
di Roberto Allieri
Sinodo sulla sinodalità. Una polveriera nella quale si fronteggeranno la Chiesa e la nuova Chiesa 3.0.
Prima di addentrarmi nell’oggetto di questo contributo, una precisazione su cosa si intende per Chiesa 3.0.
C’è chi, professandosi cattolico, pensa che il Concilio Vaticano II sia uno spartiacque, una discontinuità, tra una Chiesa 1.0, cosiddetta tradizionalista, e una nuova Chiesa 2.0 cosiddetta post-conciliare. Laddove i testi del Concilio mal si adeguano a questa impostazione, ecco evocare ‘lo spirito del Concilio’. La lettera delle Costituzioni del Concilio dice in un modo ma quello che si vuol far passare (magari in aperta contraddizione) viene ammantato come interpretazione più corretta, in quanto espressione dello spirito del concilio.
I novatori – cioè coloro che mirano a rinnovare la Chiesa – si propongono di riformare il Magistero e le istituzioni cattoliche. Nella loro concezione riforma equivale a distruzione di ciò che c’è con conseguente rimodulazione in modo significativamente difforme. Riforma, in senso anche etimologico, è invece ripristino della forma precedente. Ciò che si sforma viene rimesso nella forma originaria.
Nel loro intento i novatori non sono mai sazi di spingersi avanti in quest’opera di demolizione del cattolicesimo per trasformarlo e snaturarlo. L’obiettivo è di adeguarlo al pensiero corrente, ai principi dominanti: curiosamente, gli stessi che perseguono questo risultato sono i primi a criticare la Chiesa perché in passato si piegava troppo ai potenti di turno o era troppo collusa con il potere (clero a braccetto con aristocrazia, vescovi vassalli di monarchi, alti prelati che benedicevano i cannoni che Mussolini mandava in Abissinia, etc.). Dimenticano che il maggior degrado morale si è avuto quando i laici imperversavano nelle gerarchie e nel governo della Chiesa. Potenti cardinali (vedi Richelieu o Mazarino), legati (vedi il Valentino, figlio di Papa Borgia) ed esponenti pontifici erano imposti dall’élite dominante dell’epoca e non erano tenuti alla formazione e ordinazione sacerdotale. Si diventava arcivescovi e cardinali senza aver mai frequentato un seminario, per meriti di censo o in ossequio ai poteri forti, con la conseguenza di piegare la Chiesa alla cultura dominante e alle sue regole.
In questo spasmodico slancio demolitore, anche il modello di Chiesa Post-Conciliare 2.0 ormai non basta più. Si vuole dunque effettuare un ulteriore upgrade, forzando in tutti i modi il passaggio ad una nuova Chiesa 3.0, per ripudiare e spazzare via il depositum fidei: in altre parole, ciò che la Chiesa ha sempre difeso con fermezza e costanza massime deve essere riconsiderato. La dottrina (e spesso anche ciò che Gesù stesso ci dice nei Vangeli) deve essere banalizzata, sminuita e dimenticata perché occorre adeguare il cristianesimo alla realtà attuale. Se un principio cristiano è proprio irriducibile ai criteri della mentalità corrente allora va soppresso, in nome del dialogo, dell’apertura, della non discriminazione, etc.
Per un cattolico 3.0 il dialogo significa sempre buttare alle ortiche qualche principio e avvantaggiare l’interlocutore, senza fargli cambiare idea di una virgola. Del resto, proporre Gesù Cristo sarebbe disdicevole proselitismo, fanatismo e scarso rispetto delle differenze.
Insomma, Gesù per la Chiesa 3.0 più che un riferimento sta diventando un problema: pensiamo a quello che ha detto in materia di divorzio, peccati di natura sessuale, famiglia, riconoscimento di ruoli famigliari etc. Oggi i cristiani pretendono di essere più buoni e più cristiani di Gesù, che ormai guardano dall’alto di un piedestallo. In fondo Lui era un pio ebreo, succube della mentalità di quel tempo, con una visione non certo all’altezza della nostra…
Ma torniamo all’imminente Sinodo e alle drammatiche contrapposizioni che si prospettano. Una delle micce più insidiose è certamente la questione dell’ordinazione sacerdotale delle donne. In questa sede mi limito all’analisi di tale punto controverso, a mio avviso particolarmente emblematico. Esso è stato oggetto di uno dei cinque dubia, ovvero richieste di chiarimenti, presentati da alcuni porporati a Papa Francesco. Traggo dal testo del quesito numero 4 la parte più significativa: “Si chiede, inoltre, se è ancora valido l’insegnamento della lettera apostolica di san Giovanni Paolo II ‘Ordinatio Sacerdotalis’, che insegna come verità da tenere in modo definitivo l’impossibilità di conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne, per cui questo insegnamento non è più soggetto a cambiamento né alla libera discussione dei pastori o dei teologi.”
Come sappiamo, in merito alla questione San Giovanni Paolo II ha insegnato che l’impossibilità di conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne deve essere affermata “definitivamente”. In altre parole: Papa Giovanni Paolo II, volendo mettere fine ad una questione già chiusa in passato da altri Papi in continuità con la Chiesa sin dalle origini e in ossequio ad una scelta riconducibile a Gesù Cristo (che ben poteva disporre diversamente nella elezione degli apostoli, in linea con il suo rispetto e la promozione delle donne che incontrava), lo fa con l’espressione più inequivocabile: affermando la definitività dell’esclusione delle donne dal sacerdozio. Qualcuno direbbe: l’avete capita o ve la devo spiegare?
La risposta di Papa Bergoglio al dubbio è stata ambigua, all’insegna dell’incertezza e incostanza massime. Pur dovendo confermare e non potendo sconfessare apertamente il pronunciamento del suo predecessore nella prima parte della risposta, ecco la precisazione (chiamiamola così) che è stata data al capoverso c): “D’altra parte, per essere rigorosi, riconosciamo che una dottrina chiara e autorevole sulla natura esatta di una ‘dichiarazione definitiva’ non è ancora stata sviluppata in modo esaustivo”.
Io non so quale ghost writer o estensore incaricato che dir si voglia abbia formulato questa santa stupidaggine. Mi attengo a questa pia convinzione di abuso di funzione per rispetto al Santo Padre (sperando che il prossimo Sinodo non decida che sia più appropriata e inclusiva la qualifica di ‘Santo Genitore 1’).
Sta di fatto che oggi in Vaticano, per rovesciare il senso di un pronunciamento che più chiaro di così non si può, si argomenta in questo modo: bene, abbiamo una dichiarazione definitiva; allora, per ribaltarla, spostiamo la discussione su un punto diverso: che cosa vuol dire definitiva? Perché, intendiamoci: ci possono essere dichiarazioni definitive che definiscono e altre che non definiscono. Quindi, parliamone con discernimento, dialoghiamo fraternamente, approfondiamo la questione nel prossimo sinodo sulla sinodalità (che in altri termini vuol dire ‘riunione sulle riunioni’, per usare un’efficace definizione di Michael Branden Dougherty).
Di fronte a questi subdoli artifici dialettici viene in mente il monito di Gesù ‘sia il vostro parlare sì, sì, no, no. Il di più viene dal Maligno’.
Ma, mi chiedo, cosa doveva fare di più San Giovanni Paolo II per essere chiaro e comprensibile sul punto? Doveva scriverlo con le sue mani nude scalpellando una pietra? Io credo che anche in questo caso qualche capzioso teologo di oggi avrebbe chiesto un profondo discernimento, magari un’apposita sezione sinodale, per confrontarsi e capire qual è la natura della pietra; per arrivare infine alla conclusione che non sempre la pietra è pietra. E se non è pietra ciò che è scritto sopra è come se fosse scritto sulla sabbia che il vento volubile dell’interpretazione disperde.
Insomma, una ambigua nota riportata in calce ad una esortazione apostolica (nota 351 in Amoris Laetitia) che sconfessa 2000 anni di solido Magistero, diventa un caposaldo o una testata d’angolo che da quel momento in poi deve essere accettata definitivamente da tutti. Mentre i fondamenti costitutivi e basilari della morale e dell’identità cattolica devono approfondirsi, nel senso di sprofondare. Posso essere leggermente perplesso?
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. I contributi pubblicati su questo blog hanno il solo scopo di alimentare un civile e amichevole confronto volto ad approfondire la realtà.
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Per chi aveva orecchie da intendere, la piega che avrebbero tristemente preso le cose era già piuttosto chiara e prevedibile a partire dalla nota 351 di Amoris Laetitia, se non addirittura prima, dalla famigerata affermazione aerea “Chi sono io per giudicare…”. Ma purtroppo si è scelto di non voler vedere e di non voler capire, lasciando correre fino alla clamorosa devastazione attuale