Conosco pochi, se non nessuno, personaggi pubblici che abbiano mostrato il coraggio morale che George Pell ha dimostrato per decenni nel difendere e promuovere la verità della fede cattolica. Così George Weigel, scrittore e biografo di Papa Giovanni Paolo II nel suo articolo pubblicato su Catholic World Report. Eccolo nella mia traduzione. 

 

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Martedì 3 gennaio, quando il cardinale George Pell ed io ci siamo recati a rendere omaggio al Papa emerito Benedetto XVI, che giaceva in San Pietro, non ho potuto fare a meno di notare la riverenza con cui i sanpietrini della basilica hanno accolto l’alto australiano che camminava lentamente con un bastone. Questi uscieri e guardie sono abituati alle eminenze ecclesiastiche, ma c’era qualcosa di diverso nel loro evidente rispetto e affetto per il cardinale Pell. Si trattava di un uomo che aveva sofferto molto per la Chiesa e la verità. Era un “martire bianco”. Bisognava prestare attenzione. E così è stato.

Abbiamo pregato per 15 minuti davanti alla bara dell’altare maggiore su cui riposava il Papa emerito e poi sulla tomba di San Giovanni Paolo II, prima di lasciare la basilica da una porta secondaria, dove ci aspettava l’auto del cardinale. Mi sono reso conto di quanto fosse difficile camminare per il mio amico di 81 anni solo quando mi ha chiesto di appoggiarsi al mio braccio mentre scendevamo un leggero pendio che portava alla porta. Fuori abbiamo visto l’arcivescovo Georg Gaenswein, a lungo segretario del defunto Papa emerito, che stava entrando in San Pietro con un piccolo gruppo. Ci siamo scambiati le condoglianze, durante le quali l’arcivescovo ha detto al cardinale che l’ultimo libro che Papa Benedetto aveva letto era il primo volume del Prison Journal di Pell (al quale ho avuto l’onore di contribuire con una prefazione).

La sera precedente, il cardinale Pell e io avevamo cenato con circa 50 seminaristi della provincia di Milwaukee presso la Basilica di San Paolo fuori le Mura, ospiti dell’arciprete (e nativo di Milwaukee), il cardinale James Harvey. Erano un gruppo impressionante di uomini e pendevano dalle labbra del cardinale, in forma smagliante, nei suoi brevi commenti dopo la cena. Pell ha sottolineato con delicatezza ma con fermezza l’importanza del coraggio nel sacerdozio: il coraggio di evangelizzare, il coraggio di affrontare i venti contrari della cultura, il coraggio di riporre totalmente la propria fede nel Signore.

E nelle ore immediatamente successive alla sua scioccante e inaspettata morte, avvenuta il 10 gennaio, mi è venuto in mente, attraverso la nebbia mentale e spirituale di un profondo dolore, che, in quei brevi commenti, George Pell aveva inavvertitamente ma autenticamente scritto il suo stesso epitaffio: era un uomo coraggioso che “incoraggiava” gli altri – che dava coraggio agli altri o, forse meglio, tirava fuori dagli altri il coraggio che non sapevano di avere dentro.

Conosco pochi, se non nessuno, personaggi pubblici che abbiano mostrato il coraggio morale che George Pell ha dimostrato per decenni difendendo e promuovendo la verità della fede cattolica di fronte a un’implacabile e feroce campagna mediatica australiana per distruggerlo. Su richiesta di Papa Francesco, si è coraggiosamente impegnato a ripulire le stalle di Augean della finanza vaticana e stava facendo seri progressi in questo compito erculeo quando il sostegno su cui contava è evaporato. Sapendo di essere innocente rispetto alle assurde accuse per le quali era stato inizialmente condannato, ha coraggiosamente trasformato 404 giorni di carcere in un lungo ritiro, durante il quale ha scritto tre volumi di riflessioni che hanno dato conforto spirituale e incoraggiamento ai lettori di tutto il mondo. Tornato a Roma dopo essere stato riconosciuto innocente dall’Alta Corte australiana, ha svolto un ruolo silenzioso ma efficace dietro le quinte, incoraggiando i difensori dell’ortodossia cattolica a riflettere sui requisiti per un futuro cattolico più vivace.

Siamo stati insieme a Roma quasi ogni giorno di quella che si è rivelata essere l’ultima settimana della sua vita. In quel periodo abbiamo discusso a lungo sulla natura della crisi che la Chiesa cattolica dovrà affrontare nel 2023: in Germania, certo, dove il cammino sinodale sta volgendo verso l’apostasia, ma anche in tutta la Chiesa mondiale, dato che i preparativi per il Sinodo sulla sinodalità dell’ottobre 2023 rischiano di spogliare i vescovi della loro autorità e di trasformare la Chiesa in un circolo di discussione tra personaggi che abbracciano la cultura woke. Eravamo d’accordo che si trattava di una crisi di apostolicità: Gli insegnamenti del Signore Gesù, trasmessi da un’autorevole tradizione apostolica che trae le sue origini dal gruppo apostolico originario, continueranno a essere insegnati nel XXI secolo? Le verità della rivelazione divina, portate dalla tradizione apostolica, continuerebbero a essere insegnate, sostenute, custodite e vissute?

Rispondere a queste domande con un robusto “sì” richiede il tipo di coraggio che il cardinale George Pell ha dimostrato per oltre otto decenni, fino al giorno della sua morte. Altri membri della leadership della Chiesa, ordinati e laici, devono ora mostrare la stessa grinta, rafforzando il coraggio di ciascuno in quelli che promettono di essere mesi difficili e turbolenti.

 


Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. Sono ben accolti la discussione qualificata e il dibattito amichevole.


 

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