di Giorgia Brambilla
Con la nuova ordinanza di chiusura delle discoteche, alcune reazioni mi hanno sconcertata. Non quelle dei giovani, ma quelle degli adulti. Ora, non voglio entrare nel merito delle decisioni politiche e meno che mai di quelle scientifiche; ma su quelle educative mi permetto di fare una breve riflessione.
Ho visto, letto e sentito cose “che voi umani..” – verrebbe da dire, parafrasando la celebre frase del film Blade Runner. Ebbene, ho visto genitori inviperiti perché ai loro figlioli veniva intaccato il “diritto di divertirsi”. Ho letto commenti sui social in cui quasi gli si chiedeva scusa per la privazione momentanea dello sballo unito a musica con alcol e dubbi comportamenti morali, che in una parola usiamo chiamare “discoteca”. Ho sentito adulti in imbarazzo nel richiamare i ragazzi a un senso di responsabilità e a pronunciare un sacrosanto “no” che nella nostra epoca del “vietato vietare” sembra un delitto, come qualsiasi forma di regola o di educazione al dominio di sé; ho ascoltato giornalisti e “influencer” sostenere con finta commozione che togliere questi “piaceri” ai ragazzi equivale a togliere loro addirittura la voglia di vivere.
La posta in gioco è alta, quest’estate più che mai. Da parte degli educatori è importante che emerga un richiamo ad uscire dall’entusiasmo narcisista del momento per accorgersi che al mondo ci sono altre persone, oltre al gigantesco “io” servito pedissequamente; è necessario un invito a limare quella libertà assecondata ciecamente che conduce a comportamenti pericolosi per sé e per gli altri con la responsabilità; urge uno stimolo a dare ragionevolmente priorità al bene sul bieco impulso del momento.
Che riferimento possiamo essere per i ragazzi se invece di affiancarli e indicare loro la via giusta da seguire, anche quando questa comporta dei sacrifici, diamo loro un “ciuccio” pur di non sentirli “piangere”, acconsentendo a scelte imprudenti, come viaggi o intrattenimenti inadeguati al periodo, rifilando una pacca sulla spalla color arcobaleno col solito “andrà tutto bene” (qui)?
Se ci comportiamo così, altro non siamo che dei «falsari della speranza» (J.RATZINGER, Guardare Cristo), incapaci di farci scudo per loro verso i «piaceri ripresi dalle frontiere della follia» (M.SCHOOYANS, La dissociazione dell’amore e della sessualità. Fonti filosofiche di una sfida per i giovani). È per questo – e non certo perché per un po’ di tempo dovranno rinunciare ad alcuni divertimenti – che i giovani sperimentano una perdita del sapore della vita, uno scoraggiamento, una tristezza e una disperazione che, purtroppo, ne conduce più di uno al suicidio.
Essi hanno bisogno di essere formati alla verità, a scanso del nichilismo di cui è permeato il razionalismo moderno; verità prima di tutto sulla persona, che è stata creata «con un cuore e una coscienza che devono essere formate perché questa rassomiglianza brilli» (BENEDETTO XVI, Lettera Enciclica “Deus caritas est”).
È ora di rendersi conto che i giovani soffrono per mancanza di “protezione” di fronte alle tendenze a cui non hanno imparato a dare ordine con la ragione e la volontà e che hanno reso muta la voce della loro coscienza. Il punto di arrivo è il vuoto morale che il giovane sperimenta dentro di sé e che manifesta attraverso atti contrari al vero bene della persona, come i comportamenti a rischio.
Educazione morale significa dare degli strumenti perché il soggetto agisca bene, cioè, virtuosamente. Ma il centro non è il precetto o l’obbligo, ma il bene che attrae il soggetto. L’educazione morale del bambino, ragazzo e poi adolescente, deve partire non dai principi, ma dal controllare, dirigere e soprattutto motivare in modo adeguato le sue azioni. Questo approccio educativo – oggi considerato rigido, esigente o autoritario – è fondamentale in quanto il bambino, sebbene non sia in grado di avere un pieno dominio su di sé, incomincia fin da piccolissimo ad avere le esperienze che sono alla base della conoscenza originaria del bene e del male morale.
Ad esempio, sperimenta dalle conseguenze dei suoi atti cosa è conveniente e cosa no. Quindi, educare il bambino a gestire in modo armonico (né sregolato né repressivo) le sue passioni è imprescindibile per l’educazione morale, è il recupero di quell’armonia precedente il peccato originale.
«È proprio a prezzo del dominio [sugli impulsi] che l’uomo raggiunge quella spontaneità più profonda e matura, con cui il suo “cuore”, padroneggiando gli istinti, riscopre la bellezza spirituale (..), in quanto questa scoperta si consolida nella coscienza come convinzione e nella volontà come orientamento sia delle possibili scelte che dei semplici desideri», scriveva Giovanni Paolo II in “Uomo e donna lo creò”.
Così – e non attraverso il soddisfacimento indiscriminato dei desideri – si sperimenta una felicità come aspirazione al bene della propria vita e al ben-essere della persona, che certamente muove l’individuo anche all’ottenimento di beni particolari che a poco a poco rendono buona la vita.
E il bene non può che essere vero – bonum et verum convertuntur – pena la sua distorsione. Non basta aspirare al bene, occorre desiderarlo e volerlo in modo intelligente; il che esige ponderazione e discernimento e impone rettifiche, bilanciamenti, moderazioni, rinunce.
Questa è la via per ovviare all’esito edonistico o meramente edonico della felicità, che la pone sotto il principio del piacere (hedonè) e del suo godimento, falsificandola come felicità. La proposta allora è questa: eudemonia e non edonismo. Si tratta, cioè, di stabilire relazioni ordinate o proporzionate con i beni in modo da compierli in modo integralmente gratificante; il che realizza la perfetta corrispondenza tra eudaimonia e eupraxia: essere felici ed agire bene.
Una felicità nell’ordine della gioia, non esclusivamente del piacere è quella da proporre ai giovani, mostrando il bene in tutta la sua bellezza e amabilità.
Non si tratta allora di puntare ai frutti, cioè a normare e rettificare le azioni, ma propriamente all’albero, a partire dalle radici cioè a rendere buono il soggetto agente.
La stessa educazione morale non deve tanto piegare la libera volontà in un senso piuttosto che in un altro, quanto invece evocare un interesse, suscitare una capacità, sviluppare una competenza di ordine conoscitivo, volitivo e affettivo. Deve ricreare, innanzitutto, un clima affettivo basato sulla fiducia verso gli educatori, che favorisce il soggetto nella scelta di seguire il cammino tracciato da essi. L’intervento educativo deve, poi, divenire esplicito insegnamento morale: una parenesi saggia può focalizzare l’attenzione del soggetto verso gli scopi virtuosi, farne percepire la desiderabilità. Cosa che si affianca anche a regole chiare da applicare di circostanza in circostanza richiamando continuamente l’attenzione sul bene nel caso concreto.
L’individuo, in questa circolarità virtuosa di crescita spirituale e integrale di sè, si irrobustisce moralmente e al contempo sperimenta una felicità che è gioia interiore e pace con se stesso e con gli altri. E in questo percorso non può che approdare all’incontro con Dio; perché, in fondo, è Gesù che i giovani cercano quando sognano la felicità (GIOVANNI PAOLO II, Tor Vergata, 19 agosto 2000).
Il problema non mi pare sia quello di capire se sia giusto o meno “divertirsi” in discoteca. A tal proposito voglio citare un meme che circola in rete: <>. Qui il problema è che stanno privando i giovani della libertà di andare in discoteca, per colpevolizzarli e incutere la paura del virus nelle masse. Se oggi permettiamo che ci vietino di ballare in discoteca allora domani dovremo stare zitti quando in nome della salute pubblica ci re-imporranno la messa in streaming. Quindi, pure assecondando e rilanciando il tema educativo lanciato dalla professoressa Brambilla, mi sento di invitare alla rivoluzione tutti i giovani che si sentano oppressi dalla privazione del diritto a ballare.