Domenica XIV del Tempo Ordinario (Anno A)
(Zc 9,9-10; Sal 144; Rm 8,9.11-13; Mt 11,25-30)
di Alberto Strumia
Il Vangelo. Che cosa intende il Signore parlando dei “semplici”, che vengono qualificati nelle Sue parole, riportate nel Vangelo di questa domenica?
Per non fraintendere il valore di questa parola (“semplici”), bisogna tenere presente ciò che la teologia medievale – soprattutto san Tommaso d’Aquino, “dottore comune” (doctor communis) a tutta la Chiesa – insegna su Dio. Dio è perfettamente “semplice”.
La “semplicità” è il primo attributo di Dio, a partire dal quale si possono identificare anche tutti gli altri Suoi attributi. In Dio tutto coincide con il Suo Atto di essere, con la Sua essenza e la Sua esistenza, con la Sua Onnipotenza, con la Sua Onniscienza, con la Sua Vita, con la Sua Beatitudine, con la Sua Eternità, con il Suo essere Bontà infinita, con il Suo essere “La Verità”.
In Dio non c’è complicazione, composizione. I “semplici”, come Gesù intende identificarli non sono gli sprovveduti, i creduloni, i sempliciotti, ma sono coloro che più somigliano a Dio. Per questo il Signore li qualifica come “beati”. In loro è presente costantemente, come criterio guida della propria esistenza, la “domanda” sulla “verità della vita”: da questa “domanda” non possono distaccarsi.
E una volta incontrata la “Risposta” in Gesù Cristo che si comunica loro tramite persone e circostanze nell’alveo della Chiesa, non possono fare a meno di Lui, riconoscendo in Lui la “ragione”, il “motivo” per cui tutto esiste («Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste», Gv 1,3) e tutto vale la pena di essere vissuto, affrontato. Cristo è, per i “semplici” – come Egli stesso li definisce e li conosce – lo scopo, il “destino buono” per cui vale la pena vivere.
I “semplici” tutto questo lo percepiscono immediatamente, per una sorta di “istinto dello Spirito Santo” (secondo la bella espressione ricorrente in san Tommaso d’Aquino). Quando altri, magari anche più «sapienti e dotti», faticano ad arrivarci, per vie tortuose e complicate, o non ci arrivano per nulla, fermandosi a specchiare solo se stessi, compiaciuti per le loro artefatte “filosofie” del mondo.
Per essere davvero «sapienti e dotti», occorre essere prima di tutto “semplici”, cioè “santi”, così che tutta la “sapienza e dottrina” sia guidata dalla instancabile “domanda” sulla Verità della Vita che solo in Lui trova la risposta che li accontenta («Il nostro cuore è inquieto fino a che non riposa in Te», sant’Agostino, Confessioni, I,1).
In questa scena del Vangelo, Gesù sembra vedere tutto questo (e ovviamente molto di più di quello che noi possiamo umanamente immaginare), fissando il Volto del Padre, insieme con il Suo “sguardo divino” di Verbo – seconda Persona della Trinità – e con lo sguardo di vero Uomo, che gode della visione beatifica del Volto di Dio. Perché, come Egli stesso dice: «nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
E tra quelli ai quali il Figlio ha voluto rivelarlo, per una Grazia inimmaginabile, ci siamo anche noi, che abbiamo appena ascoltato il Suo insegnamento, dalla lettura del Vangelo, o godiamo dell’“anticipo” della Sua Presenza, nell’Eucaristia che stiamo celebrando e ci prepariamo a ricevere tra pochi istanti.
La nostra “semplicità” è racchiusa tutta nel custodire la “domanda” di conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e goderlo poi nell’altra vita in Paradiso (cfr., Catechismo “essenziale” di san Pio X per la preparazione ai Sacramenti, n. 13).
Questa prospettiva che si apre all’essere umano che entra nell’orizzonte della Fede e in esso si lascia guidare dalla storia della santità che lo ha preceduto, e dall’appartenenza alla Chiesa, rende “vivibile” già la vita terrena, riscattandola dall’“ingiustizia” commessa dall’umanità nell’avere interrotto il rapporto buono con Dio, con il “peccato originale”. La rende già alleggerita dall’affanno, dalla fatica del portare il peso delle conseguenze della rottura del “giusto modo” del rapporto tra la creatura e Dio Creatore. Per questo Cristo può dire a quanti ascoltavano allora e a quanti ascoltano ora il Suo insegnamento: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita».
La prima lettura. Così nella prima lettura il profeta Zaccaria può dire del futuro Messia, di Cristo, che «Egli è giusto e vittorioso». Giusto, perché ripara quell’“ingiustizia originale”, rimette nel giusto orientamento l’essere umano che gli si affida, impegnando su di Lui la vita intera.
Il Salmo responsoriale è un canto di ringraziamento a Dio per avere fatto dono di tutto questo bene a chi lo accoglie come “La Risposta” alla “Domanda” di Verità della Vita («Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre»).
La seconda lettura contiene l’invito dell’Apostolo Paolo, rivolto alla libertà di ciascuno, ad avere la piena consapevolezza (perché «lo Spirito di Dio abita in voi») di come stanno realmente le cose, di ciò per cui vale la pena vivere, di ciò che rende liberi dall’affanno del rincorrere inutili apparenze (qualificate da lui con l’espressione «il dominio della carne»).
E insiste perché la “Verità della Vita” sta nel vivere secondo lo Spirito di Cristo.
Maria, Madre di Dio, di Cristo e della Chiesa, prima tra quei “semplici” che partecipano per somiglianza, alla “semplicità” di Dio, ci accompagna per mano. Se solo la preghiamo costantemente per essere aiutati, nel percorso di “semplificazione” della nostra vita, rimuovendo le incrostazioni che ci appesantiscono, con il regolare, frequente, ricorso ai Sacramenti, che il Signore ci ha lasciato come mezzi certi per essere in contatto con Lui, ricevendo la Sua Grazia, che rende positiva la vita di ogni giorno («Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero»).
Maria, aiuto dei cristiani, prega per noi!
Bologna, 9 luglio 2023
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