di Mattia Spanò
Non sappiamo più cos’è la guerra, non sappiamo più fare la guerra. Possiamo uccidere masse enormi di persone e distruggere paesi, e per comodità cialtrona chiamiamo questo “guerra”, ma non lo è. Sappiamo dare inizio al caos, ma non sappiamo più porvi fine. Non sapendo fare la guerra, non possiamo fare la pace.
La Seconda guerra mondiale è stata l’ultima guerra legalmente dichiarata. Per quanto bizzarro possa sembrare ai nostri occhi, è sempre esistito un diritto di guerra. Uno Stato dichiarava guerra all’altro, poi lo invadeva, infine si arrivava all’armistizio. C’erano delle regole note a tutti. Queste regole non ci sono più.
Tecnicamente quelle attuali sono più simili alle razzie, alle invasioni barbariche. Puri atti di distruzione privi di senso e di scopo. Alessandro Magno, Cesare, il Saladino, Tamerlano, Gengis Khan, lo stesso Annibale, Napoleone avevano scopi precisi: il vincitore prendeva possesso di territori, soggiogava popoli, esigeva tributi, istituiva nuove regole. In qualche misura e in maniere molto diverse, mirava a stabilire una cultura.
Il dominio era culturale – più o meno duraturo – si mirava cioè a ricostituire un ordine di vita nuovo, beninteso a vantaggio del vincitore. In qualche forma, si avvicinava il diverso, si cercava di conformarlo almeno parzialmente. Oggi no. Oggi lo scopo è l’eliminazione dell’uomo.
Per quanto dispiaccia ai benpensanti e ai moralisti nostrani, l’unico che oggi fa mostra di agire secondo criteri bellici rigorosi è Vladimir Putin. Tutto il resto è una manifestazione d’odio, avidità e viltà forse senza eguali nella storia.
In Iraq, in Libia, in Afghanistan sono state costruite scuole? Sono state stabilite leggi e istituzioni? Si è in qualche modo cercato praticamente di stabilire nuovi regimi, nuovi governi? È stato proposto – o persino imposto – qualcosa che vagamente somigli a ciò che chiamiamo democrazia, diritti, valori occidentali? Eppure, questo era il pretesto alla base di queste guerre: esportare democrazia, ovvero occidentalizzare questi paesi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Alla carneficina operata da Hamas il 7 ottobre in Israele, Tel Aviv ha reagito con una carneficina uguale e contraria, persino più barbara, violenta e spietata. Qualcosa che ricorda molto da vicino il genocidio compiuto dai nazisti ai danni degli ebrei. Com’è possibile che un popolo civile, democratico, culturalmente elevato si abbandoni allo stesso furore selvaggio che per primo ha subito?
Da decenni ormai si iniziano conflitti che non si terminano. Al massimo si attenuano, si consegnano a cessate il fuoco temporanei. Nel frattempo, gli animi macerano nell’odio e nella volontà di vendetta, che prima o dopo riesplode con accresciuta violenza.
Non si riesce a stabilire un vinto e un vincitore, a stabilire la pace, a chiudere con brutte pagine della storia. Questa non è più guerra. Qualcosa che non finisce, che non porta a nulla di diverso da morte, distruzione e cancellazione di interi popoli non può chiamarsi guerra.
C’è, bisogna ammettere, un pericoloso appetito di morte, di genocidio, di cancellazione dell’altro. Una cupio dissolvi che trapela innanzitutto dall’odio e l’intolleranza che si respira nel dibattito pubblico. Si abbracciano formule apodittiche e indimostrate, sbraitando in faccia ai dissenzienti odio puro.
Questo atteggiamento, che ha preso piede con diverse gradazioni di intensità, probabilmente trova le sue motivazioni profonde in una constatazione molto amara: l’uomo, da solo, non viene a capo di nulla. Né di sé stesso, né del mondo circostante. Per conseguenza, la vita umana non ha più senso. Né quella della vittima, né quella del carnefice.
Questo è facilmente riscontrabile nella drammatica perdita di contatto col perimetro semantico dei concetti. L’opinione pubblica occidentale non ha la minima idea di cosa sia veramente la guerra. Come ignora radicalmente i delicati equilibri che sostengono la pace.
Non ci sarà così alcuna pace, e nessuna vera guerra. In fondo verrà meno la civiltà stessa – in gran parte già decaduta – sepolta sotto le proprie contraddizioni. Andiamo – ammesso e non concesso che le vicende umane non prendano una piega irreparabile – verso un’epoca di caos vastissimo, che travolgerà ed eroderà tutti gli spazi della convivenza civile.
Fino a quando non si recuperano dei punti d’ordine, riconosciuti validi da tutti perché oggettivi, nulla andrà bene. L’uomo senza ideale non vive, e l’ideale dell’uomo non può essere l’uomo stesso.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. I contributi pubblicati su questo blog hanno il solo scopo di alimentare un civile e amichevole confronto volto ad approfondire la realtà.
Sostieni il Blog di Sabino Paciolla
Scrivi un commento