Questo saggio, scritto da Hans Urs von Balthasar nel 1988, nel decennale del pontificato di Papa Giovanni Paolo II, è stato pubblicato nel numero di maggio 2020 di KIRCHE heute (Church today) ed è ripubblicato qui in inglese, in forma leggermente diversa. Lo rilancio da World Catholic Report nella mia traduzione.
La profondità spirituale della sua personalità carismatica
Non basterebbe descrivere tutti i molteplici campi d’influenza che il nostro Santo Padre, Papa Giovanni Paolo II, ha portato frutti in modo più proficuo nei dieci anni del suo pontificato che ha ormai compiuto, se non evidenziassimo come prima e più importante la prospettiva che definisce tutta la sua opera: la profondità spirituale della sua personalità. Solo da essa scaturiscono tutte le benedizioni che accompagnano la sua instancabile attività e la sua forza creativa, che per la stima umana è incomprensibile. Molte di queste benedizioni sono visibili in superficie, ma molte di più possono probabilmente essere colte solo indirettamente e per nulla nella statistica, anche se sappiamo che milioni di cuori sono stati commossi e trasformati da loro. La stampa a volte può parlare della “radiosità carismatica” della sua personalità, come se questo dicesse qualcosa di psicologicamente tangibile, ma tali epiteti non possono nemmeno avvicinarsi alle vere fonti da cui sgorgano questi poteri.
Né basterebbe parlare del forte “senso della missione” del Papa che lo costringerebbe a compiere i suoi frequentissimi viaggi: anche questo rimarrebbe, almeno per la maggior parte delle persone, un motivo puramente umano che lo spinge a un così insolito grado di impegno. Qualsiasi riferimento alla sua “vitalità” mancherebbe ancora di più il segno essenziale, soprattutto se si considera quanto sia fisicamente indebolito dopo essere sfuggito al tentativo quasi letale di assassinio. E il fatto che la sua stanchezza sicuramente crescente non gli impedisca di visitare sempre più nuovi Paesi o di tornare a viaggiare verso quelli già visitati, dimostra chiaramente che ciò che lo spinge non è né la voglia di vagabondare né il bisogno di mescolarsi con nuove masse di umanità, ma solo un urgente dovere di lanciarsi in fatiche che, a detta di tutti i cronisti, i suoi compagni di viaggio sopportano solo con difficoltà, mentre lui stesso si libra sulle ali di una forza incomprensibile che gli permette ogni volta di superare la stanchezza più estrema.
La forza creativa della sua umile preghiera
Questa forza misteriosa ha un nome molto semplice: si chiama preghiera. Non c’è dubbio che tutti i grandi papi sono stati grandi uomini di preghiera; non c’è dubbio nel caso di quelli del nostro [ventesimo] secolo. In cielo ci sarà permesso di guardare nel mistero della loro anima, come ognuno di loro a modo suo, chiuso nella piccola stanza del Sermone della Montagna, abbia attinto la forza necessaria per portare il suo pesante fardello. Ma nel caso dell’attuale Santo Padre, le pareti della sua camera sembrano essere diventate trasparenti, per così dire, in modo che ogni osservatore mezzo benevolo possa percepire la pienezza della semplice, umile preghiera da cui scaturisce la forza per il suo lavoro. Nessuno ha accesso alla conversazione segreta tra Dio e lui, ma chiunque abbia avuto la fortuna di celebrare una Santa Messa insieme a lui o di partecipare a qualche altra devozione – per esempio la Via Crucis del Venerdì Santo – deve aver percepito qualcosa della forza creativa di questa preghiera. Le sue innumerevoli prediche, omelie e discorsi ne sono saturi, anche quando discute di questioni umane di etica, sociologia, diritti umani, pace o scienza.
Senza minimamente eclissare le realizzazioni dei suoi grandi predecessori – realizzazioni alle quali egli stesso richiama l’attenzione e che egli stesso loda sempre di nuovo – possiamo tuttavia indicare una nota nuova particolare che è stata colpita nelle sue maggiori Encicliche alla Chiesa: Certamente si tratta di documenti magisteriali, ma presentati con un calore personale così percettibile, così poco ingombranti per l’oggettivo stile della Curiosità, e che scaturiscono così tanto dalla contemplazione diretta nella scelta dei temi e dell’espressione, che si sente il cuore pulsante di chi parla e quindi anche cordialmente colpiti. Questo è vero a partire dalla sua prima Enciclica Redemptor hominis [4 marzo 1979], che non sviluppa una dottrina sociale astratta, ma parla direttamente alla coscienza pratica dell’umanità di oggi, e anche per tutti i documenti successivi, per i quali occorre prestare particolare attenzione all’Enciclica sulla Divina Misericordia, Dives in misericordia [30 novembre 1980], perché qui la scelta del tema e la dizione sembrano essere scelte e formulate con straordinaria intensità dal centro più intimo della preghiera.
Il suo ardente messaggio di salvezza per i veri esseri umani
Chiunque abbia una certa familiarità con l’opera di Wojtyła sa che, sulla base dei suoi studi filosofici e antropologici e dei suoi scritti, egli la concentra sull’uomo e guarda all’essere umano reale e spiritualmente attivo, per amore del quale esistono tutte le scienze etiche, sociologiche e politiche. Il Papa le conosce e cerca di stare al passo con i loro cambiamenti, ma esse lo interessano solo nella misura in cui si occupano di esseri umani reali e li aiutano a raggiungere un’umanità più pura. Per la Chiesa, che nel suo insieme è la concretezza di Gesù Cristo nel mondo e nella storia – dove non esistono “funzioni” e “uffici” astratte (come nello Stato), ma solo missioni concrete – l’essere umano concreto come membro effettivo o possibile del Corpo di Cristo è sempre l’unica cosa che ha in vista e nel cuore, e tutto ciò che ha da proclamare sulla salvezza vale sempre e solo per questo essere umano nella carne. Molto più intensamente che negli scritti di Marx si preoccupa della “umanità concreta”, anche e proprio quando guarda Das Kapital faccia a faccia e parla del lavoro umano. Niente nei discorsi di questo Papa è una mera “teoria su…”; tutto mira alla persona e all’azione (come dice il titolo del suo capolavoro). Ma poiché secondo il messaggio cristiano di salvezza l’essere umano come persona e quindi anche come persona che agisce trova la sua vera liberazione solo nell’atto di Dio in Gesù Cristo e nella sua accoglienza da parte dell’essere umano, quindi il Papa, quando parla di giustizia sociale, di pace e di diritti umani, non può mai vedere l’essere umano e le sue preoccupazioni se non alla luce del messaggio di salvezza. E questa non è una visione unilaterale, anzi, perché tutta la Buona Novella su Dio, compresi i misteri e i sacramenti della Chiesa, sì, compresa la rivelazione sull’Unica e Trina Amorosa Natura di Dio, è rivolta completamente e interamente all’essere umano. Nulla nella teologia – se è veritiera, come dovrebbe essere – può anche solo per un momento dimenticare che è rivolta all’essere umano. Questo va da sé per tutto ciò che il Papa dice e scrive, e quindi è così vicino al Vangelo, anzi non è altro che la sua elaborazione e riformulazione [Auswortung] per oggi.
A quali esseri umani si rivolge il Papa? Soprattutto a quelli in cui spera di potersi confidare, a quelli in cui si aspetta di trovare un orecchio aperto. Sicuramente prima di tutto i vescovi, senza i quali non intraprende mai nulla nei suoi viaggi; si affida a loro e ottiene il loro consenso per tutto ciò che fa. Poi i sacerdoti (per esempio nella sua Lettera ai sacerdoti del Giovedì Santo 1979 sul servizio per amore di Cristo), dai quali giustamente si aspetta tanto eppure ingiustamente deve sperimentare tanta diffidenza e alienazione. E poi i giovani, che non sono ancora confusi dagli effetti distruttivi della stampa e dei media e lo ascoltano in gran numero. I malati, ai quali egli mostra una cura così speciale; i poveri di tutti i Paesi, di cui difende instancabilmente i diritti; gli operai, ai quali egli mostra la sua cura pastorale già da Arcivescovo e di cui conosce per esperienza le condizioni di vita; infine tutti coloro che sono alla ricerca della vera salvezza, che credano o meno in un Dio personale: In Cristo, che ha vissuto e sofferto per tutti, sono fratelli. Cosa ci impedisce di guardare e cercare insieme una salvezza che non possiamo dare a noi stessi?
Egli guarda a Maria come modello e cuore della Chiesa
Non si potrebbe mai veramente capire la spiritualità del nostro Santo Padre, però, se si tralasciasse il suo rapporto con la Madre del Signore. Questa devozione, Dio lo sa, non è qualcosa di specificamente polacco, se si guarda all’intera Tradizione della Chiesa cattolica. Nella sua enciclica del tutto personale e originale su Maria, la Madre del Redentore, la preghiera del Papa e la sua antropologia ed ecclesiologia sono unite in modo speciale.
Maria stessa è la donna perfetta della preghiera: come la donna che ha detto sì all’Incarnazione, come la donna che intercede a Cana, che con la sua indifferenza – “Fate tutto quello che vi dirà” – ottiene un’udienza favorevole, come la Madre che si adatta a Giovanni, suo figlio, nella Chiesa, nella cui preghiera entra, mentre allo stesso tempo (come il Papa dimostra in modo impressionante) per tutta la sua vita mostra la via nella preghiera fedele. Così diventa contemporaneamente modello e cuore della Chiesa. Nel Libro dell’Apocalisse ella, la Madre del Messia (cap. 12) diventa la sua Sposa escatologica (cap. 19); rappresenta in modo definitivo nella Nuova Testamento il ruolo femminile del popolo di Dio iniziato nell’Antica Alleanza e diventa così la vera risposta ad una lettura femminista della Scrittura, anzi la guida per una persona.
Il Successore di Pietro, che come Vescovo di Roma deve curare l’unità della Chiesa visibile, si riferisce intrinsecamente a questo principio mariano dell’unità della Chiesa come Sposa di Cristo; i due principi ecclesiali – entrambi espressamente assegnati al loro ruolo da Cristo stesso – sono inseparabili e possono essere divisi l’uno dall’altro solo con grande danno all’unità organica della Chiesa. Maria come Madre e modello della Chiesa non può usurpare le funzioni ministeriali più di quanto il papato e qualsiasi altro ufficio ministeriale possa svolgere i suoi compiti senza tener conto della femminilità e della maternità della Chiesa.
Il suo orientamento verso un servizio pieno di fede all’Immacolata
Il papato e la mariologia sono stati considerati fin dai tempi più antichi come segni distintivi speciali della Chiesa cattolica, per cui non sorprende che le chiese della Riforma li rifiutino contemporaneamente. Ma il legame tra le due cose è stato riconosciuto anche nel culmine dei secoli della devozione mariana, per esempio nel Medioevo o ancora durante l’epoca dei papi Pio, anche se Maria in Occidente – più che in Oriente – è stata comunque sempre vista come il modello originale della Chiesa. Ma anche se considerata in termini di nuove formulazioni dei dogmi mariani, essa è stata tuttavia vista vividamente come una persona piena di grazia: i suoi privilegi sono stati oggetto di ammirazione. Giovanni Paolo II la vede in modo diverso, molto più vicina ai semplici credenti. Egli sottolinea la sua fede, che l’ha contraddistinta per tutta la sua vita terrena: una fede che non vedeva, anzi spesso (come per una dodicenne) non capiva. In questo modo non solo la avvicina agli innumerevoli pellegrini dei luoghi di pellegrinaggio mariano, i cristiani più umili e modesti sono spesso proprio quelli che cercano aiuto e sicurezza nella “Madre della Chiesa”, ma anche nel proprio ministero, che condivide con i vescovi e i sacerdoti: Se egli è il Servo dei servi di Dio, allora Maria è la serva delle ancelle; entrambi indicano l’unico Signore della Chiesa: “Pasci le mie pecore”, “Fate quello che vi dice”. Le femministe si dichiarano soddisfatte e la loro unilateralità viene superata solo in questa semplice visione cattolica (naturalmente bisogna scavare nel suo profondo). Soddisfatte, nella misura in cui l’Immacolata si erge in alto sopra Pietro, e la Chiesa di Cristo in tutte le sue membra è essenzialmente femminile; superate, poiché Gesù dalla croce introduce sua Madre nella Chiesa, e per mezzo di Giovanni nella Chiesa tutta concreta guidata da Pietro.
La sua ardente testimonianza del mistero del Dio Trino
Questi riferimenti alla struttura organica della Chiesa – communio hierarchica [la comunione gerarchica] è la nota parola d’ordine del Concilio – non devono in alcun modo implicare che la spiritualità del nostro Papa sia centrata su questo. Naturalmente essa è incentrata sul luogo in cui si svolge la rivelazione di Dio Uno e Trino nel Figlio incarnato; ne è prova la possente trilogia delle Encicliche sul Figlio, il Padre e lo Spirito Santo. Com’era necessario ricordare ai fedeli questo mistero così fondamentale, divenuto remoto per un numero così elevato di persone – verità incomprensibili da non poterle comprendere! Eppure è tuttavia la cosa che dovrebbe essere la più familiare per tutti: il fatto che Dio, come dice Giovanni, è amore, e non può essere altrimenti: Egli è Uno e Tre e vuole attirarci in questo, nella sua eterna vita d’amore, attraverso l’Incarnazione, la croce, l’Eucaristia e l’elargizione dello Spirito.
La spiritualità del nostro Santo Padre è una singolare confutazione della stanca rassegnazione di molti cristiani di oggi che pensano che le verità della rivelazione siano troppo vecchie per “essere ancora vere”, troppo logorate per influenzare il mondo di oggi e quindi dovrebbero essere trasformate dall’interno. La colossale vitalità spirituale del nostro Papa dimostra invece che proprio queste verità cristiane centrali, e solo loro, sono capaci di far lievitare uno dopo l’altro tutti i problemi che il presente libro* svilupperà, e di aprire la via da un apparente vicolo cieco a una strada che porta in avanti.
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