Ricordo che, allora ancora giovani innamorati, io e mia moglie abbiamo letto articoli ed un libro di un professore polacco di filosofia, un certo Stanislaw GRYGIEL. Don Giussani, fondatore del movimento di Comunione e Liberazione, ce lo fece conoscere perché era un autore interessante e perché Grygiel era amico dell’allora papa Giovanni Paolo II, come noto anche lui polacco. Che sorpresa è stata quella di rileggere i suoi interventi durante i due Family Day in difesa della famiglia. Lui infatti era stato nominato proprio da Giovanni Paolo II membro a vita dell’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi su matrimonio e famiglia (poi escluso quando l’Istituto è stato rifondato da mons. Vincenzo Paglia). La sorpresa è stata ancora più grande quando ad ottobre scorso l’ho intravisto a Roma in un convegno sulla Humanae Vitae. L’ho voluto incontrare con degli amici. Abbiamo potuto percepire tutta la sua signorilità d’animo e la sua freschezza di pensiero. In quell’incontro ci presentò un giovane studioso sacerdote, Pawel Stanislaw GALUSZKA, che stava per pubblicare un libro per i tipi della Cantagalli che metteva in evidenza il contributo dell’allora cardinal Karol Wojtyła alla elaborazione dell’enciclica Humanae Vitae del papa Paolo VI. Il libro è stato presentato a Roma il 7 marzo scorso. Vi riporto la interessantissima relazione che il prof. Stanislaw GRYGIEL ha tenuto quella sera. La riprendo da Edward Pentin, nella mia traduzione.
Siamo pieni di grande gioia e gratitudine per il libro di don Paweł Gałuszka, pubblicato dalla cattedra Karol Wojtyła nella collana Paths of truth dal titolo Karol Wojtyła and Humanae vitae: Il contributo dell’arcivescovo di Cracovia e del gruppo polacco dei teologi all’enciclica di Paolo VI. Il suo contenuto, frutto dell’assidua opera dell’autore, crea una felice occasione per celebrare il cinquantesimo anniversario della difesa della dignità umana operata dall’enciclica del grande Paolo VI. Ringrazio l’editore David Cantagalli, che con magnanimità continua a rendere un grande servizio alla verità e al bene della persona umana e della Chiesa.
In poche parole, questa sera vorrei sottolineare solo il fatto che il contributo dell’arcivescovo Karol Wojtyła all’enciclica Humanae vitae trova origine nel suo amore per la verità sull’uomo, una verità rivelata nel Verbo incarnato e vissuta nell’esperienza morale della persona umana. In queste due esperienze, egli ha ricevuto il dono di comprendere la dignità della persona umana. Karol Wojtyła era consapevole che questa enciclica era, è e sarà un baluardo della libertà, cioè dell’amore responsabile senza il quale l’uomo degenera in schiavo che tratta se stesso e gli altri come oggetti da sfruttare per interessi effimeri. Questa degenerazione, separando “i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo” (HV 12), cioè distruggendo l’evento del mistero dell’amore che unisce l’uomo e la donna in “una sola carne”, distrugge la comunione coniugale e così facendo la società stessa, che viene proprio dalle persone unite tra loro. Il Maligno, che ha paura dell’amore e quindi non lo ama, provoca il caos nei cuori e nei pensieri delle persone con divagazioni psicologiche e sociologiche attraverso le quali alcuni pastori e prelati elevano la debolezza dell’uomo alla dignità del principio di vita, sostenendo che nella storia di questa debolezza si rivela la Parola di Dio sul matrimonio. Chi crede che indulgere a questa debolezza sia un ideale pratico e la chiama misericordia, disintegra la persona e di conseguenza disintegra la Chiesa e la società. Essi le immergono nella luxuriae indignitate (rabbia e lussuria).
L’enciclica Humanae Vitae non propone un’etica della vita sociale, ma ne indica i fondamenti antropologici, cioè l’amore che unisce l’uomo e la donna in “una sola carne”. Paolo VI, prevedendo che lo sviluppo delle scienze potesse ridurre questa unione a un gioco di affetti e di altri interessi, proclamò con forza la verità oggettiva e il bene oggettivo dell’amore umano in cui si rivela la dignità della persona dell’uomo. Una società privata di questa verità e di questa dignità sull’uomo non sarà altro che una costruzione tecnica di affetti e interessi effimeri.
Un vescovo italiano (è un vecchio per cui copriremo il suo nome con un velo di misericordia) ha scritto in un giornale l’anno scorso che il motivo per cui Paolo VI firmò la Humanae Vitae era per paura della democrazia. Questo vescovo non sapeva cosa stesse scrivendo, e se lo sapeva, gli si doveva porre una domanda fondamentale per ogni cristiano, una domanda sulla sua fede. Mi vergogno di dire una cosa ovvia: Paolo VI firmò Humanae Vitae proprio per il suo coraggio ispirato dal timor Dei (il timore di Dio), che lo liberò dal timore delle statistiche e delle opinioni della cosiddetta maggioranza dei teologi, la cui intelligenza pragmatica non pone più il Verbo incarnato di Dio al “centro dell’universo e della storia” (Redemptor hominis, 1) ma pone la storia della debolezza umana al centro dell’economia della salvezza. Per questo la teologia pragmatica, contaminata da interessi politici e divagazioni sociologico-psicologiche, non può che essere teologia illegittima. C. K. Norwid la chiamava teologia “bastarda”. Perché? Perché, risponde Norwid, “tutte le intelligenze pratiche/pragmatiche non sono cristiane – e tutte le intelligenze cristiane non sono pratiche”.
Non posso esimermi dal mettere in guardia tutti voi dal pericolo che minaccia la nostra fede da parte di autori che, partendo dalla situazione storica contingente in cui la fede della Chiesa si è espressa in Humanae Vitae, costruiscono a partire dagli elementi di questa situazione suggestioni teologiche di natura sartriana che conducono ad una nuova casuistica. I teologi e i pastori che li seguiranno contamineranno sia la loro teologia che la loro cura pastorale e li renderanno illegittimi. Dire che il beato Paolo VI è tornato solo quattro volte al testo dell’Enciclica, significando che non era convinto di aver fatto la cosa giusta firmando il documento, è infantile e non meno che insidioso.
Non ho contato quante volte Paolo VI ha parlato dell’enciclica. Sono a conoscenza solo di due dichiarazioni che ha fatto al riguardo: la prima la settimana in cui è stata pubblicata la Humanae Vitae, durante l’Udienza Generale del 31 luglio 1968. Il secondo arrivò dieci anni dopo, il 21 luglio 1978, appena due settimane prima della sua morte, in una lettera indirizzata all’arcivescovo di San Francisco e firmata a suo nome dal segretario di Stato, cardinale Jean-Marie Villot. In entrambi i casi, Paolo VI confermò risolutamente l’insegnamento morale contenuto nella Humanae vitae. Durante l’udienza generale ha detto: “Non avevamo dubbi sul Nostro dovere di prendere la Nostra decisione nei termini espressi nella presente Enciclica”. Poi ha espresso la speranza che questo documento “sia ben accolto… nonostante le diffuse divergenze di opinione oggi, e nonostante le difficoltà che il cammino che esso traccia può presentare per coloro che desiderano seguirlo fedelmente, e anche per coloro che devono insegnarlo con franchezza, con l’aiuto del Dio della vita, naturalmente“. Speriamo che soprattutto gli studiosi possano scoprire nel documento stesso il vero filo che lo lega alla concezione cristiana della vita e che ci permette di far nostre le parole di san Paolo: ‘Nos autem sensum Christi habemus’ (Ma noi abbiamo la mente di Cristo) (1 Cor 2,16)“.
Sia il Beato Paolo VI che San Giovanni Paolo II il Grande hanno confessato con San Paolo: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre. Non lasciatevi trasportare da ogni tipo di insegnamento strano” (Ebrei 13:8-9).
L’insegnamento della Chiesa non ha bisogno di verbosità che di solito confonde, ma di parole piene della Parola di Dio – parole chiare e concise. Approfondire la comprensione della presenza del Verbo Divino nell’Humanae Vitae non significa cambiarne il contenuto. Coloro che lo cambiano non vedono nell’uomo la sua inestimabile dignità, ma solo qualcosa su cui fissare un prezzo, secondo le circostanze politiche, psicologiche e sociologiche.
È quindi naturale che, mentre nella Chiesa si sta diffondendo il pragmatismo teologico, la nostra più profonda gratitudine vada al cardinale Gerhard Ludwig Müller, già prefetto della Congregazione della Fede, e impavido defensor fidei (difensore della fede), per la sua presenza con noi e per aver accolto senza esitazione l’invito a presentare il libro di don Paweł Gałuszka, che provvidenzialmente viene pubblicato quest’anno. Padre Cardinale, forse stasera, durante la sua preghiera, vedrà spiritualmente due sorrisi pieni di amicizia: uno del Beato Paolo VI e l’altro di San Giovanni Paolo II. Forse sentirete anche il loro “Grazie”!
di Stanislaw GRYGIEL
Fonte: National Catholic Register
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