di Gianni Silvestri
Sant’Ambrogio apostrofò solennemente l’imperatore, fermandolo fuori dalla cattedrale:
“Tu sei una cosa grande sotto il cielo, ma a noi vescovi tocca difendere i ‘diritti del cielo’”.
Un brivido avvolse Teodosio, i suoi soldati e cortigiani che non osarono entrare in Chiesa. Ambrogio (maestro di S. Agostino), non ebbe timore di difendere i “Diritti di Dio” con queste gravi parole rivolte al grande imperatore che, con l’editto di Tessalonica nel 380, aveva addirittura reso il Cristianesimo “religione di Stato”, proibendo l’arianesimo ed i culti pagani. (ben più del suo predecessore Costantino che, 70 anni prima, aveva riconosciuto il Cristianesimo come “religio licita”, facendo cessare le persecuzioni dei pagani verso i cristiani).
Ma una strage di 7000 persone – per vendicare un suo generale morto in un tumulto – non poteva restare senza giudizio, e senza un pubblico pentimento e penitenza; anche l’imperatore si chinò dinanzi ai “diritti di Dio”, tanto che Ambrogio nell’elogio funebre così ricordò Teodosio:
“preferì l’amicizia di chi lo riprendeva, a quella di chi lo adulava”.
Ho ritenuto di andare indietro nel tempo, per ritrovare un richiamo autorevole e netto ai diritti di Dio in quanto è sempre più raro, avvicinandoci ai nostri tempi, di sentirne parlare.
Siamo permeati dalla (limitata) razionalità illuministica ed oramai viviamo solo incentrati su noi stessi, tanto da dimenticare le nostre origini di creature (e la presenza di un Creatore).
In questa ottica egocentrica abbiamo creato un elaborato sistema giuridico incentrato (solo) sui nostri diritti: della persona fisica, delle organizzazioni collettive, della personalità, ed ancora diritti sulle cose (dalla proprietà dei beni a quella del denaro e, persino, del suo uso temporaneo con interessi ed attività bancaria). E non è cosa da poco visto che per i diritti sui beni siamo stati capaci delle più terribili guerre e siamo tutt’ora capaci di ogni genere di azioni (buone o malvagie). In questa creazione indefessa di diritti abbiamo persino immaginato i diritti degli animali tanto da arrivare qui in Italia (patria storica del diritto romano) a concepire il nuovo articolo 189 del D. Lgl. 285 del 1992 che impone (anche in caso di incidente) l’obbligo di fermarsi e porre in atto ogni misura idonea ad assicurare un tempestivo intervento di soccorso in favore degli animali d’affezione, da reddito o protetti’ (cioè quasi tutti). E la nostra produzione culturale e giuridica non si ferma qui, ma sta creando diritti persino per l’ambiente inanimato, tutelato in quanto tale, per il semplice fatto di essere “paesaggio”.
La domanda allora sorge spontanea: come mai, in tutto questo fervore giuridico che ha coinvolto le persone, gli animali e persino le cose inanimate, non siamo riusciti a concepire ( o abbiamo presto dimenticato) l’idea che anche il Creatore ha i suoi diritti, e non solo per sé, in quanto Dio, ma sul “suo” creato? Come mai abbiamo escluso dalla concezione dei diritti addirittura l’Essere Supremo dell’Universo? (e solo quello?).
Se la cosa può sfuggire a chi volutamente dimentica (o addirittura ostacola e combatte) Dio, questa dimenticanza non è concepibile per la generalità delle persone, tanto da far intravedere l’avanzare di un “umanesimo non solo laico, asseritamente privo di pre-giudizi, ma addirittura ateo” (cioè con l’opposto pregiudizio del rifiuto di Dio).
Ma ogni credente dovrebbe domandarsi: “se ritengo di avere dei diritti che tutti devono rispettare, alcuni intangibili, (come i diritti naturali), perché non devo riconoscere che Dio abbia i suoi diritti?” (visto che tra l’altro è il creatore di tutto)?
Sorge allora spontanea la conseguente domanda: ma esistono “i diritti di DIO”? E quali sono?
Non avendo gli elementi per poter conoscere a fondo l’argomento, dobbiamo riflettere non solo con razionalità, ma con umana ragionevolezza chiedendo Aiuto a chi ha già superato questo scoglio, -uno dei 36 dottori della Chiesa e contemporaneamente uno dei 4 padri della chiesa occidentale): S. Agostino. Si narra infatti che egli avesse tentato per tutta la vita di comprendere, al meglio, i principi della fede ed in particolare il Mistero della Trinità ed è famoso l’episodio del bimbo in spiaggia che cercava di trasferire tutta l’acqua del mare in una buca che aveva scavato, servendosi di una conchiglia. Alla domanda del santo di come potesse illudersi di racchiudere il mare nella sua piccola buca, il bambino gli rispose: «Anche a te è impossibile scandagliare con la piccolezza della tua mente l’immensità del Mistero trinitario». E detto questo il bambino (il Signore) sparì. Agostino, dovette riconoscere l’incapacità umana di comprendere Dio e i suoi misteri, e di questo ne discusse anche con San Girolamo, coltissimo sacerdote del suo tempo (anch’egli dottore della Chiesa ed autore della cd. “vulgata”, la grandiosa traduzione in Latino della Bibbia realizzata dopo decenni di lavoro nelle grotte di Betlemme ed utilizzata nella Chiesa sino al XX secolo ).
Per questa sua esperienza, Agostino imparò a non fidarsi esclusivamente delle proprie capacità intellettive, ma a coniugare l’intelligenza con la fede, perché l’intelligenza da sola può al massimo farci conoscere il mondo naturale, ma per iniziare a conoscere il mondo soprannaturale la nostra razionalità non basta più, ma abbisogna della luce della fede (un po’ come Dante, che ebbe bisogno di una guida superiore per accedere alla visione del Paradiso).
Per questo Agostino seguì la famosissima massima: “intelligo ut credam, credo ut intelligam ” (“capisco per credere e credo per capire”), cercando di usare l’intelligenza per capire e credere, (per evitare un fideismo letterale, simile – oggi – a quello dei testimoni di Geova), ma comprendendo che la razionalità va utilizzata alla luce della fede, perché l’intelligenza umana non può inventare le verità di fede, ma solo riconoscerle e tentare di comprenderle. (La strada per arrivare da Dio non la inventiamo noi, a noi spetta intravederla e percorrerla, seguendo la “nostra Guida” – che per indicarci la via della Resurrezione – è addirittura morta per noi).
In estrema sintesi, Agostino, grazie all’aiuto divino, comprese che l’intelligenza ha bisogno di essere illuminata dalla fede, senza questa luce l’uomo rischia di procedere nel buio a causa dei suoi innegabili limiti (e forse il più grosso sbaglio del pensiero moderno è stato quello di ritenersi autonomo da Dio e, soprattutto, di voler comprendere persino il Creatore con la limitata intelligenza della creatura).
Con questa premessa di una fede che illumina la nostra intelligenze, possiamo dunque approcciarci meglio ai “Diritti di Dio”, non inventandoli, ma partendo da quelli confermati da Cristo stesso:
i due principali “comandamenti della legge”.
1) Il primo Diritto di Dio è quello della dovuta Sua considerazione, di un rapporto di vero amore con Lui. Sin dal suo primo approccio con il popolo ebraico, il Signore mette in chiaro chi sia e come intenda costruire questo rapporto:
“Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile.
Non avrai altri dèi di fronte a me.
Non ti farai idolo né immagine alcuna,
Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai.
Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso…” (Deuter 5, 6-9)
Dio chiede semplicemente di considerarLo nel posto che Gli spetta, per un semplice principio di realtà: Egli è il Creatore di tutto ed ha già dimostrato ad Israele la sua potenza e vicinanza.
Il primo dei diritti di Dio quindi è di essere corrisposto in questa relazione di amore dalle sue creature. Egli le ha sottratte al nulla, le ha create, ha instaurato per primo un rapporto di amore con loro, ma – nonostante tutto ciò – è stato rifiutato: l’uomo e la donna non hanno ricambiato l’amore e la fiducia che Dio meritava. Ecco il senso del peccato originario: l’uomo e la donna pur essendo già alla presenza di DIO, pur avendo sperimentato il Suo Amore in un mondo paradisiaco, hanno messo in dubbio la Sua Parola ed hanno dato fiducia alla “prima bestia” incontrata; con ciò hanno disprezzato il Padre, pur essendo stati addirittura da Lui preavvertiti: «Mangia pure liberamente di ogni albero del giardino; ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare, perché nel giorno che tu ne mangerai, per certo morrai». (Genesi 2.3).
Pur non essendo in grado di gestire l’immensità della conoscenza del bene e del male senza l’aiuto di Dio, l’uomo e la donna hanno voluto unilateralmente rompere il rapporto con Lui: un errore infinito che, per la sua enormità, ha condizionato l’esistenza di tutta l’umanità.
Ma Dio, nel suo infinito amore, ha voluto dare un’altra possibilità di salvezza, ha deciso addirittura di cambiare il corso stesso della sua stessa Creazione, pensando ad un Disegno di redenzione per recuperare l’umanità decaduta. Egli ha acconsentito addirittura di “umiliare” il Figlio Amato, degradandolo alla natura umana ed alla morte di croce (elevando allo stesso tempo nella gloria divina l’unica donna che l’ho avrebbe pienamente accettato, Maria). E per questo disegno arditissimo, Dio ha sopportato persino il rifiuto e la caduta degli esseri angelici creati (in primis di Lucifero, il più grande, e dei suoi angeli), i quali non hanno condiviso questa degradazione: dover adorare un Dio ridotto a carne ed una donna che consideravano solo miseria, rispetto alla loro splendida natura angelica. Se riflettiamo sulla grandezza di questo Amore non potremo che impegnarci ad amarlo “sopra ogni cosa” a cominciare dai nostri gesti più importanti nei Suoi confronti: quelli liturgici (in questa ottica persino la Messa acquista un senso diverso: non è solo un nostro “pio passatempo”, – magari discrezionale o sottoposto ad autorizzazioni governative – ma un “atto dovuto a Lui”, con cui Lo onoriamo come Padre offrendoGli il massimo amore possibile: non solo in nostro, ma sopratutto quello di Suo Figlio, morto per il nostro riscatto).
2) Il secondo diritto di Dio è l’amore per le sue creature.
Egli ci ha creato a Sua immagine e perciò guardando a Lui noi comprendiamo meglio noi stessi. Giovanni nel suo Vangelo intuisce che “Dio è amore” e Cristo ce lo conferma parlando di un Padre Amorevole: noi siamo fatti di Amore, come Lui, (anche se il nostro rifiuto ci ha fatto conoscere il peccato). E non deve meravigliarci questo “bisogno di Amore di DIO per sé e per le sue creature”; se riflettiamo anche noi nel nostro piccolo viviamo questa stessa relazione di amore con gli altri, a cominciare dalla famiglia; anche noi desideriamo che il nostro amore sia corrisposto ed in questo rapporto ci sentiamo realizzati (è proprio vero che “siamo fatti a Sua immagine” ).
Egli ha vissuto un’esperienza di amore con il popolo di Israele che ha seguito e protetto nei secoli, con segni potenti e lo ha istruito con i vari profeti che hanno annunciato la venuta di Suo figlio per sottoscrivere la Nuova Alleanza, rotta con il primo rifiuto. E stato Cristo stesso ad annunciarci il secondo diritto di DIO: l’amore reciproco fra tutte le sue creature (quasi un cominciare ad “abituarsi” all’immenso amore di Dio, che presto ci incontrerà e ci giudicherà). L’amore è la nostra condizione ideale e la mancanza di amore, le cattiverie – anche di estranei – ci offendono e ci feriscono. Immaginiamo allora come queste offese, questa mancanza di amore (a Lui e tra noi), possano ferire DIO che invece non ci è estraneo, in quanto nostro creatore, nostro Padre. Così come l’Amore di Dio è immenso e supera ogni immaginazione, così dobbiamo pensare che il suo dolore possa essere altrettanto grande (e non è un caso che nell’atto di dolore il pentimento è proprio “perché si è offeso Lui, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa”).
La caduta di Adamo ed Eva – Michelangelo – Capella Sistina
C’è da tremare al solo pensiero del dolore infinito che possiamo arrecarGli ed io sono atterrito dal pensiero della ferite indicibili che gli procuriamo con l’aborto, con le guerre, con gli omicidi con i quali mettiamo a morte milioni di esseri innocenti, suoi figli. Se riusciamo solo ad immaginare il nostro dolore per la perdita di un figlio, dovremmo moltiplicare all’infinito questo Suo dolore per la morte di milioni di figli, in ogni anno della storia umana, senza che Lui possa intervenire per l’estremo rispetto che ha voluto della nostra libertà.
Tantissimo ci sarebbe ancora da aggiungere, a queste prime ed insufficienti considerazioni, sui tanti altri diritti di Dio, ma ho già approfittato troppo dello spazio di un blog (e del tempo di chi legge).
Concludo pertanto ricordando che questi temi non sono soltanto teologici o “filosofici”, in quanto questi diritti di Dio fondano la nostra grande dignità di Suoi figli in una concezione elevatissima della nostra natura e della nostra vita terrena. La Chiesa ha sempre chiarito che: “Senza il Creatore la creatura svanisce” (Gaudium et spes, 36) e San Giovanni Paolo, il grande, nell’angelus del 7.3.93 ricordava a tutti: “Certo, è giusto e doveroso affermare e difendere i ‘diritti dell’uomo’; ma prima ancora occorre riconoscere e rispettare i ‘diritti di Dio’”. Trascurando questi, si rischia, oltretutto, di vanificare anche quelli. “Se manca il fondamento divino e la speranza della vita eterna la dignità umana viene lesa in maniera assai grave”.
Dalla nostra natura, ultimamente divina, discendono infatti i nostri diritti umani intangibili, in quanto il valore incommensurabile dell’uomo deriva dall’essere stato creato da Dio a sua somiglianza, perciò con un destino eterno, come il Suo. Se al contrario l’uomo è solo un ammasso di cellule destinate al macero, i suoi diritti sfioriranno con l’età, con le malattie, ecc., (ed infatti le spinte alle varie forme di eutanasia si fanno sempre più insistente per gli anziani, per i malati, per le persone affette da Sindrome di Down, persino per i depressi, come da poco accade “nella civilissima” quanto laicista Olanda).
Anche la nostra esistenza terrena, sia pur limitata, acquista un diverso valore: ogni malvagità è giustificata pur di accaparrarsi il massimo del divertimento se tutto finisce con la clessidra del tempo; ma se invece la vita è un “trampolino di lancio” per arrivare al Suo cospetto, ognuno tirerà il meglio di sé in questa vita terrena, anche per gli altri.
“Buona strada” a tutti allora, (come usano dire gli scout, salutandosi), perché dai Suoi diritti di amore, nascono i nostri diritti di vita – addirittura eterna -; perché tutto cambia se ci affidiamo a Lui e questa dura (“e contagiata”) esistenza, diventa solo “la sala di attesa” per prepararsi ad una festa immensa ed infinita, da Lui riservata proprio a chi “molto ha amato”. (Lc 7, 47)
In Pace
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