di Moreno Morani
E’ notizia di pochi giorni fa: i frammenti di rotoli di Qumran esposti al Museo della Bibbia di Washington sono falsi. Tutti i reperti sono stati sottoposti ad analisi da parte di laboratori tedeschi e la conclusione non lascia adito a dubbi: si tratta di falsi moderni. La notizia non dovrebbe destare molta impressione per due motivi. Primo, perché non è la prima volta che viene provata la falsificazione di un reperto o di un’iscrizione: la storia dell’archeologia e della linguistica è disseminata di incidenti e di delusioni, per cui oggetti a cui si era attribuita originariamente grande antichità e grande valore, oggetti ai quali gli studiosi avevano dedicato dotte analisi e commenti, si sono poi rivelati contraffazioni moderne. Complice di queste evenienze è anche il sensazionalismo dei media, che spesso esagerano il valore di alcune scoperte precorrendo in modo avventato la conferma di ipotesi che potrebbero essere definite solo dopo valutazioni accurate eseguite con la severa disciplina del metodo scientifico. Il secondo motivo è che l’impressione del falso per questi reperti serpeggiava già da tempo. Dei diciassette frammenti esposti nel museo, cinque erano già stati definiti come falsi, e dunque semplicemente si estende all’intera collezione acquisita ed esposta al Museo il carattere della contraffazione. Indubbiamente si tratta di un risultato spiacevole per il Museo, ma da non sopravvalutare. Il Bible Museum di Washington è una “creatura” giovane: è aperto da pochi anni e la sua istituzione, che vanta un carattere interreligioso e che propone al pubblico una articolata documentazione su tutti gli aspetti inerenti la Bibbia e il suo influsso sulla civiltà e cultura attraverso i secoli, ha avuto grande risonanza ed è stata seguita con molto interesse e simpatia da parte di ambienti culturali e religiosi di tutto il mondo. All’inaugurazione, avvenuta il 17 novembre 2017, erano presenti altissime personalità della politica americana e internazionale (tra cui l’ambasciatore israeliano negli USA) e anche la Santa Sede aveva manifestato la sua approvazione con la presenza di alti prelati e una benedizione personale inviata da Papa Francesco.
Nulla di scandaloso dunque: in sostanza si tratta di un episodio circoscritto, il Museo ha accettato i risultati dall’indagine e ammesso l’errore, tolto i reperti dall’esposizione, e l’unico rilievo che si può fare riguarda le modalità e i canali attraverso cui ha acquisito la proprietà degli oggetti. Quello che invece merita riflessione è il modo con cui la notizia è stata ripresa e commentata dalla stampa italiana. Per qualche testata è stata una ghiotta occasione per mettere in discussione ben più che l’effettiva autenticità di pochi reperti. La Repubblica del 14 marzo dà la notizia con questo titolo: “I 16 rotoli del Mar Morto sono tutti falsi”. E poi: “Lo rivela il Museo della Bibbia di Washington dove sono custoditi i presunti frammenti di pergamena contenenti parte del Libro della Genesi. Si tratta di falsi moderni, trattati per apparire antichi”. Un linguaggio che ricorda le cronache giudiziarie (“i presunti frammenti”: in realtà i frammenti non sono presunti, è la loro antichità a essere presunta: Carlo Rossi può essere un presunto colpevole, ma non è il presunto Carlo Rossi) e usa in buona parte i metodi di informazione della propaganda: come quando il tuo esercito soffre una severa batosta e arretra di fronte al nemico, ma nel bollettino ufficiale scrivi che ha corretto la linea del fronte attestandosi su posizioni più favorevoli. Dicendo che i sedici rotoli del Mar Morto sono tutti falsi si vuole in realtà confondere il lettore non specialista, il quale non è tenuto a sapere che questi sedici rotoli di Washington, scoperti dopo il 2002, sono un nulla rispetto alle migliaia e migliaia di frammenti noti da tempo e conservati soprattutto (ma non solo) a Gerusalemme, ed analizzati da laboratori di ricerca internazionali al di sopra di ogni sospetto che hanno verificato materiali e scrittura in modo accuratissimo e hanno accertato una datazione fra il II sec. a.C. e il 70 d.C. (data della definitiva conquista romana del territorio). La maggior parte dei testi, tuttora oggetto di uno studio complesso condotto da università e istituti di ricerca in tutto il mondo, sono stati rinvenuti (per caso) tra il 1947 e l’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso in recipienti che erano stati nascosti in grotte che si aprono nel deserto di Qumran, alle spalle di Gerusalemme, dove una attivissima comunità di ebrei eterodossi che facevano parte di una setta molto particolare (gli Esseni) aveva copiato una notevole quantità di materiale (sia testi biblici sia testi relativi alle dottrine e agli insegnamenti specifici della setta stessa). Tutti gli scritti furono poi nascosti e messi al sicuro, anche per evitare che fossero danneggiati nella situazione di instabilità in cui versava il paese, in guerra contro i Romani: non potevano essere distrutti, perché molti contenevano il sacro tetragramma che nell’alfabeto ebraico corrisponde al nome proprio di Dio. Queste vicende, certo dolorose per chi le visse, hanno permesso allo studioso moderno di recuperare una serie di scritti fin allora sconosciuti, e quindi di allargare in modo considerevole la nostra conoscenza della temperie culturale dell’ambiente e del tempo in cui si colloca la vita del Redentore. Di grande interesse per gli studiosi della Bibbia sono i frammenti di libri biblici, perché ci fanno conoscere testi della Bibbia in una fase che precede di quasi un millennio i più antichi manoscritti giunti fino a noi: non illegittima quindi la speranza di poter recuperare una situazione testuale anteriore alla sistemazione (e potremmo dire alla standardizzazione) del testo biblico operata dai Masoreti, filologi che attorno ai secoli VII-XI produssero una scrupolosa operazione di critica testuale, col fine di eliminare errori e varianti che nel corso dei secoli si erano depositate sul testo della Bibbia.
Chiaramente, facendo affiorare il sospetto che tutto questo materiale sia fasullo, si insinuano nel lettore un po’ disattento molte domande alle quali, in assenza di una preparazione specifica, non sarebbe in grado di rispondere: “I 16 rotoli del Mar Morto sono tutti falsi” porta con sé il dubbio che viviamo in un ambito dove molto, se non tutto è stato falsificato. Un importante libro di un grande studioso di Bibbia, pubblicato diversi decenni fa e divenuto ormai un classico, titolava La Bibbia ha detto il vero, e mostrava come molti dei fatti descritti nella Bibbia trovassero conferme sempre più strette nelle scoperte archeologiche. Oggi si tende invece a insinuare la convinzione che la Bibbia ha detto il falso, e che comunque sia stata manipolata e adattata agli interessi delle chiese o dei preti.
A questo punto scatta un secondo meccanismo che è antitetico al precedente: la speranza che nuovi scavi permettano di accedere a testi che svelino dati e realtà nascoste ed eliminate di proposito nei secoli. Il carattere esoterico dell’insegnamento essenico e la circolazione molto limitata delle notizie su questa setta rende molto difficile avere notizie precise, e dove non c’è storia si supplisce con la fantasia, favoleggiando scenari inventati (per esempio che sarebbe stato personaggio autorevole di questa setta Giuseppe di Arimatea, e magari anche Nicodemo, e forse Giovanni Battista, e magari anche Gesù). Libri e siti si stanno dedicando, con uno zelo instancabile e un’energia che potrebbe essere utilmente impiegata per compiti più utili, alla ricerca di “verità” su Gesù diverse da quelle finora riconosciute. Come scrive un sito internet a proposito dei nuovi ritrovamenti di Qumran in questi ultimi anni «resta da chiarire se davvero i rotoli contengono versioni diverse della vita di Gesù e possono raccontare una verità diversa da quella sin qui raccontata su uno dei personaggi storici più studiati e che ancora non ha messo d’accordo la comunità scientifica internazionale». Si spera cioè che i nuovi rotoli ci palesino un’immagine di Gesù più vicina a quella disegnata da Dan Brown. Da parte nostra ci limitiamo a richiamare alcuni principi sicuri, perché si tratta di un punto cruciale anche nel dibattito storico-ecclesiale dei nostri giorni.
- Gesù è un personaggio storico, la cui vita ci è presentata da testi che hanno tutte le caratteristiche tipiche delle fonti storiche, con citazioni di testimoni oculari e rinvii cronologici precisi.
- Accanto alle fonti storiche vi è una folla di documenti inventati con motivazioni varie (i cosiddetti apocrifi): l’interesse per la figura di Gesù ha permesso il fiorire di una letteratura quanto mai esuberante. Va riconosciuto alla Chiesa il merito di aver fatto chiarezza, e in un certo senso pulizia, eliminando quei documenti che alla luce di un serio esame critico (e talora del semplice buon senso) contenevano narrazioni fantasiose e prive di basi. È possibile, almeno teoricamente, che nei più antichi di questi documenti vi fossero singoli episodi autentici, frutto di una circolazione orale di notizie che nei primi secoli della Chiesa era molto intensa: ma la possibilità di distinguere il poco (o nulla) di vero dal moltissimo inventato è molto labile.
Poste queste premesse, pensare che il Gesù della Chiesa non sia quello “vero” e che altre fonti possano dare una rappresentazione più esatta della sua figura è assurdo, e chi ha tentato di produrre, anche recentemente, fonti che proverebbero l’esistenza di tradizioni parallele e diverse è stato scottato in modo permanente e doloroso: basterebbe citare l’episodio del cosiddetto Vangelo della sposa di Gesù. Ma questa è ancora un’altra vicenda, di cui magari diremo in un’occasione diversa.
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