, la teologia, che comprende molte scienze, è una delle «grandi vie». Essa è ordinata alla vita mistica, al conseguimento dell’abbraccio mistico sapienziale con lo sposo divino. Se la filosofia è «notizia certa», la teologia è «notizia pia». La prima tratta «della verità investigabile», la seconda della «verità credibile».
Per il Serafico Dottore, la teologia è una vera scienza, ma non una scienza qualunque. Essa si fonda sulla fede: «Sopra la fede dunque è fondata la scienza teologica».
Il nostro Dottore distingue bene i principi di ragione, che egli chiama «primi principi» e sui quali si fonda la scienza filosofica, dai principi di fede, che sono le basi della teologia: «Come le scienze filosofiche si fondano sopra i primi loro principi, così la scienza della Scrittura o teologia si fonda sopra gli articoli di fede, che sono le dodici basi della città superna».
Come si può notare da questa citazione, S. Bonaventura parla indistintamente della teologia e della S. Scrittura identificandone addirittura i termini. Quanto perciò egli scrive esplicitamente sulla Scrittura si può e si deve riferire anche alla teologia, di cui dà questa definizione: «La scienza teologica è la pia notizia della verità credibile».
L’aggettivo «pia», in questa definizione, è perfettamente bonaventuriano. Non si può coltivare la teologia senza la pietà: «Se volete essere veri scolari, dovete coltivare la pietà». La pietà giova soprattutto a conoscere le verità salutari e il Signore dà la sapienza soltanto a coloro che vivono piamente.
In S. Bonaventura c’è sempre l’assillante preoccupazione di valorizzare al massimo le realtà esistenziali dell’uomo.
L’unica realtà è l’impegno, l’onestà, la scelta della via retta, l’adesione ai principi evangelici. Il teologo soprattutto non può limitarsi ad una speculazione pura delle realtà divine prescindendo dalla pietà, dalla devozione, dall’ammirazione, dall’amore, dall’umiltà, dalla sapienza divina e dalla Grazia.
Al teologo specialmente il Serafico Dottore sembra rivolgersi quando scrive nell’Itinerarium [mentis in Deum]: «Invito perciò il lettore prima di tutto alla preghiera fatta mediante Gesù Cristo, il cui sangue toglie le macchie dei nostri peccati, affinché non s’illuda che possa bastare la lettura senza la pietà, la speculazione senza la devozione, la ricerca senza l’ammirazione, l’attenzione senza la gioia, l’attività senza la pietà, la scienza senza l’amore, l’intelligenza senza l’umiltà, lo studio senza la Grazia, l’intuizione e la ricerca umana senza la sapienza ispirata da Dio».
La pretesa di fare a meno della Rivelazione per fermarsi esclusivamente alla ragione per quanto riguarda il problema più importante, che è quello di Dio, è una stoltezza: «Chi confida nella scienza filosofica e, in ragione di essa, si stima e si reputa molto avanzato, è già divenuto stolto, se crede che gli basti quella scienza e non abbisogni di altra luce per conoscere il Creatore; come se uno con le candele pretendesse di osservare il cielo o il corpo solare».
La filosofia può essere considerata soltanto una prima tappa, una preparazione alla teologia e non una meta nella quale ci si possa riposare: «La scienza filosofica spiana la via alle altre scienze; ma chi si ferma lì, cade nelle tenebre».
Senza la teologia, gli uomini rimangono con «gli occhi da pipistrello», incapaci di fissarli, anche minimamente su Dio, che è «luce inaccessibile».
Bonaventura afferma che neppure la scienza teologica può avere la pretesa di esaurire la comprensione dei misteri divini. È assolutamente necessario che il teologo sappia riconoscere i propri limiti ed acceda allo studio della teologia con umiltà, perché «chi pretende di entrare nel santuario di Dio con la superbia, non riuscirà, sebbene sia letterato; come sarebbe stolto l’illetterato, che volesse entrarvi con alterigia».
Oltre che pio e umile, il teologo deve sentirsi impegnato nella vita. Una teologia non vissuta non soltanto perde la sua efficacia, ma diviene pietra d’inciampo: «Questa scienza, se non è accompagnata dalle opere, invece che utile, è dannosa».
Sono reprensibili quei teologi che vogliono regolarsi esclusivamente col proprio sapere non ricorrendo a Dio con la preghiera per attingere da lui la verità. Quelli poi che si servono della scienza sacra per giustificare il male «tessono tele di ragno».
Poiché il teologo diventa spesso il consigliere delle anime, S. Bonaventura vuole che si scelgano buoni consiglieri ed è necessario fare attenzione per saper schivare i consiglieri malvagi. Il Serafico Dottore parla di tre cattivi consiglieri: il primo è chi annienta le cose grandi; il secondo è chi volge in male le cose buone; il terzo è chi rende dubbie le certe.
Si ripete da tutti che, da qualche anno [ricordiamo che padre Ignazio sta scrivendo nel 1974, ndr], la Chiesa sta attraversando una profonda crisi. Anche i più ottimisti ormai devono arrendersi all’evidenza, pur nutrendo la ferma speranza che essa ne uscirà purificata e rinvigorita.
Le cause di questa crisi sono molteplici e di vario genere. Non ultima certamente è l’ignoranza e la distorsione della scienza teologica. La verità, per molti, è diventata qualcosa di relativo.
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Il Serafico Dottore direbbe allora che teologi di questo genere impediscono che gli altri facciano il bene e camminino «per la via diritta» e che, in questo caso, essi fanno «peggio del diavolo, perché il diavolo ha faccia di nemico».
La teologia dev’esser coltivata non per il proprio interesse personale sia morale che materiale, ma per render servizio. La teologia è, infatti, un servizio e come tale deve tener presente l’edificazione del prossimo: «Voglio parlare con la maggior chiarezza possibile, perché tutti mi comprendano».
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Nel pensiero di S. Bonaventura è inoltre necessario che la teologia sia fedele alla parola rivelata e salvifica, perché la sacra Scrittura è la base della Chiesa e chi non la conosce «dev’esser rimosso dall’ufficio e dalla dignità ecclesiastica». Per il Serafico Dottore, la Chiesa di Cristo non è una istituzione voluta dalla volontà umana e favorita dalle circostanze storiche, ma esiste per volontà divina, fondata «sopra le parole divine. Le sacre parole ne sono le salde basi».
I disordini e la confusione nella Chiesa provengono dall’ignoranza dell’autentica scienza teologica: «Ove viene a mancare la scienza della sacra Scrittura […] la Chiesa per necessità viene messa a soqquadro».
Bonaventura è un teologo-pastore. Un pastore che, come il Maestro, ama le sue pecorelle […]. Non fugge davanti ai lupi rapaci, ma affronta e svela i falsi pastori, denunciando le loro dottrine erronee, nutre le anime con la dottrina più solida, sicura e devota, svelando loro le ricchezze della vita cristiana con parole semplici per essere capito da tutti.
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