In un’intervista a un giornale italiano, il cardinale cinese ha criticato quelle che ha definito “generalizzazioni tendenziose” nel decreto di Papa Francesco del 2021 che limita la liturgia tradizionale.

Di seguito un articolo scritto da Edward Pentin, pubblicato su National Catholic Register. Eccolo nella mia traduzione. 

 

Card. Zen - Papa Francesco - Benedetto XVI
Card. Zen – Papa Francesco – Benedetto XVI

 

Il cardinale Joseph Zen Ze-kiun ha affermato che il decreto Traditions Custodes di Papa Francesco del 2021, che ha limitato fortemente la liturgia tradizionale, contiene “generalizzazioni tendenziose” che hanno “ferito il cuore di molte persone”.

In un’intervista al quotidiano milanese ll Giornale pubblicata martedì, il vescovo emerito di Hong Kong è stato interrogato sui “rinnovati disaccordi tra tradizionalisti e progressisti” in un nuovo libro intitolato Nient’altro che la verità dell’ex segretario personale di Benedetto XVI, l’arcivescovo Georg Gänswein.

Il cardinale Zen ha detto di non aver ancora letto il libro, ma ha aggiunto: “Sono d’accordo con mons. Gänswein sulla questione della Messa in latino. Le generalizzazioni tendenziose contenute nella Traditionis Custodes di Francesco hanno ferito il cuore di molte persone”.

“Leggendo il motu proprio e la lettera del Papa ai vescovi, si nota una ‘faciloneria’ e una ‘tendenziosità’ nel collegare il desiderio di usare la forma straordinaria della Messa con un giudizio negativo sulla forma ordinaria della Messa, o una tendenza a collegare il rifiuto di accettare la riforma liturgica con un rifiuto totale e profondo del Concilio Vaticano II”.

“Gli anti-Ratzinger del Vaticano non possono aspettare pazientemente che la Messa tridentina muoia insieme alla morte di Benedetto XVI, invece di umiliarlo in questo modo?”, ha detto.

Nella lettera ai vescovi che accompagnava Traditionis Custodes (Custodi della Tradizione), il Papa ha detto che “l’uso strumentale” del Messale Romano pre-riforma del 1962 “è spesso caratterizzato da un rifiuto non solo della riforma liturgica, ma dello stesso Concilio Vaticano II, sostenendo, con affermazioni infondate e insostenibili, che esso ha tradito la Tradizione e la “vera Chiesa””.

Il decreto stesso ha imposto ampie restrizioni alla celebrazione della vecchia forma della Messa celebrata prima della riforma liturgica di Papa Paolo VI nel 1970, ribaltando precedenti decreti papali come il motu proprio Summorum Pontificum di Papa Benedetto del 2007 che aveva liberalizzato l’uso del Messale Romano del 1962. Tra le sue restrizioni c’era il divieto per i vescovi di permettere la celebrazione della Messa tradizionale “nelle chiese parrocchiali e senza la creazione di nuove parrocchie personali”.

Il cardinale Zen, che di recente ha ottenuto dalle autorità di Hong Kong il permesso di recarsi a Roma per i funerali di Benedetto XVI, ha fatto commenti simili sulla Traditionis Custodes nel 2021, dopo la pubblicazione del motu proprio. In quell’occasione aveva anche detto di ritenere che alcune parti del decreto sembrassero “chiaramente auspicare la morte” dei gruppi dediti alla liturgia preconciliare.

 

Cosa ha scritto l’arcivescovo Gänswein

In un’intervista pre-registrata con Der Tagespost, pubblicata il giorno della morte di Benedetto, l’arcivescovo Gänswein ha detto di credere che Papa Benedetto abbia letto la Traditionis Custodes “con il dolore nel cuore, perché voleva aiutare coloro che avevano trovato posto nella vecchia Messa, allontanarli da [l’arcivescovo] Lefebvre e far sì che trovassero una pace interiore, anche liturgica”.

Nel suo libro, l’ex segretario personale di Benedetto ha ampliato la reazione di Benedetto e ha rivelato che Benedetto XVI ha scoperto per la prima volta la Traditionis Custodes “sfogliando l’Osservatore Romano di quel pomeriggio”.

Quando gli ho chiesto la sua opinione”, ha scritto l’arcivescovo Gänswein, “ha ribadito che il Pontefice regnante ha la responsabilità di decisioni come questa e deve agire secondo ciò che considera il bene della Chiesa”.

“Ma a livello personale ha riscontrato un deciso cambio di rotta e lo ha considerato un errore, poiché ha messo a repentaglio il tentativo di pacificazione fatto quattordici anni prima”.

L’arcivescovo Gänswein ha aggiunto: “Benedetto, in particolare, riteneva sbagliato proibire la celebrazione della Messa in rito antico nelle chiese parrocchiali, perché è sempre pericoloso mettere all’angolo un gruppo di fedeli per farli sentire perseguitati e per ispirare loro il senso di dover salvaguardare la propria identità a tutti i costi di fronte al “nemico””.

Ha anche ricordato che il Papa emerito ha “aggrottato la fronte” per le parole di Francesco ai gesuiti a Bratislava nel settembre 2021, quando disse: “Ora spero che con la decisione di fermare l’automatismo del rito antico si possa tornare alle vere intenzioni di Benedetto XVI e Giovanni Paolo II. La mia decisione è il risultato di una consultazione con tutti i vescovi del mondo fatta l’anno scorso”.

L’arcivescovo Gänswein ha detto che Benedetto ha mostrato “ancora meno apprezzamento” per l’aneddoto che Francesco ha poi raccontato ai gesuiti slovacchi. Francesco ha aggiunto: “Un cardinale mi ha raccontato che due sacerdoti appena ordinati vennero da lui a chiedergli il permesso di studiare il latino per poter celebrare bene. Con senso dell’umorismo egli ha risposto: ‘Ma ci sono molti ispanici nella diocesi! Studiate lo spagnolo per poter predicare. Poi, quando avrai studiato lo spagnolo, torna da me e ti dirò quanti vietnamiti ci sono nella diocesi, e ti chiederò di studiare il vietnamita. Poi, quando avrai imparato il vietnamita, ti darò il permesso di studiare il latino”. Così li ha fatti ‘atterrare’, li ha fatti tornare sulla terra”.

L’arcivescovo Gänswein ha ricordato che, in quanto esperto del Vaticano II, Benedetto “ricordava bene come il Concilio avesse invece insistito sul fatto che ‘l’uso della lingua latina, tranne che per riti particolari, fosse conservato nei riti latini'” e che tutti i seminaristi dovessero impararlo.

Ha anche ricordato che Benedetto aveva emanato nel 2012 un motu proprio intitolato Lingua Latina in cui “non a caso” Benedetto notava che “i libri liturgici del rito romano, i documenti più importanti del Magistero Pontificio e gli atti ufficiali più solenni dei Romani Pontefici [sono] scritti in quella lingua nella loro forma ufficiale, proprio per evidenziare il carattere universale della Chiesa”.

Sottolineando l’importanza della liturgia per Benedetto nei suoi scritti, come La festa della fede (1984) e Lo spirito della liturgia (2000), la sua centralità per qualsiasi riforma della Chiesa e il pericolo che la liturgia “diventi un campo di battaglia per schieramenti opposti”, “L’arcivescovo Gänswein ha detto che con il Summorum Pontificum “ha voluto rendere più facile per un sacerdote celebrare il rito antico, superando la necessità di rivolgersi al vescovo diocesano e concedendo la competenza alla Commissione ‘Ecclesia Dei'” – un organismo curiale istituito da Papa San Giovanni Paolo II con il compito di cercare di risolvere il problema della liturgia. Giovanni Paolo II con il compito di cercare di riportare i cattolici tradizionali che si erano separati da Roma nella piena comunione con la Chiesa.

“Tuttavia, gli è sempre stato chiaro che esisteva un solo rito, anche se con la compresenza dell’ordinario e dello straordinario”, ha proseguito l’arcivescovo Gänswein. La sua unica motivazione era il desiderio di riparare la grande ferita che si era gradualmente creata, intenzionalmente o meno”.

“Non si è trattato di un’operazione condotta clandestinamente, come alcuni in malafede hanno sostenuto”, ha continuato. “È stata infatti la Congregazione per la Dottrina della Fede a occuparsi del testo del motu proprio [Summorum Pontificum], con il coinvolgimento dei membri della feria quarta e della plenaria. Benedetto ha seguito costantemente lo stato di avanzamento del testo attraverso gli aggiornamenti fornitigli dal cardinale prefetto [William] Levada” e attraverso i feedback “sempre positivi” durante le visite ad limina.

 

Le intenzioni di Benedetto

“Per questo motivo, a Papa Ratzinger quel riferimento alle sue ‘vere intenzioni’ sembrava incongruo”, ha detto l’arcivescovo Gänswein, riferendosi a un passaggio di Luce del Mondo, un libro-intervista con Peter Seewald pubblicato nel 2010.

Il passaggio cita Benedetto che dice di aver voluto “rendere la forma antica più facilmente accessibile soprattutto per preservare il legame profondo e ininterrotto che esiste nella storia della Chiesa”.

“Non possiamo dire: prima era tutto sbagliato, ma ora è tutto giusto”, ha continuato Benedetto. “Infatti, in una comunità in cui la preghiera e l’Eucaristia sono le cose più importanti, ciò che prima era considerato la cosa più sacra non può essere considerato del tutto sbagliato. Si trattava della riconciliazione con il proprio passato, della continuità interna della fede e della preghiera nella Chiesa”.

L’arcivescovo Gänswein ha anche detto che “rimane misterioso per Benedetto” il motivo per cui non sono stati resi noti i risultati di una consultazione vaticana dei vescovi in vista della pubblicazione della Traditionis Custodes, che Papa Francesco ha detto nella sua lettera ai vescovi “rivelano una situazione che mi preoccupa e mi rattrista, e mi persuade della necessità di intervenire”.

Vedere i risultati, secondo Benedetto, “avrebbe permesso una comprensione più precisa di ogni implicazione della decisione di Papa Francesco”.

L’arcivescovo Gänswein ha anche detto che è “sorprendente” che nella Traditionis Custodes l’autorità per la gestione delle questioni riguardanti la forma straordinaria del rito romano venga trasferita dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e suddivisa tra il Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.

 


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