Spesso si tende anche tra noi cristiani ad esorcizzare il pensiero della morte e con esso il riferimento al luogo che per eccellenza ci rimanda ad essa : il cimitero. Come ogni buona cristiana , soprattutto in questo mese dedicato ai cari defunti, mi sono recata al cimitero e passando dalla chiesa, i miei occhi si sono soffermati alla bacheca interna e, tra i vari avvisi ed appuntamenti , ho scorto una riflessione bella ed originale che il rettore della chiesa, don Antonio Mitrugno, aveva pubblicato in questi giorni su un giornale diffuso nel Sud Italia, La Gazzetta del Mezzogiorno (Brindisi 13 novembre 2023)
Annamaria De Matteis O.V.
C’è un luogo della città dove ci si muove solo a piedi. Perciò si cammina adagio, si ha tempo per guardarci intorno, leggere qualche scritta, notare qualche fiore, commentare la bellezza e la stranezza di un monumento. Lo sguardo si ferma anche sulle tombe dimenticate e ci si interroga sulle vicende umane, la loro precarietà e gli interrogativi sul senso della vita e della gloria terrena.
C’è un luogo della città dove il dialogo si può fare anche senza parlare. Il ricordo fa risuonare parole udite in altri tempi. L’immagine permette di ripercorrere vicende, rapporti, speranze condivise, dispiaceri, ferite. Il bene fatto, il bene ricevuto, il male fatto, il male subito entrano nel dialogo senza parole, nella memoria che sembra solitaria e invece è corale.
C’è un luogo della città dove non si può evitare il pensiero della morte, dell’inevitabile passaggio, del finire di quello che è cominciato. Il qualsiasi, il ciascuno, il nessuno è così speciale che non debba piegarsi all’esito iscritto nella precarietà, fin dal venire all’esistenza: il glorioso e l’insignificante l’edificante, il ricco e il povero. Tutti sono attesi dalla “nera signora”. Ma nel luogo dove non si può evitare il pensiero della morte alcuni si rassegnano come all’ultimo appuntamento e cercano di esorcizzare il brivido che percorre la schiena quando ci si pensa seriamente, evitando di pensarci seriamente; altri invece, accendono un lume e dicono una preghiera, professano una speranza, avvertono una presenza amica che abita una dimensione inaccessibile ai sensi, ma non all’anima e alla fede.
C’è un luogo nella città dove tutti stanno insieme, buoni e cattivi, gente che ha fatto del bene e gente che ha rovinato la vita di molti, persone illustri e persone sconosciute, gente che è venuta da chissà dove e gente che è nata, cresciuta, vissuta e morta in città. I cimiteri nella città forse talora sono una presenza ingombrante, forse talora si pensa che sarebbe meglio che non ci fossero, alcuni pensano che sarebbe meglio disperdere le ceneri in qualche nessun luogo e dimenticare tutto, dimenticare persino la morte, in cui tutti stanno insieme accomunati dall’unico destino, forse può lasciarsi istruire dalla presenza dei cimiteri. La presenza dei resti dei morti, che si raccolgono in un luogo comune, forse invita la città a riconoscere una vocazione alla comunità: non siamo fatti per la solitudine, ma nasciamo in una comunità e andiamo a finire in uno spazio comunitario, siamo fatti per stare insieme, da vivi e perciò anche da morti e risorti. Questo suggerisce di contrastare la tendenza alla gestione privatistica della morte, alle ceneri disperse chissà dove, alle ceneri consumate negli spazi del privato e perciò sottratti alla preghiera del ricordo comunitario.
La presenza dei cimiteri e del loro messaggio nelle città può aiutare la città a coltivare la saggezza: molte cose che sembrano importanti, passano presto e non lasciano nulla; molte ambizioni, aspirazioni, presunzioni sono irrise dalla morte, che sorprende, interrompe, stravolge anche dalla morte che ritarda, che si fa aspettare troppo, che mortifica la bellezza, l’efficienza, la lucidità, nello spettacolo desolante dell’infermità della vecchiaia.
La presenza dei cimiteri tiene viva la domanda sul senso del tutto e invoca la risposta. Il vangelo risponde con l’annuncio della speranza, con la promessa di un approdo che sconfigge la morte e fa risplendere la beatitudine. Per questo la città laboriosa fino alla frenesia creativa, intraprendente, proiettata verso il futuro può riconoscere nei cimiteri e nella visita ad essi, nella celebrazione della messa nei cimiteri, un invito ad essere città saggia, paziente, capace di coltivare pensieri di modestia e di speranza e di resistere alla troppo facile tentazione dell’esasperata ricerca del successo precario, della ricchezza che il tempo consuma.
Un sacerdote amico
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