La tragica storia di Bob Fuller continua ad arricchirsi di particolari e precisazioni e, dopo aver suscitato scandalo, ci porta a doverose riflessioni. In questo articolo, pubblicato su Lifesitenews, la giornalista Dorothy Cummings McLean ci racconta come ha vissuto la stesura del suo articolo e i pensieri che l’hanno attraversata nel “leggere” la storia di questo suicidio annunciato anche attraverso le pagine del profilo Facebook del protagonista.

La traduzione è a cura di Annarosa Rossetto.

 

In questa foto del 10 maggio 2019, la volontaria di End of Life Washington, Stephanie Murray, a destra, porta i farmaci che metteranno fine alla vita di Robert Fuller (sinistra) mentre si trova a letto, a Seattle.

In questa foto del 10 maggio 2019, la volontaria di End of Life Washington, Stephanie Murray, a destra, porta i farmaci che metteranno fine alla vita di Robert Fuller (sinistra) mentre si trova a letto, a Seattle. (foto: Elaine Thompson, AP)

 

L’altro giorno qualcuno mi ha chiesto come faccio a fare il mio lavoro senza odiare o avere risentimento verso le persone che commettono le azioni malvagie che racconto nelle mie storie.

Ho risposto dicendo che mi concentro sul male, non sulle persone che fanno il male. Il male governa le persone; le persone non governano il male. Le persone fanno cose cattive perché il male ha preso le redini.  L’aborto ne è un esempio perfetto. L’aborto è chiaramente malvagio, ma è difficile dire che la donna spaventata o disperata che pensa che esso sia la risposta al suo problema sia malvagia. È persino difficile dire che l’abortista o il medico che crede fermamente di aiutare quella donna sia malvagio. Ma l’aborto è comunque malvagio.

Questo non vuol dire che io passo attraverso tutti i miei resoconti immersa in una nuvoletta rosa. Questa settimana, ho scritto di una storia che era così completamente intrisa di male e così potenzialmente dannosa per degli innocenti, che sono scoppiata a piangere. Ho pianto così forte che mio marito si è precipitato nella stanza per vedere cosa non andava.

Ciò che non andava era la storia che stavo seguendo, su Robert “Zio Bob” Fuller, un anziano omosessuale che aveva pianificato in dettaglio la sua morte auto-procurata, coinvolto la sua parrocchia cattolica, invitato i media mainstream a scattare foto e video e infine ottenuto che un vescovo cattolico acconsentisse al suo funerale.

Bob Fuller viveva “al massimo” e adorava circondarsi di persone. Era stato infermiere professionale, molto attento alla comunità ed è chiaro che piaceva a molte persone e persino lo amavano. Aveva perso molti amici durante la crisi dell’AIDS negli anni ’80 – uno sembra essere stato eutanasizzato da lui stesso – e nel 1985 anche lui era diventato positivo all’HIV. Lui, tuttavia, si era salvato grazie ai nuovi farmaci per l’HIV, e aveva raggiunto i 70 anni prima di ammalarsi di cancro alla gola.

Bob aveva affrontato un ciclo di chemioterapia, e aveva deciso che gli stava “uccidendo l’anima” e che avrebbe seguito l’esempio della sua amata nonna (che si era tolta la vita nel fiume Merrimack) uccidendosi. Lui si sarebbe iniettato farmaci per l’eutanasia dopo una splendida festa.

Bob aveva molte credenze non ortodosse e sembrava non vedere alcuna contraddizione nel ricevere la Santa Comunione nella chiesa cattolica di Santa Teresa e nello scrivere con nostalgia su Facebook a proposito di un amore omosessuale estivo.  Il direttore del coro  parrocchiale di cui Bob faceva parte ha detto ad un giornalista dell’Associated Press (AP) che Bob aveva prestato servizio anche come lettore, divertendo tutti quando arricchiva i testi delle Scritture con le sue improvvisazioni.

Bob amava la chiesa cattolica di Santa Teresa, ma ha fatto ai preti che vi prestano servizio una vera cattiveria trascinandoli nei suoi progetti di morte. Dicendo solo che stava per morire, Bob si è presentato per una benedizione alla Messa domenicale del 5 maggio 2019. Il sacerdote gesuita che stava sostituendo quel giorno il solito prete, ha chiesto ad un gruppo di bambini con i loro abiti da Prima Comunione e ad altri parrocchiani di unirsi a lui nella benedizione. Il tutto è stato fotografato e poi pubblicato da AP.

Il fatto che il sacerdote gesuita sapesse o meno che Bob aveva pianificato di togliersi la vita è stata una questione di accanito dibattito per tre giorni. Le apparenze erano terribili. Che razza di prete incoraggerebbe i bambini piccoli nel giorno della loro Prima Comunione a benedire un suicidio? L’arcidiocesi ha assicurato l’opinione pubblica che il prete, il parroco e i “responsabili parrocchiali” non erano a conoscenza dei piani di Bob, ma poi un giornalista dagli occhi acuti della CNA ha notato che a marzo Bob aveva pubblicato un post su Facebook in cui diceva che il suo “pastore/sostenitore” aveva dato “la benedizione” ai suoi progetti.

“Ed è un Gesuita !!!” aveva esultato Bob, come se questo fosse ancora un segno di granitica ortodossia.

Robert Fuller, programma della festa pre il suo fine vita

Robert Fuller, programma della festa pre il suo fine vita

Dopo aver scritto diverse e-mail senza risposta nella speranza di scagionare il Gesuita di Santa Teresa, ho salvato tristemente la mia storia aggiornata e sono andata a letto.

Ma la mattina mi sono svegliata con due e-mail che affermavano con forza che p. Quentin Dupont SJ, non era a conoscenza delle intenzioni di Bob quando aveva impartito la benedizione in St. Teresa. Un’e-mail affermava che il sacerdote gesuita non conosceva affatto Bob. Così, mi sono precipitata ad aggiornare il testo della mia storia.

Sembra che p. Dupont sia stato trascinato da Bob in qualcosa che voleva essere una specie di “assicurazione spirituale globale” cinque giorni prima della sua morte. Ma per quanto riguarda l’effettiva responsabilità di p. Dupont, ho controllato e ci sono almeno altri 26 gesuiti a Seattle, ognuno dei quali tecnicamente avrebbe potuto essere il Gesuita che a marzo ha detto a Bob che uccidersi andava bene.

(A proposito, Dupont ha protestato la sua innocenza su American Mag: “Ero assolutamente, totalmente inconsapevole delle intenzioni del signor Fuller.”)

Ma so anche, grazie a un comico gay britannico, che a volte le persone che consultano i Gesuiti sentono solo ciò che vogliono sentire. Quando Stephen K. Amos disse a papa Francesco di non sentirsi “benvenuto” come uomo gay, il pontefice gli disse che a chiunque desse più importanza all’aggettivo (cioè gay) rispetto al nome (cioè uomo) mancava un cuore umano. Da ascoltatore non attento, Amos disse alle telecamere che il pontefice aveva detto che chiunque non accettasse l’omosessualità era privo di un cuore umano.

Pertanto, non sono convinta che qualche gesuita abbia davvero benedetto i piani suicidi di Bob.

Ho studiato in un teologato gesuita e uno dei miei ricordi più vividi è quello di un professore gesuita di etica che ci diceva che la prima domanda da porre in un dilemma morale è “Chi è la persona più debole in questa situazione?” Sarebbe il primo a sottolineare che in realtà non era p. Quentin Dupont, SJ, per quanto imbarazzante e ingiusta la sua situazione possa essere.

La persona più debole in questa situazione è la persona malata, sola e in fin di vita che legge la storia di Bob su AP e decide che è il tipo di morte che vorrebbe anche lui. E posso vedere il fascino di questa idea perché, da una prospettiva mondana, ho pensato che sarebbe fantastico.

La festa suicida di Bob è andata così: ha scambiato i voti di “matrimonio” con un bell’uomo più giovane di circa 20 anni e poi ha fatto una festa con gli amici. Ha ascoltato un coro gospel e un soprano e poi, dopo aver iniettato nel suo tubo di alimentazione  una miscela di droghe e Kalhua, è morto tenendosi per mano con il suo amato mentre gli amici di fronte al suo letto cantavano “Amazing Grace”.

Non sono sicura di cosa sia successo a Bob dopo. Bob era convinto che sarebbe andato in paradiso, che pensava fosse “uno stato di meditazione”. Chiaramente non credeva all’inferno come una possibilità, anche se la fede cattolica romana della Chiesa da cui è stato sepolto ha sempre insegnato che la scelta deliberata del suicidio a sangue freddo è un peccato mortale.

E sapete, se l’inferno non è una possibilità, perché non dovremmo tutti fare una festa di suicidio per porre fine alla nostra vita? Se ricordate la morte del colto pagano Petronio in Quo Vadis, sapete che la cosa può essere molto piacevole e piena di fascino.

Ma è il fascino del male perché uccidersi deliberatamente è male. Decidere che tu, non Dio, hai potere sulla vita e sulla morte è male. Cercare di afferrare la “corona” del paradiso senza abbracciare la “croce” inviata da Dio è male. Bob forse non era malvagio. Ma penso che sia stato dominato dal male, anche se su Facebook si vantava dicendo “sono io, zio Bob, a comandare”.

 

Robert Fuller (sinistra) con Reese Baxter (destra) prima del suicidio

Robert Fuller (sinistra) con il suo “compagno” Reese Baxter (destra) prima del suicidio (foto: Elaine Thompson, AP)

 





 

 

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