Polizia e droni

 

 

di Pierluigi Pavone

 

I provvedimenti possibili e discussi in questo giorni dal governo, circa le forti restrizioni sugli spostamenti, fanno riflettere su un aspetto molto delicato ed esistenziale: il patto “contrattuale” tra cittadino e potere sovrano.

Secondo le notizie che tutti noi abbiamo letto, si prevedono – per i trasgressori che non restano in casa, secondo le indicazioni governative – multe di migliaia di euro e il sequestro del mezzo (auto o moto). Non si esclude l’uso di droni per controllare gli spostamenti. Si potrà persino “tracciare” il singolo cittadino risultato positivo al tampone del coronavirus.

 

La domanda è: fino a quale limite un uomo è disposto a sacrificare la sua libertà (cioè un diritto naturale di cui lo Stato non dispone)? Fino a quale limite, ammettere e legittimare un controllo eccezionale volto a proteggere la vita, ma assolutamente restrittivo delle libertà individuali?

Tutti noi – pur stanchi psicologicamente e logisticamente di restare a casa – siamo disposti a non uscire, perché comprendiamo per noi e per gli altri il reale pericolo di contagio.

Ovviamente tutti pensano e sperano che tali disagi siano a breve termine (qualche settimana o qualche mese). E forse proprio dal tempo dipende la disponibilità ad accettare il limite ai nostri diritti individuali, per quanto dichiarati – nel Giusnaturalismo moderno – universali e inalienabili. Nelle moderne democrazie liberali, lo Stato infatti nasce da un presupposto antropologico preciso: gli uomini sono a-sociali; hanno il diritto naturale alla vita, alla libertà, alla proprietà; diventano cittadini affidando al potere politico il diritto di punire eventuali trasgressori delle sicurezze individuali. Affidano (alienano) solo il diritto di farsi giustizia da soli. Mai e poi mai la libertà di autodeterminare se stessi (che il pensiero anglosassone, a dire il vero, riduce al profitto).

Secondo Hobbes, invece, tutti gli uomini sarebbero disposti a rinunciare a ogni prerogativa personale, ad ogni personale diritto naturale, pur di fuggire la morte violenta. Pur di preservare la vita, per istinto di auto-conservazione.

 

Secondo Hobbes il pericolo nasce dalla natura stessa  dell’uomo, perché tutti egoisti e cattivi. L’uomo stesso, volendo parafrase lo stesso Hobbes, è virus dell’altro uomo. Nell’originale c’è “lupus”; e questa frase compare anche in Plauto.

Ad ogni modo, secondo Hobbes, di necessità si impone, razionalmente, la scelta libera di sottomettersi al potere sovrano e accettare ogni forma di diritto solo come diritto positivo, cioè posto dal potere medesimo.

Per Hobbes lo stato di natura, sprovvisto di potere sovrano, coincide con uno stato di guerra: l’uomo che non ha liberamente rinunciato al proprio potere illimitato e anarchico è una minaccia certa per tutti e reciprocamente.

Per noi il contagio, specialmente in alcune zone e città, è ad alto rischio, per la natura stessa del virus. Per Hobbes il conflitto reciproco è una assoluta evidenza, dovuto alla universale pretesa di dominio illimitato su tutto e tutti. Unico freno a questo desiderio unilaterale per sé e contro chiunque è la ragione. Per Hobbes dire ragione significa dire calcolo utilitaristico, senza nessuna categoria morale. Per i giusnaturalisti liberali e democratici, l’uomo utilizza la ragione sia per riconoscere i diritti individuali, sia per riconoscerli a tutti gli altri uomini: la condizione naturale è dunque relativamente pacifica e non necessariamente conflittuale; per Hobbes invece, la ragione ha il solo compito di indicare la contraddizione tra la personale bramosia naturale e il più forte e importante istinto di auto-conservazione.

Da questi presupposti nasce, logicamente e coerentemente la giustificazione di diventare sudditi di un potere assoluto, letteralmente sciolto da qualsiasi vincolo e al di sopra della stessa legge che quel potere pone, “affinché” i cittadini siano protetti gli dagli altri.

 

Qui la nostra riflessione: sopratutto dopo la Seconda Guerra Mondiale – e forse non in modo così oggettivo – siamo stati educati a pensare che un governo di regime sia in totale contraddizione con la democrazia. A ben pensare si capisce che in fondo la visione antropologica di base non è poi così differente. Per Hobbes gli uomini sono certamente cattivi e nemici, per i liberali gli uomini sono probabilmente ragionevoli estranei (versione leggermente più ottimistica quindi) e il mercato è più che sufficiente per mediare gli interessi individuali.

Non solo. In queste nostre circostanze eccezionali, la democrazia stessa sembra assumere un controllo poliziesco sulla vita privata e pubblica “da regime”. I cittadini lo accettano perché c’è in gioco la vita, come se a patto della vita, siano tutti, ovviamente, disposti ad alienare – a tempo indefinito – il diritto naturale alla libertà. Il governo legittima le proprie decisioni per le stesse ragioni.

Naturalmente nessuno pensa che l’uomo sia “lupo” dell’altro uomo. Il problema non è l’uomo di natura, ma l’uomo con la natura corrotta dal coronavirus. Non si tratta di tutti a prescindere, come in Hobbes, ma solo di alcuni e in generale per prevenzione e prudenza. Tuttavia, sembra che la legittimazione popolare del potere stia sempre più ammettendo – almeno  implicitamente – una giustificazione assolutista.

Con buona pace della democrazia, se alla fine bisogna pur tutelare la propria auto-conservazione, come il migliore dei beni.

 

Ps.: occuparsi anche della propria vita, in termini di anima e Giudizio è un’altra questione… Forse.

 

 

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