La foto non ha alcuna attinenza con il contenuto dell’articolo, è solo un esempio.

 

di Brunella Rosano

 

Ho letto su un “tiletto da morto” cioè un avviso funebre, che nel paese vicino a quello in cui abito, non si celebrano più funerali in modo tradizionale, come usa da tempo immemorabile, in chiesa con la messa, ma si fa una cerimonia direttamente al cimitero. Come ai tempi dell’emergenza, quando i malati venivano isolati, morivano in solitudine, senza il conforto dei parenti e dei Sacramenti, i corpi venivano frettolosamente inumati, oppure addirittura cremati, e la funzione veniva svolta dal sacerdote al cimitero alla presenza di poche persone!

Mi sono informata e sembra che i sacerdoti della vicaria propongano ai famigliari dei defunti la scelta tra il funerale “classico” (mi sembra la pubblicità delle pompe funebri) oppure questa modalità all’aperto senza problemi di sanificazione e quant’altro! A seguito di un mini-sondaggio telefonico tra parenti ed amici  ho appurato quanto segue. Secondo i sacerdoti la gente è “contenta” di questa nuova soluzione. Sentendo alcuni fedeli del posto, la gente non sarebbe minimamente soddisfatta, anche perché  questa innovazione è stata accompagnata da altre  che non hanno entusiasmato il “gregge”. Ad esempio, la diminuzione del numero delle messe, lo spostamento di alcune messe dalla chiesa della “Crusà”, situata lungo la via principale, alla parrocchia raggiungibile tramite una lunga scala, chiamata appunto “scala santa”, oppure in macchina, ma si sa che chi frequenta le messe feriali sono normalmente avanti negli anni e non sempre motorizzato….. Insomma direi che c’è maretta….non proprio gaudio e letizia!

Il taglio del numero delle messe è un problema diffuso. D’altronde celebrare messe con la presenza di poche persone è avvilente, soprattutto se è la seconda messa che viene celebrata dallo stesso sacerdote nel giorno. Ho discusso per mesi con il nostro parroco quando ha eliminato la messa feriale delle 18.00. La risposta è stata che, a livello di “vicaria” la messa viene comunque  celebrata nella parrocchia vicina, a cinque chilometri. Ma i vecchietti senza macchina che faticano ad alzarsi la mattina per problemi di salute, nella parrocchia vicina non possono andare! Mi rendo conto che i sacerdoti son sempre di meno, ma l’obiezione “celebrare una messa al giorno basta!” mi indispone “leggermente”, cioè non la capisco proprio! Come mamma mi è capitato più volte (e penso sia successo a molte mamme) di cucinare più volte al giorno, minimo due, e  a seconda dell’orario di scuola dei figli e dei loro impegni. E’ capitato di dover stirare apposta un capo di vestiario che serviva per una ricorrenza particolare a ferro da stiro ancora caldo, dopo aver impiegato ore a sconfiggere il “mucchio selvaggio”! Gli esempi si sprecano!

Io credo che la legge della domanda e dell’offerta nel settore “ messe e  altre funzioni liturgiche” non sia applicabile! Se diminuisci il numero delle messe, alcuni fedeli andranno alle messe rimaste, altri non andranno più. E la vicenda del virus cinese lo dimostra: dopo la chiusura delle chiese e la sospensione totale delle funzioni, anche a Pasqua, i fedeli praticanti si sono drasticamente ridotti! Taglia oggi, taglia domani, il popolo, il gregge ha scelto diversamente.

A volte, quando sono colta da un attacco di “buonite” (infiammazione dovuta ad eccesso di bontà, episodi molto rari in verità!) penso che i sacerdoti, che si stanno sempre più chiudendo in sacrestia, vogliano educarci a fare a meno di loro dato che le “sante” vocazioni sacerdotali diminuiscono e i sacerdoti invecchiano. Insomma, forse vogliono farci provare in anticipo a  vivere senza di loro. In particolare sono i preti giovani che tendono a “risparmiarsi”. Come dice il nostro caro amico sacerdote per una vocazione in età adulta : “Il sogno di questi preti è dire solo una messa alla domenica, poi chiuderanno le chiese e andranno a parlare di teologia al bar, come dicevano 50 anni fa Biffi e Maggiolini”!

Mi viene in mente la parabola che tutti conosciamo del seminatore che ha sparso il seme su vari tipi di terreno: sulla strada, sulle rocce, tra i rovi, e una parte andò sprecata perché non portò frutto, e solo una parte cadde sul terreno buono e portò frutto. Normalmente questa parabola è stata commentata nelle omelie, facendo riferimento al “terreno” su cui cade il seme. Ed il terreno è il nostro cuore, la nostra mente, la nostra disponibilità ad accogliere la Parola di Dio, la nostra libertà ad aderire alla proposta del Signore.

Sicuramente il seminatore ha sprecato una buona quantità di semenza buttando semi in abbondanza! Mi piace pensare, però,  ad una lettura diversa di tale brano, senza nessuna presunzione di essere una “neo-teologa” (ce ne sono già troppe/troppi in giro!). Mi piace pensare che il seminatore non fosse proprio uno “stordito” che non sapeva cosa stesse facendo! Semplicemente ha gettato con abbondanza i semi, sperando che non andassero persi del tutto, ma che prima o poi qualcosa di buono sarebbe successo.  Guardandola dalla parte del seminatore, la prospettiva cambia: il seminatore (questo seminatore) conosce il terreno, non è uno sprovveduto, sa che certi cuori sono duri (la strada), il seme non penetra, servirà solo a sfamare gli uccelli del cielo (non andrà comunque perso). Sulle rocce c’è poca terra, subito spunta la pianta, ma non avendo radici il sole la secca. Però una piantina è cresciuta, magari in quel cuore subito entusiasta, ma poco profondo, resterà una traccia. Così come per i semi caduti tra le spine: la pianta germogliata viene soffocata, ma forse un tenue ricordo di quella parola udita rimane…. E poi c’è anche il terreno buono che permette alla pianta di germogliare e portare frutto.

Penso al nostro parroco, don Roberto, quando fa le prediche ai funerali. Perché proprio ai funerali? Perché è il momento in cui si trova davanti non solo i fedeli praticanti, cioè il terreno più o meno buono, ma anche persone che non vede mai, i famosi “lontani”, il terreno sassoso o coperto di rovi. In quel momento il seme viene buttato anche per loro, con la speranza che qualcosa rimanga, e non penso abbia paura di sprecare le sue parole! Anzi, approfitta dell’occasione per cercare di buttare il seme in quei cuori che vede di rado, solo ai funerali. A quelle persone che sono così disabituate alle messe che non sanno più quando stare in piedi e quando sedersi, si guardano attorno per vedere come si comportano gli altri e li imitano.

Non vorrei essere accusata di essere affetta dalla “sindrome di Santa Caterina da Siena” ( che sgridava addirittura il papa), ma vorrei lanciare un monito ai sacerdoti, sia ai don “normali” sia ai don che hanno fatto carriera: cari sacerdoti, meno date e meno ricevete. Il Signore vi ha dato una vigna da coltivare. Ma perché la vigna porti frutto occorre “lavorare”, non basta aspettare la pioggia. Come diceva la monaca Romita incontrata alcuni giorni orsono: “Manca la proposta. I sacerdoti non fanno più proposte. Se a me, quando ero adolescente, un sacerdote non avesse detto: non pensi a farti suora?, io oggi non sarei qui, felice, appagata della scelta fatta. Quella proposta è rimasta nel mio cuore per anni. All’inizio mi sono addirittura arrabbiata con il sacerdote e per un certo periodo di tempo non sono più andata in chiesa. Ma quel pensiero era sempre nel mio cuore, come una spina nel fianco che mi faceva pensare e cercare ciò che poteva farmi felice. Mi sono anche fidanzata…. E poi mi sono arresa a Dio! E ringrazio quel sacerdote che ha posto nel mio cuore quel seme!”  Ecco confermata la teoria del seminatore generoso: non abbiate paura di proporre, di annunciare. E’ il primo modo col quale testimoniate che tenete al Signore, che lo amate, che è veramente il tesoro che avete trovato e che cercate di dare agli altri! Insomma, fate della vostra scelta una “santa vocazione”…e non una “laica sistemazione”. Di questo abbiamo bisogno!

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