Roy De Vita è chirurgo di fama internazionale. Il curriculum di De Vita parla chiaro: primario del reparto di Chirurgia plastica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Roma “Regina Elena“ e direttore della Brest Unit del medesimo presidio ospedaliero. Nella sua carriera conta oltre 20 mila interventi di chirurgia estetica e ricostruttiva, ha tenuto conferenze o dimostrazioni chirurgiche dal vivo nei cinque continenti, in 32 nazioni e oltre cento città differenti.
De Vita è allibito dal fatto che dopo quasi due anni di vaccinazione COVID siano ancora poche le persone che si pongano delle domande basilari. Precisazione a scanso di equivoci: Roy De Vita è trivaccinato COVID, guarito dalla COVID-19 e ha fatto vaccinare suo figlio contro la COVID-19. Il breve video è da vedere e condividere. Di Roy De Vita abbiamo già rilanciato l’imperdibile lettera aperta al ministro della salute Roberto Speranza.
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Lui si è vaccinato e ha fatto vaccinare il figlio, e poi si chiede come mai ci siano così poche persone che si pongono delle domande?
“Come fa la giornalista a non porre domande?”
Io credo che il prof. De Vita lo sappia bene anche se non lo dice: è palese che stiamo all’interno di un sistema di potere di stampo mafioso attentamente costruito per ingabbiare il libero confronto e dibattito. Quanto accade presso molti ordini dei medici nei confronti di chi usa ancora la propria coscienza e reagisce a tutto ciò è una vergogna inaudita per la quale infatti nessuno si indigna: siamo già stati manipolati, conformati a ciò che il potere profondo desidera.
“Perché far finta che non vi siano eventi avversi o che siano irrilevanti?”
Per favore, andate a chiederlo a Rezza, Figliuolo e, ahimè, a Giancarlo Cesana (ammesso che sia in grado di rispondervi) dopo il surreale incontro tenutosi a Rimini.
PS: in merito al contributo dei media in tutta questa infame situazione vi invito ad andare a rileggervi qualche intervista di tale Margerita De Bac, spacciata dal corrierone per “divulgatrice scientifica” (sic!), a virostar e stretti affini. Non si sa davvero se ridere o se piangere, c’è solo da restare allibiti. Per questo quando vedo gente passeggiare con detto quotidiano sottobraccio (sacerdoti di Santa Romana Chiesa inclusi) pensando che lo leggono e lo prendono sul serio, mi viene l’eritema.
Ritengo che un contributo aimé determinante all’affermazione dell’ impostura sia stato determinato (spero in buona e non cattiva coscienza) anche dalle gerarchie della Chiesa Cattolica (“vaccinazione come gesto d’amore”), e in Italia in particolare dalla posizione distorta circolante come unica narrazione ammessa all’interno di CL, di cui Cesana è certamente uno dei principali responsabili. Perché allora non “stanare” i soggetti cattolici di questo travisamento, invitandoli a pubblico dibattito alla luce delle evidenze ormai mature e ineludibili sui gravi limiti della campagna “vaccinale”, e soprattutto della tossicità di questi preparati, per cui molti stanno vivendo un calvario devastante a livello fisico e psicologico?
Come cristiani ci verrà chiesto severamente conto di non aver saputo guardare in faccia la realtà, lottare per la verità, difendere i “senza potere”dall’arroganza dei potenti
In merito ai dubbi che qualcuno solleva circa la pressoché totale impunità di chi ha diffuso menzogne a piene mani e continua tuttora a farlo, il fatto è semplice: tutto il potere sta da quella parte, sta nelle loro mani. Ed è stato creato un “ecosistema” così perfetto che in fondo, a ciascuno conviene chinare il capo anche di fronte alle richieste più assurde, e obbedire. Oggi ad un trattamento sanitario, ad esempio, domani anche a strisciare anziché camminare su due gambe, se solo qualcuno lo decidesse dall’alto. Si intende, per il nostro bene. Ci mancherebbe pure.
Illudersi poi che il 25 settembre potrebbe cambiare realmente qualcosa, è comico. Occorre una ricostruzione proprio da quelle basi che un certo modernismo che si è fatto strada anche nelle gerarchie ecclesiastiche, ha messo in un angolo nell’ansia di “dialogare” con il mondo ma di fatto conformandosi ad esso. Perciò un lavoro di lungo termine.