di Sabino Paciolla

 

Una delle questioni dibattute, almeno nelle ultime settimane, riguarda l’efficacia dei vaccini. Abbiamo visto che un certo scalpore ha avuto l’articolo pubblicato sulla autorevole rivista medica British Medical Journal dal prof. Peter Doshi, associato presso l’Università del Maryland, che sulla base dei dati, non completi, messi a disposizione dalle case farmaceutiche, dalla FDA e dall’EMA, concludeva che l’efficacia dei vaccini non sarebbe del 95% ma tra il 20 ed il 30%. Il prof. Doshi chiedeva alle case farmaceutiche che rilasciassero maggiori dati per poter meglio verificare e analizzare l’efficacia da lui riscontrata. 

Intanto nel mondo la vaccinazione procede a ritmi serrati. Tra le nazioni occidentali che si è portata più avanti nella percentuale di popolazione vaccinata spicca Israele. Questa nazione ha cominciato la vaccinazione il 19 dicembre scorso, e ad oggi ha vaccinato circa 2,8 milioni di persone, pari a circa il 30% della popolazione. 

Questa nazione, per portarsi avanti nella ripresa della competitività economica rispetto agli altri paesi e tornare alla normalità, ha stretto un accordo con la Pfizer che le ha permesso di ricevere un flusso continuo di vaccini in un periodo di tagli alla produzione e distribuzione, pagando, a quanto riportano i media, 30$ per vaccino, il doppio della media pagato all’estero. In cambio della fornitura dei vaccini, Israele si è impegnato a mettere a disposizione di dati epidemiologici osservati sulla popolazione vaccinata. “In questo modo, Israele è diventato come un grande esperimento clinico”, ha detto il dottor Rivka Abulafia-Lapid, virologo dell’Hadassah Medical Center, al The Times of Israel.

Per dare la dimensione della cosa, Israele sta vaccinando i residenti a un tasso di 32,4 persone su 100, rispetto a 4,8 persone su 100 negli Stati Uniti e 7 su 100 nel Regno Unito. Al 19 gennaio scorso 550.000 persone hanno ricevuto entrambe le dosi. A fine marzo, secondo il programma, tutta o quasi la popolazione dovrebbe essere già vaccinata.

Chiaro che molti stanno guardando con attenzione i dati che vengono rilevati in questa nazione per trarre delle indicazioni sul percorso che ciascuno sta conducendo a casa propria. Per questo ha destato molto interesse, ed anche sorpresa, la dichiarazione di qualche giorno fa di Nachman Ash, coordinatore israeliano della risposta al Covid, il quale alla radio dell’esercito ha detto che “la prima dose sembra meno efficace delle attese”.

Israele ha finora vaccinato più del 75% dei suoi anziani con almeno una dose. I primi rapporti sulla vaccinazione hanno suggerito che nelle prime due settimane dall’iniezione, i vaccinati hanno continuato a infettarsi allo stesso ritmo degli altri, per poi scendere e stabilizzarsi a circa il 33%.

Questa percentuale è stata rilevata dal Clalit Research Institute su una popolazione di 200.000 persone di 60 anni e oltre che è stata vaccinata, rispetto ad un’altra popolazione con la stessa età che non ha ricevuto il vaccino. 

Il rapporto ha sollevato preoccupazioni, poiché i risultati pubblicati da Pfizer suggeriscono che l’efficacia del suo vaccino sia del 52,4% tra la prima e la seconda dose (distanziate di 21 giorni). Inoltre, i dati valutati da Public Health England per il Regno Unito hanno indicato che il vaccino da loro usato potrebbe offrire una protezione fino all’89% dal 15° al 21° giorno.

Si tenga presente che l’efficacia del vaccino contro la normale influenza si aggira tra il 40 ed il 60%, quindi notevolmente più alta rispetto al 33% registrato da questi primi risultati in Israele, il che è abbondantemente sotto la soglia di efficacia del 50% fissata dall’Organizzazione mondiale della sanità. 

E’ chiaro che occorre tener in conto che si parla della prima iniezione cui seguirà una seconda che, presumibilmente, aumenterà l’efficacia della protezione. Ma il fatto che il dato di protezione dopo la prima iniezione sia più basso di quanto affermato dalla casa farmaceutica fa sollevare alcuni dubbi. 

“Il Clalit Research Institute – riferisce il British Medical Journal –  ha sottolineato, tuttavia, che i suoi risultati includevano solo persone di 60 anni e oltre – mentre gli studi di Pfizer includevano anche persone più giovani – e che i risultati non sono ancora stati sottoposti a peer review. Inoltre, lo studio Clalit ha identificato gli infetti in base ai test di laboratorio di coloro che hanno scelto di essere testati, mentre gli studi di Pfizer si riferivano solo alla comparsa della malattia sintomatica”.

Ovvio che questi primi risultati hanno preoccupato soprattutto coloro che nel Regno Unito hanno predisposto la politica di vaccinazione. Infatti, essi, fidando nella presunta alta percentuale di risposta (89%) alla prima iniezione del vaccino, hanno deciso di vaccinare con la prima quante più persone possibile, lasciando il richiamo alla seconda iniezione in un tempo più distanziato rispetto ai 21 giorni indicati.

A tal proposito, il consigliere scientifico capo di Londra, sir Patrick Vallance, in un’intervista a Sky News, ha detto: “Sappiamo che quando si entra nella pratica del mondo reale, le cose sono raramente così buone come negli studi clinici. Non so esattamente quali siano i dati che Israele sta esaminando, ma dobbiamo esaminare la cosa con attenzione”.

Vallance ha detto che una singola dose di Pfizer/BioNTech potrebbe plausibilmente fornire l’89% di efficacia, ma ha ammesso che “probabilmente non sarà così alta in pratica”.

Lo scienziato ed epidemiologo israeliano professor Ran Balicer ha messo in dubbio i dati della sperimentazione britannica. “Non abbiamo potuto vedere una riduzione dell’89% nei dati che abbiamo riportato. Ulteriori dati e analisi saranno rilasciati in formato scientifico da peer reviewer”.

I risultati hanno destato preoccupazione perché Israele sta sperimentando la terza ondata di lockdown dovuta ad un aumento dei contagi nonostante la corsa alla vaccinazione di cui abbiamo detto. La prospettiva era che Israele avrebbe avuto il virus sotto controllo entro la primavera. Questa aspirazione ora sembra travolta dalla impennata della infezione. Gli stessi funzionari della sanità dicono che, almeno nel breve termine, la campagna di vaccinazione non può competere con l’impennata dei tassi di infezione.

Quale la causa della nuova impennata? Un risposta potrebbe venire dalle varianti del virus. Si stima che circa il 25-30% dei casi in Israele possono ora essere dovuti a nuove varianti di COVID-19, importate da israeliani che sono ritornati da viaggi all’estero. Gli israeliani hanno viaggiato e sono tornati dal Regno Unito, dall’Europa, dagli Stati Uniti e dall’America Latina nel periodo delle vacanze autunnali e invernali.

Gli scienziati mostrano segni di preoccupazione poiché alcune recenti mutazioni del coronavirus possono frenare, anche se modestamente, l’efficacia dei due vaccini attuali, anche se sottolineano che le iniezioni ancora proteggono contro la malattia.

Le ricerche sulle nuove mutazioni del virus che sono state osservate nel Regno Unito, in Brasile e nel Sud Africa sono state guidate dalla Rockefeller University di New York con scienziati del National Institutes of Health e altri di diversa provenienza.

I ricercatori del Rockefeller hanno preso campioni di sangue proveniente da 20 persone che avevano ricevuto il vaccino Moderna o Pfizer ed hanno testato gli anticorpi contro varie mutazioni del virus in laboratorio.

Con alcuni, gli anticorpi non hanno lavorato così bene contro il virus – l’attività era da uno a tre volte più bassa, a seconda della mutazione, ha detto il leader dello studio, il dottor Michel Nussenzweig del Rockefeller.

“È una piccola differenza, ma è sicuramente una differenza”, ha detto. La risposta anticorpale non è “altrettanto buona” nel bloccare il virus.

Le nuove varianti non sembrano causare malattie più gravi, ma la loro capacità di indebolire i vaccini è una preoccupazione.

E. John Wherry, un esperto di immunologia presso l’Università della Pennsylvania, ha detto che gli scienziati del Rockefeller sono “tra i migliori al mondo” in questo lavoro e i loro risultati sono preoccupanti.

“Non vogliamo che la gente pensi che il vaccino attuale sia già superato. Questo non è assolutamente vero”, ha detto. “C’è ancora immunità qui … un buon livello di protezione”, ma le mutazioni “riducono di fatto la capacità della nostra risposta immunitaria nel riconoscere il virus”.

Per la cronaca, anche un altro vaccino, il CoronaVac, prodotto dalla società Sinovac con sede a Pechino, subisce la stessa crisi di credibilità poiché aumentano le domande sulla sua efficacia visto che la scorsa settimana esperimenti condotti in Brasile hanno messo in evidenza un valore di appena il 50,38%. Un risultato molto inferiore al 78% precedentemente annunciato con grande clamore in Cina all’inizio di questo mese. Sinovac ha accordi già firmati di vendita del vaccino con almeno sei governi. E a tal proposito, il ministro della Salute di Singapore ha detto che i funzionari rivedranno il vaccino di Sinovac prima di qualsiasi lancio sui suoi cittadini.

Come dicevamo più sopra, nonostante il passo avanzato di vaccinazione della popolazione contro il COVID, Israele sta sperimentando una accentuata nuova ondata di contagi tanto da indurre le autorità a decretare un nuovo lockdown, il terzo. E questo, ovviamente, costituisce oltre che un motivo di preoccupazione, anche un grande rebus. Perché nonostante la vaccinazione il virus impazza e le morti continuano ad essere presenti? Forse occorre ancora attendere qualche settimana per verificare gli effetti della seconda iniezione del vaccino? Probabilmente, ma questo è da verificare sul campo. 

Prima di mostrare alcuni grafici, è bene menzionare altri due paesi che si sono distinti nel campo della vaccinazione. 

Il Regno Unito e la Norvegia hanno indirizzato i loro programmi di vaccinazione a gruppi ad alto rischio. La Gran Bretagna ha vaccinato più di 4 milioni di persone, soprattutto operatori sanitari e anziani, compresi quelli che vivono nelle case di cura; la Norvegia ha immunizzato tutti i residenti che vivono nelle case di cura, circa 40.000 persone.

Nonostante questi avanzati programmi di vaccinazione, sicuramente questo può essere detto per Israele, che hanno coinvolto gli operatori sanitari e le persone più anziane, ecco i grafici dei decessi per COVID di questi tre paesi:

I grafici sono aggiornati al 22 01 2021 e la fonte è Worldometer.

 

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