Il patriarca di Mosca Kirill
Il patriarca di Mosca Kirill

 

 

di Mattia Spanò

 

Abbiamo due nuovi ori nel medagliere olimpico, in due nuovissime discipline. Nella caccia al russo e nell’analisi geopolitica: con un gagliardo Putin folle, dittatore, genocida abbiamo sbriciolato la concorrenza. 

In realtà la seconda medaglia è premessa maggiore della prima: la caccia al russo, meglio se ha parcheggiato la macchina ed è andato a farsi un giro. Ancora meglio se è un bambino figlio di una coppia mista con mamma russa, come accaduto a Brescia

Da queste parti siamo fatti così: uno sguardo storto, una risposta frettolosa percepita come sgarbata, e via un bel cacciavite piantato nelle gomme della macchina, o una sassata che manda in pezzi la finestra.

Vae victis, guai ai vinti se invece ci sono questioni gravi che minacciano la sopravvivenza nostra, come il Covid, o quella di bambini in province lontane (solo alcune però, quelle in scaletta nei Tg: dei bambini siriani o yemeniti, che diciamocelo sono pure un po’ zozzi e straccioni e in genere non biondissimi, non ce ne importa granché). 

Mentre i pargoli in Ucraina muoiono sotto i missili russi, il rampollo nostrale lo inoculiamo a tutta randa per donargli la vita, specie a Natale. E pazienza se da più parti giungono moniti fondati a non farlo. I criaturi in Italia funzionano sempre. Siamo un paese di genitori 1 e 2. Di Cogne e Avetrana, di Yara Gambirasio, del piccolo Tommy Onofri e innumerevoli altri.

Ma siamo anche la sede della Chiesa Cattolica presieduta da un papa sensibile alla pace (la pace ci piace), ai poveri (scoop), ai migranti (spedisce un cardinale in Ucraina a soccorrere gli africani colà rifugiati, che fuggono da fame e guerra verso la guerra e la fame, vedi a volte la jella) e a quasi ogni altra piaga sociale globale.

Un papa cardiomegalico al limite della bradicardia, che sempre per l’Ucraina ha chiesto una preghiera silenziosa – la dimensione religiosa è fatto privato, si è capito, al punto che qualche cardinale nasconde la croce per non urtare la sensibilità dei non cristiani.

Un papa alla mano che non disdegna nemmeno masticare foglie di coca, purché qualità boliviana – la migliore. Per dire a quali vette di popolarità universale giunga papa Francesco.

Un pontefice che si è speso come pochi a fare cose e vedere persone, prostrandosi e baciando i piedi a signori della guerra sudanesi e le mani di signore ebree sopravvissute a Mengele – o percuotendo quelle di donne cinesi, “cattivo esempio” di cui si scusò dopo un sofferto esame di coscienza – sempre prodigo di gesti plateali. Siamo una stirpe di dura cervice: se non guardiamo le figure, non crediamo.

Un papa che ha percorso il globo in lungo e in largo, baciandosi con i Grandi Imam, scrivendo Fratelli Tutti, abbracciando tutte le religioni, elogiando la Cina fonte inesauribile di saggezza – tranne le pellegrine in piazza San Pietro già ricordate, o i cardinali che chiedono udienza come Zen – un papa schierato per i diritti degli omosessuali al punto di bacchettare paternamente i genitori cattivi di figli omosessuali buoni.

E mica a chiacchiere si fa la guerra all’inciviltà: monsignor Zanchetta appena condannato in Argentina dal tribunale omofobo di Oràn per abusi continui e aggravati su seminaristi, è in attesa di prudente giudizio nel processo canonico a suo carico.

Bisogna notare in calce che Sua Santità non sia nuovo ad assegnare incarichi di gestione patrimoniale – Ricca alla Prelatura dello IOR, Zanchetta assessore al Patrimonio della Sede Apostolica – a persone toccate da scandali sessuali veri o presunti.

Coincidenza curiosa: o il papa possiede un fiuto particolare per certe figure, o è sfortunato, oppure bisogna postulare che non sia facile, all’ombra delle mura leonine, trovare personalità estranee a questo genere di intrattenimento. O che sia facillimo accusarli di ciò.

È certo allora che dopo il colpo alla pace inferto sotto la cintura dallo Zar, le parole del Patriarca ortodosso di Mosca Kirill, calate come un fulmine a ciel sereno, devono averlo ferito non poco.

Un archimandrita poco pop che afferma quanto Putin faccia bene a picchiare sodo perché gli occidentali sono una manica di pervertiti (così la sinossi dell’Ansa) o non era attento quando Bergoglio spiegava, oppure ha letto e non ha capito – è russo pure lui, in fondo – oppure ha letto, ha capito e se n’è allegramente infischiato.

L’affondo di Kirill è crudele. “Per otto anni ci sono stati tentativi di distruggere ciò che esiste nel Donbass, dove c’è un rifiuto fondamentale dei cosiddetti valori che oggi vengono offerti da chi rivendica il potere mondiale. Oggi esiste un test per la lealtà a questo governo, una specie di passaggio a quel mondo ‘felice’, il mondo del consumo eccessivo, il mondo della ‘libertà’ visibile. Sapete cos’è questo test? È molto semplice e allo stesso tempo terribile: è una parata gay”.

Brivido, terrore, raccapriccio. 

Non pago, il bruto continua: “Se l’umanità riconosce che il peccato non è una violazione della legge di Dio, se l’umanità concorda sul fatto che il peccato è una delle opzioni per il comportamento umano, allora la civiltà umana finirà lì. Non condanniamo nessuno, non invitiamo nessuno a salire sulla croce, ci diciamo solo: saremo fedeli alla parola di Dio, saremo fedeli alla sua legge, saremo fedeli alla legge dell’amore e giustizia, e se vediamo violazioni di questa legge, non sopporteremo mai coloro che distruggono questa legge, offuscando il confine tra santità e peccato, e ancor più con coloro che promuovono il peccato come esempio o come uno dei modelli di comportamento umano”.

È difficile resistere a reazioni che sfociano nell’invettiva di fronte a tanta barbara protervia. Diciamo, con stentata sobrietà, che Kirill non condivide l’assioma bergogliano secondo il quale Dio ci ha fatti così e ci ama come siamo. Ovvero Cristo sarebbe sceso in terra a dirci quanto siamo bravi, prima di essere rispedito al Padre a nerbate nella schiena e colpi di martello.

Non può passare in cavalleria l’attacco sfrontato di un confratello nella fede al papa più misericordioso di tutti i tempi, magari più dello stesso Gesù il quale, svagato, ha scordato per strada una mucchio di magagne, udienze e conferenze stampa in cui sferzare l’opinione pubblicana con una ferma e severa condanna dell’omofobia, dell’inquinamento e dell’antivaccinismo suicida e omicida. Per citare solo le sviste più macroscopiche: l’elenco completo sarebbe più lungo di un’enciclica sull’intolleranza al glutine.

Ironie a parte, la notizia è che dopo gli islamici – gente che per lo più lucra su gas e petrolio, orrore magno – adusi appendere omosessuali per il collo alle gru, anche autorità ortodosse di prima grandezza hanno un’opinione incivile sui sacri valori dell’Occidente. Fedeli alla legge di Dio, ma scherziamo?

Ancora echeggiano le parole di papa Francesco ai caldei in Iraq, fratelli che camminano guardando lo stesso cielo, e ci troviamo nel pantano peggiore degli ultimi vent’anni. Un po’ sfortunato lo è, papa Francesco.

In un mondo fondato su dialogo ed ecumenismo religioso, sarebbe buona pratica prendere atto che una larga parte del bestiame umano che lo popola si fa beffe dei valori spirituali, politici e sanitari dell’Occidente post-cristiano.

Come i profughi ucraini che rifiutano la vaccinazione: una banda di assassini suicidi, par di capire. Ma loro meritano il caldo abbraccio del vice-ministro Sileri, lo stesso che vuole rendere la vita difficile ai pericolosi no-vax autoctoni.

Anche per loro, green pass o no, si troverà uno strapuntino nella comunione dei santi, come c’è per apostati e bestemmiatori. Tuttavia non si capisce perché apostati e bestemmiatori sì, e mafiosipazzi guerrafondai no – se la “guerra è una pazzia”, curiamola senza indugio. Con un nuovo prodigioso ritrovato Pfizer, magari.

Questa doppia morale, tanto incautamente corriva coi lontani afflitti da ogni genere di piaga quanto inflessibile col prossimo, trova il controcanto nell’idea ben riassunta dal versetto evangelico “qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?” (Mt 16, 26). Che è poi la tesi del Patriarca Kirill, mi pare. Una brutta persona, ripetiamo senza stancarci, stoltamente abbarbicata a tradizioni obsolete.

Sarebbe consigliabile quanto meno sospettare che questo Occidente rappresenti una percentuale non dico trascurabile, ma certamente residuale dell’umanità. Se l’unica cifra della nostra superiorità intellettuale, civile e spirituale sono la derisione, la rampogna, il Wishful thinking o l’imposizione dei deretani, del sierismo magico e della libertà digitale in affitto come di qualsivoglia altra geniale trovata, non faremo una bella fine.

Ogni guerra combattuta dall’Occidente dopo il 1945 è stata in qualche misura “santa”, cioè ammantata di nobili propositi come portare pace, democrazia e prosperità a popolazioni scimmiesche che non le richiedono (altrimenti non sarebbero primati), finendo puntualmente schiacciate sotto il tacco pietoso del benefattore.

Ogni guerra è stata in qualche misura ecumenica, nel senso di fare del mondo abitato un’unica città, con una cittadinanza omogenea radunata all’ombra di un un solo potere.

Così in Vietnam, in Iraq, in Libia, in Siria, in Afghanistan, in Serbia, in ogni guerra “di pace”. Quelle che ci piacciono tanto. Tutte rovinosamente fallite col loro retaggio di fumo, cenere, tombe, destabilizzazione di intere aree del mondo e caos.

Questa guerra non lo è, di pace. Guerra di guerra, si direbbe. Putin, a valle di otto e più anni di avvertimenti, l’ha scatenata a tutela dell’integrità della Russia e dei russi. In aperto contrasto coi valori dell’Occidente, dice Kirill.

Vero e meno che lo si creda, con Putin nessuno ha voluto negoziare, ragionare, ascoltarlo. Non dico approvarla – impossibile – ma capire una visione del mondo diversa era un nostro preciso dovere, politico e diplomatico.

Troppo comodo oggi fare le verginelle portando in piazza il nostro disprezzo, l’esecrazione e un mucchietto di sanzioni a casaccio che tramortiscono noi non meno della Russia.

La guerra in Ucraina deve certamente finire il prima possibile, e finirà o diverrà qualcosa che nessuno osa immaginare, e allora finirà comunque. Ciò non deve distoglierci dalla consapevolezza che il mondialismo, il pacifismo, la fratellanza in acre odore di frammassoneria e l’ecumenismo religioso hanno fallito. Insistere su ciofeche del genere potrebbe rivelarsi una follia peggiore della guerra.

Torniamo al realismo – magari cristiano. Ne guadagneremmo non poco.

 

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