In una intervista esclusiva ad Edward Pentin, pubblicata sul National Catholic Register, il Card. Sarah spiega le sue preoccupazione sul Sinodo e sul declino del senso del sacro nella vita della Chiesa.
Affronta l’attuale crisi nella Chiesa e nella società, attribuendola principalmente all’ateismo, al non porre Dio al centro della nostra vita, nonché ad un desiderio dominante di imporre “l’opinione personale come verità”. Coloro che annunciano “rivoluzioni e cambiamenti radicali “, avverte, “sono falsi profeti “e non “cercano il bene del gregge “.
Il card. Sarah è prefetto della Congregazione per il Culto Civino e la Disciplina dei Sacramenti.
Eccola nella traduzione di Annarosa Rossetto.
Qual è la preoccupazione principale che vuol trasmettere ai lettori del suo libro?
Non fraintendete questo libro. Non sviluppo tesi personali o ricerche accademiche. Questo libro è un grido dal mio cuore di sacerdote e pastore.
Soffro molto nel vedere la Chiesa lacerata e in grande confusione. Soffro molto nel vedere il Vangelo e la dottrina cattolica ignorati, l’Eucaristia ignorata o profanata. Soffro molto nel vedere i sacerdoti abbandonati, scoraggiati e [vedere quelli] la cui fede è diventata tiepida.
Il declino della fede nella Presenza Reale di Gesù Eucaristia è al centro dell’attuale crisi della Chiesa e del suo declino, specialmente in Occidente. Vescovi, sacerdoti e fedeli laici siamo tutti responsabili della crisi della fede, della crisi della Chiesa, della crisi sacerdotale e della scristianizzazione dell’Occidente. Georges Bernanos ha scritto prima della guerra: “Ripetiamo costantemente, con lacrime di impotenza, pigrizia o orgoglio, che il mondo sta diventando scristianizzato. Ma il mondo non ha ricevuto Cristo – non pro mundo rogo – siamo noi che lo abbiamo ricevuto per lui; è dal nostro cuore che Dio si ritira; siamo noi che scristianizziamo noi stessi, miserabili! “( da Nous Autres, Français, “Noi Francesi”- in Scandale de la Vérité , “Scandalo della verità”, Punti / Seuil, 1984).
Volevo aprire il mio cuore e condividere una certezza: la profonda crisi che la Chiesa sta vivendo nel mondo e specialmente in Occidente è il frutto dell’oblio di Dio. Se la nostra prima preoccupazione non è Dio, allora tutto il resto crolla. Alla radice di tutte le crisi, antropologiche, politiche, sociali, culturali, geopolitiche, c’è l’oblio del primato di Dio. Come ha affermato Papa Benedetto XVI durante l’incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins il 12 settembre 2008, “Il ‘quaerere Deum’– “cercare Dio”, il fatto di essere attenti alla realtà essenziale di Dio è l’asse centrale su cui è costruita tutta la civiltà e la cultura. Ciò che ha fondato la cultura europea – la ricerca di Dio e la volontà di lasciarsi trovare da Lui, di ascoltarlo – rimane ancora oggi il fondamento di ogni vera cultura e la condizione indispensabile per la sopravvivenza della nostra umanità. Perciò il rifiuto di Dio o una totale indifferenza nei suoi confronti è fatale per l’uomo ”.
Ho cercato di mostrare in questo libro che la radice comune di tutte le crisi attuali si trova in questo ateismo fluido, che, senza negare Dio, vive nella concretezza come se non esistesse.
Concludendo il mio libro, parlo di questo veleno di cui siamo tutti vittime: l’ateismo liquido. Si infiltra in tutto, anche nei nostri discorsi come sacerdoti. Consiste nell’ammettere, accanto alla fede, modi di pensare o di vivere radicalmente pagani e mondani. E ci accontentiamo di questa convivenza innaturale! Ciò dimostra che la nostra fede è diventata liquida e incoerente! La prima riforma da fare è nei nostri cuori. Consiste nel non scendere a patti con le bugie. La fede è sia il tesoro che vogliamo difendere sia la forza che ci consente di difenderlo.
Questo movimento che consiste nel “mettere Dio da parte”, facendo di Dio una realtà secondaria, ha toccato il cuore di sacerdoti e vescovi.
Dio non occupa il centro delle loro vite, pensieri e azioni. La vita di preghiera non è più centrale. Sono convinto che i sacerdoti debbano proclamare la centralità di Dio attraverso le loro stesse vite. Una Chiesa in cui il prete non porta più questo messaggio è una Chiesa malata. La vita di un sacerdote deve proclamare al mondo che “Dio solo basta”, che la preghiera, cioè questa relazione intima e personale, è il cuore della sua vita. Questa è la ragione profonda del celibato sacerdotale.
L’oblio di Dio trova la sua prima e più grave manifestazione nel modo secolarizzato di vita dei sacerdoti. Sono i primi a dover portare la Buona Novella. Se la loro vita personale non riflette questo, l’ateismo pratico si diffonderà in tutta la Chiesa e la società.
Credo che siamo a un punto di svolta nella storia della Chiesa. Sì, la Chiesa ha bisogno di una riforma profonda e radicale che deve iniziare con una riforma del modo di essere e del modo di vivere dei sacerdoti. La Chiesa è Santa in se stessa. Ma impediamo a questa santità di splendere attraverso i nostri peccati e preoccupazioni mondane.
È tempo di abbandonare tutti questi fardelli e finalmente far apparire la Chiesa come Dio l’ha plasmata. Talvolta si ritiene che la storia della Chiesa sia caratterizzata da riforme strutturali. Sono sicuro che sono i Santi che cambiano la storia. Le strutture quindi seguono e semplicemente perpetuano le azioni dei Santi.
La nozione di speranza è un elemento fondamentale nel suo lavoro, nonostante il titolo cupo del libro e le osservazioni allarmanti che fa sullo stato della nostra civiltà occidentale. Vede ancora motivi di speranza nel nostro mondo?
Il titolo è cupo, ma è realistico. Veramente vediamo sgretolarsi l’intera civiltà Occidentale. Nel 1978, il filosofo John Senior pubblicò il libro La morte della Cultura Cristiana. Come i Romani del quarto secolo, vediamo i Barbari prendere il potere. Ma questa volta, i barbari non vengono dall’esterno per attaccare le città. I barbari sono dentro. Sono quegli individui che rifiutano la propria natura umana, che si vergognano di essere creature limitate, che vogliono pensare a se stessi come demiurghi senza padri e senza eredità. Questa è la vera barbarie. Al contrario, l’uomo civile è orgoglioso e felice di essere un erede.
Abbiamo convinto i nostri contemporanei che per essere liberi non dobbiamo dipendere da nessuno. Questo è un tragico errore. Gli Occidentali sono convinti che ricevere sia contrario alla dignità della persona. Tuttavia, l’uomo civilizzato è fondamentalmente un erede; riceve una storia, una religione, una lingua, una cultura, un nome, una famiglia.
Rifiutarsi di unirsi a una rete di dipendenza, eredità e filiazione ci condanna ad entrare nella nuda giungla della concorrenza di un’economia autosufficiente. Poiché si rifiuta di accettarsi come erede, l’uomo si condanna all’inferno della globalizzazione liberale, dove gli interessi individuali si scontrano senz’altra legge che quella del profitto a tutti i costi.
Tuttavia, il titolo del mio libro contiene anche la luce della speranza perché è tratto dalla richiesta dei discepoli di Emmaus nel Vangelo di Luca: “Resta con noi, Signore, perché si fa sera” (24:29). Sappiamo che alla fine Gesù si manifesterà.
La nostra prima ragione di speranza è quindi Dio stesso. Non ci abbandonerà mai! Crediamo fermamente nella sua promessa. Le porte dell’inferno non prevarranno contro la Santa Chiesa Cattolica. Sarà sempre l’Arca della Salvezza. Ci sarà sempre abbastanza luce per chi cerca la verità con un cuore puro.
Anche se tutto sembra essere in procinto di venire distrutto, vediamo emergere i semi luminosi della rinascita. Vorrei menzionare i santi nascosti che sorreggono la Chiesa, in particolare i religiosi fedeli che mettono Dio al centro della loro vita ogni giorno. I monasteri sono isole di speranza. Sembra che la vitalità della Chiesa si sia rifugiata lì, come se fossero oasi in mezzo al deserto – ma anche famiglie cattoliche che vivono concretamente il Vangelo della vita, mentre il mondo le disprezza.
I genitori cristiani sono gli eroi nascosti del nostro tempo, i martiri del nostro secolo. Infine, voglio rendere omaggio a tanti sacerdoti fedeli e anonimi che hanno fatto del sacrificio sull’altare il centro e il significato della loro vita. Offrendo quotidianamente il Santo Sacrificio della Messa con venerazione e amore, reggono la Chiesa senza saperlo.
In che modo questo libro completa i suoi due volumi precedenti: Dio o Niente e La Forza del Silenzio? Cosa aggiunge questo agli altri due?
In Dio o Niente, volevo ringraziare Dio per l’intervento di Dio nella mia vita. Con Dio o Niente, vorrei riuscire a porre Dio al centro della nostra vita, al centro dei nostri pensieri, al centro delle nostre azioni, nell’unico posto che deve occupare, in modo che il nostro viaggio cristiano possa ruotare intorno questa roccia su cui ogni uomo si costruisce e si struttura fino a quando non raggiunge “la maturità virile, nella misura della piena statura di Cristo” (vedere Efesini 4:13).
Il Potere del Silenzio è come un affidamento spirituale. Non possiamo raggiungere Dio; possiamo rimanere in Lui solo nel silenzio.
Quest’ultimo libro è una sintesi. Cerco di descrivere chiaramente la situazione attuale e descriverne le cause alla radice. Quest’ultimo libro indica le gravi conseguenze umane e spirituali quando l’uomo abbandona Dio. Ma allo stesso tempo, Si fa sera e il giorno ormai volge al declino afferma con forza che Dio non abbandona l’uomo, anche quando l’uomo si nasconde dietro i cespugli nel suo giardino, come Adamo. Dio lo cerca e lo trova, quindi un barlume di speranza per il futuro.
Negli ultimi anni, la Chiesa ha subito molte controversie relative alla messa in discussione, secondo alcuni, dell’insegnamento morale della Chiesa da parte dei responsabili della Chiesa, ad esempio a proposito di Amoris Laetitia, all’ignoranza del magistero di Giovanni Paolo II (che il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II ha recentemente modificato in modo chiaro), agli sforzi per minare Humanae Vitae, alla revisione della pena di morte, solo per citarne alcune. Perché sta succedendo questo e i fedeli dovrebbero esserne preoccupati?
Siamo di fronte a una vera cacofonia da parte di vescovi e sacerdoti. Tutti vogliono imporre la propria opinione personale come una verità. Ma c’è una sola verità: Cristo e il suo insegnamento. Come potrebbe cambiare la dottrina della Chiesa? Il Vangelo non cambia. È sempre lo stesso. La nostra unità non può essere costruita attorno alle opinioni in voga.
La Lettera agli Ebrei dice: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre! Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine, perché è bene che il cuore venga rinsaldato dalla grazia, non da cibi che non hanno mai recato giovamento a coloro che ne usarono.” (13: 8-9) – perché, dice Gesù. “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato” (Giovanni 7:16). Dio stesso spesso lo ripete: “Non violerò la mia alleanza, non muterò la mia promessa. Sulla mia santità ho giurato una volta per sempre” (Salmo 89: 35-36).
Alcune persone usano Amoris Laetitia per opporsi ai grandi insegnamenti di Giovanni Paolo II. Si sbagliano. Ciò che era vero ieri rimane vero oggi. Dobbiamo attenerci fermamente a quella che Benedetto XVI ha definito l’ermeneutica della continuità. L’unità di fede implica l’unità del magistero nello spazio e nel tempo. Quando un nuovo insegnamento ci viene dato, deve sempre essere interpretato in coerenza con l’insegnamento precedente.
Se introduciamo fratture, spezziamo l’unità della Chiesa. Coloro che annunciano ad alta voce rivoluzioni e cambiamenti radicali sono falsi profeti. Non stanno cercando il bene del gregge. Cercano la popolarità dei media al prezzo della verità divina. Non facciamoci impressionare. Solo la verità ci renderà liberi. Dobbiamo avere fiducia. Il Magistero della Chiesa non si contraddice mai.
Quando infuria la tempesta, devi aggrapparti a ciò che è stabile. Non inseguiamo le novità alla moda che potrebbero svanire prima ancora di riuscire a coglierle.
In che misura crede, come fanno alcuni critici, che le riforme liturgiche postconciliari abbiano portato all’attuale crisi nella Chiesa di cui parla nel suo libro?
Credo che, in questa materia, l’insegnamento di Benedetto XVI sia luminoso. Ha osato scrivere di recente che la crisi della liturgia è al centro della crisi della Chiesa. Se nella liturgia non mettiamo più Dio al centro, non lo mettiamo nemmeno al centro della Chiesa. Nel celebrare la liturgia, la Chiesa ritorna alla sua sorgente. Tutta la sua ragion d’essere è rivolgersi a Dio, dirigere tutti gli occhi verso la croce. In caso contrario, pone sé stessa al centro; diventa inutile. Credo che la perdita dell’orientamento, di questo sguardo diretto verso la croce, sia il simbolo della radice della crisi della Chiesa. Eppure il Concilio aveva insegnato che “la liturgia è principalmente e soprattutto l’adorazione della divina maestà”. L’abbiamo trasformata in una celebrazione completamente umana ed egocentrica, un’assemblea amichevole che si autocelebra.
Non è quindi il Concilio a dover essere sfidato, ma l’ideologia che ha invaso diocesi, parrocchie, pastori e seminari negli anni seguenti.
Abbiamo pensato che il sacro fosse un valore obsoleto. Invece è una necessità assoluta nel nostro cammino verso Dio. Vorrei citare Romano Guardini: “Abbi fede in Dio; la vicinanza a lui e la sicurezza in lui rimangono magre e deboli quando la conoscenza personale della maestosità esclusiva di Dio e la terribile santità non le controbilanciano ”( Meditazioni prima della Messa , 1936).
In questo senso, la banalizzazione dell’altare, dello spazio sacro che lo circonda, sono stati disastri spirituali. Se l’altare non è più la sacra soglia oltre la quale Dio risiede, come troveremmo la gioia di avvicinarci? Un mondo che ignora il sacro è un mondo uniforme, piatto e triste. Vandalizzando la nostra liturgia abbiamo disincantato il mondo e ridotto le anime a una cupa tristezza.
Quali aspetti della riforma liturgica hanno avuto un effetto positivo e quali negativo sui fedeli, secondo lei?
È importante sottolineare il profondo beneficio che una maggiore varietà di testi biblici offre alla meditazione. Allo stesso modo, era necessaria l’introduzione di una dose moderata di lingua volgare.
Soprattutto, credo che la preoccupazione per una partecipazione profonda e teologica dei fedeli sia un importante insegnamento del Concilio. Sfortunatamente, è stato usato in modo improprio per concitazione e attivismo. È stato ignorato che la partecipazione attiva delle persone non consiste nel distribuire ruoli e funzioni, ma piuttosto nell’introdurre i fedeli nelle profondità del mistero pasquale in modo che possano accettare di morire e risorgere con Gesù attraverso una vita Cristiana più autentica e luminosa basata sui valori evangelici.
Rifiutare di considerare la liturgia come opus Dei , come “opera di Dio”, significa correre il rischio di trasformarla in un’opera umana. Ci piace quindi inventare, creare, moltiplicare formule e opzioni, immaginare che parlando molto e moltiplicando formule e opzioni, saranno ascoltate meglio (vedere Matteo 6: 7).
Credo che il Sacrosanctum Concilium sia un testo importante per entrare in una comprensione profonda e mistica della liturgia. Dovevamo uscire da un certo rubricismo. Sfortunatamente, è stato sostituito da una cattiva creatività che trasforma un’opera divina in una realtà umana. La mentalità tecnicistica contemporanea vorrebbe ridurre la liturgia a un efficace lavoro di pedagogia. A tal fine, cerchiamo di rendere le cerimonie conviviali, attraenti e amichevoli. Ma la liturgia non ha alcun valore pedagogico se non nella misura in cui è interamente ordinata alla glorificazione di Dio, al culto divino e alla santificazione degli uomini.
La partecipazione attiva implica in questa prospettiva di trovare in noi quel sacro stupore, quel gioioso timore che ci ammutolisce davanti alla divina maestà. Dobbiamo rifiutare la tentazione di rimanere nell’umano per entrare nel divino.
In questo senso, è deplorevole che il presbiterio delle nostre chiese non sia un luogo riservato al culto divino, che vi entriamo in abiti secolari, che il passaggio dall’umano al divino non sia segnato da un confine architettonico. Allo stesso modo, se, come insegna il Concilio, Cristo è presente nella sua parola quando viene proclamato, è un peccato che i lettori non abbiano un abbigliamento appropriato che dimostri che non stanno dicendo parole umane ma una parola divina.
Infine, se la liturgia è opera di Cristo, non è necessario che il celebrante faccia commenti suoi. Non è la quantità di formule e opzioni, così come il continuo cambiamento delle preghiere e un’esuberanza della creatività liturgica, che piace a Dio, ma la metanoia, il cambiamento radicale nelle nostre vite e comportamenti seriamente contaminati dal peccato e segnati da ateismo liquido.
È necessario ricordare che, quando il messale autorizza un intervento, non deve diventare un discorso profano e umano, per non parlare di un commento sugli eventi attuali, o un saluto mondano ai presenti, ma una breve esortazione per entrare nel mistero.
Nulla di profano ha spazio nelle azioni liturgiche. Sarebbe un grave errore credere che elementi mondani e spettacolari incoraggino la partecipazione dei fedeli. Questi elementi possono solo promuovere la partecipazione umana e non la partecipazione all’azione religiosa e salvifica di Cristo.
Ne vediamo una bella esemplificazione nelle prescrizioni del Concilio. Mentre la Costituzione [sulla Sacra Liturgia] ha ripetutamente raccomandato la partecipazione consapevole e attiva e persino la piena comprensione dei riti, raccomanda in un passaggio la lingua Latina che prescrive che “i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell’ordinario della messa che spettano ad essi”.
In effetti, la comprensione dei riti non è opera della sola ragione umana, che dovrebbe afferrare tutto, capire tutto, dominare tutto. La comprensione dei riti sacri presuppone una vera partecipazione a ciò che essi esprimono del mistero. Questa intelligenza è quella del sensus fidei, che esercita la fede vivente attraverso il simbolo e che conosce per sintonia più che per concetto.
La passione di Cristo è anche una liturgia; solo uno sguardo di fede può scoprire l’opera di redenzione compiuta per amore. L’unica [cosa] che la ragione umana vede in essa è il fallimento della morte e l’orrore della croce. Entrare nella participatio actuosa implica che, come i discepoli di Emmaus, ci lasciamo toccare dallo spezzare il pane per comprendere le Scritture.
Come Papa Francesco ci ha ricordato poco tempo fa, il sacerdote non deve darsi l’apparenza di uno “showmaster” (o conduttore di uno show) per conquistare l’ammirazione di un’assemblea. Al contrario, deve partecipare all’azione di Cristo, entrare in essa, diventare il suo strumento. Pertanto, non dovrà parlare in continuo e guardare in faccia l’assemblea, ma dovrà piuttosto agire in persona Christi e, in un dialogo nuziale, coinvolgere i fedeli in questa partecipazione.
È quindi appropriato che, durante il rito penitenziale, l’Offertorio e la Preghiera eucaristica, si rivolgano tutti insieme verso la croce o, meglio ancora, ad Oriente, per esprimere la loro disponibilità a partecipare all’opera di adorazione e redenzione svolta da Cristo e per mezzo di lui dalla Chiesa.
Perché pensa che sempre più giovani siano attratti dalla liturgia tradizionale /dalla forma straordinaria?
Io non è che lo penso. Lo vedo; ne sono testimone. E i giovani mi hanno affidato la loro assoluta preferenza per la forma straordinaria, più educativa e più insistente sul primato e centralità di Dio, sul silenzio e sul significato della trascendenza sacra e divina. Ma soprattutto, come possiamo capire, come non possiamo essere sorpresi e profondamente scioccati dal fatto che quella che ieri era la regola oggi è vietata? Non è vero che proibire o essere sospettosi verso la forma straordinaria può essere ispirato solo dal demonio che desidera il nostro soffocamento e la nostra morte spirituale?
Quando la forma straordinaria viene celebrata nello spirito del Concilio Vaticano II, rivela la sua piena fecondità: come possiamo essere sorpresi che una liturgia che ha portato così tanti santi continui a sorridere alle giovani anime assetate di Dio?
Come Benedetto XVI, spero che le due forme del rito romano si arricchiscano a vicenda. Ciò implica uscire da un’ermeneutica di rottura. Entrambe le forme hanno la stessa fede e la stessa teologia. Contrapporle è un profondo errore ecclesiologico. Significa distruggere la Chiesa strappandola alla sua Tradizione e facendole credere che ciò che la Chiesa considerava santo in passato è ora sbagliato e inaccettabile. Che inganno e insulto a tutti i santi che ci hanno preceduto! Che visione della Chiesa.
Dobbiamo allontanarci dalle opposizioni dialettiche. Il Concilio non desiderava rompere con le forme liturgiche ereditate dalla Tradizione, ma, al contrario, entrare e partecipare meglio a esse.
La Costituzione conciliare stabilisce che “le nuove forme adottate dovrebbero in qualche modo crescere organicamente dalle forme già esistenti”.
Sarebbe quindi sbagliato opporre il Concilio alla Tradizione della Chiesa. In questo senso, è necessario che coloro che celebrano la forma straordinaria lo facciano senza uno spirito di opposizione e quindi nello spirito del Sacrosanctum Concilium .
Abbiamo bisogno della forma straordinaria per sapere in quale spirito celebrare la forma ordinaria. Al contrario, celebrare la forma straordinaria senza tener conto delle indicazioni di Sacrosanctum Concilium si rischia di ridurre questa forma a un residuo archeologico senza vita e senza futuro.
Sarebbe anche auspicabile includere nell’appendice di una futura edizione del messale il Rito penitenziale e l’Offertorio della forma straordinaria al fine di sottolineare che le due forme liturgiche si illuminano a vicenda, in continuità e senza opposizione.
Se viviamo in questo spirito, allora la liturgia cesserà di essere il luogo delle rivalità e delle critiche e ci condurrà infine nella grande liturgia celeste.
In molte parti dell’Africa, sebbene le liturgie siano spesso lunghe, sono anche caratterizzate da espressioni libere di canto, danza e applausi, che alcuni potrebbero descrivere come un abuso di una liturgia più riverente, oscura e orante. Eppure, l’ortodossia è viva e vegeta nel continente. Come lo spiega?
In Africa, i fedeli a volte camminano per ore per andare a Messa. Hanno fame del Vangelo e dell’Eucaristia. Camminano per miglia e vengono a messa per stare con Dio per molto tempo, per ascoltare la sua parola, per essere nutriti dalla sua presenza. Offrono a Dio il loro tempo, le loro vite, la loro fatica e la loro povertà. Offrono a Dio tutto ciò che sono e tutto ciò che hanno. E la loro gioia è di aver dato tutto.
La loro gioia a volte si manifesta troppo esteriormente e gli africani devono imparare l’interiorità e il silenzio. Devono vietare applausi e strilli che non hanno nulla a che fare con il mistero di Dio; devono eliminare la parola, il folklore, l’esuberanza delle parole che ostacolano l’incontro con Dio. Dio dimora nel silenzio e nell’interiorità dell’uomo; il cuore dell’uomo è il Tempio di Dio – perché so che gli africani sanno come mettersi in ginocchio e comunicare con rispetto e riverenza.
Credo che gli africani abbiano un profondo senso del sacro. Non ci vergogniamo di adorare Dio, di proclamarci dipendenti da lui. Soprattutto, gli africani sono felici di lasciarsi insegnare la fede senza contestarla o metterla in discussione. Credo che la grazia dell’Africa sia quella di conoscere se stessa e rimanere una figlia di Dio.
Sottolineo in questo libro che nel cuore del pensiero occidentale moderno c’è un rifiuto di essere un bambino, un rifiuto di essere un padre, che è fondamentalmente un rifiuto di Dio. Percepisco nelle profondità dei cuori occidentali una profonda rivolta contro la paternità creativa di Dio. Riceviamo da lui la nostra natura di uomini e donne. È diventato insopportabile per le menti moderne.
L’ideologia di genere è un rifiuto luciferino di ricevere una natura sessuale da Dio. L’Occidente rifiuta di ricevere; accetta solo ciò che si costruisce da solo. Il transumanesimo è l’ultimo avatar di questo movimento. Perfino la natura umana, poiché è un dono di Dio, diventa insopportabile per l’uomo occidentale.
Questa rivolta è nella sua essenza spirituale. È la rivolta di Satana contro il dono della grazia. Fondamentalmente, credo che l’uomo occidentale si rifiuti di essere salvato per pura misericordia. Rifiuta di ricevere la salvezza e vuole costruirla da solo. I “valori occidentali” promossi dalle Nazioni Unite si basano su un rifiuto di Dio che paragono a quello del giovane ricco nel Vangelo. Dio ha guardato l’Occidente e l’ha amato perché ha fatto grandi cose. Ha invitato l’Occidente ad andare oltre, ma l’Occidente si è allontanato, preferendo le ricchezze che doveva solo a se stesso. Gli africani sanno di essere poveri e piccoli davanti a Dio. Sono orgogliosi di inginocchiarsi, felici di dipendere da un Creatore e Padre Onnipotente.
La Chiesa in Africa è famosa per il suo senso di comunità, condivisione, trascendenza e rispetto per il magistero. In che modo queste forze possono essere utilizzate al meglio per mostrare la via da seguire per la Chiesa universale, specialmente nelle parti in cui il secolarismo e il nichilismo hanno messo radici?
L’Occidente è stato all’origine della crisi. Sta a lui trovare l’antidoto. Per fare questo, dobbiamo partire dall’esperienza dei monasteri. Sono luoghi in cui Dio è semplicemente e concretamente al centro della vita. Dio è la vita della vita dell’uomo. Senza Dio, l’uomo ricorda un fiume enorme e maestoso che ha voluto separarsi dalla sua sorgente. Prima o poi, questo fiume si prosciugherà e morirà in modo definitivo.
Dobbiamo creare luoghi in cui le virtù possano prosperare. È tempo di riguadagnare il coraggio del non-conformismo. I cristiani devono avere la forza di formare oasi dove l’aria è respirabile, dove, semplicemente, la vita cristiana è possibile.
Invito i cristiani ad aprire oasi di gratuità nel deserto della redditività trionfante. Sì, non puoi essere solo nel deserto della società senza Dio. Un cristiano che rimane solo è un cristiano in pericolo. Alla fine verrà divorato dagli squali della società del mercato.
I cristiani devono radunarsi in comunità intorno alle loro chiese. Devono riscoprire l’importanza vitale di una vita di preghiera intensa, continua e perseverante. Un uomo che non prega è come un uomo gravemente malato che soffre di una paralisi totale delle braccia, delle gambe e ha perso l’uso del linguaggio, dell’udito, della vista. … Quest’uomo è escluso da tutte le relazioni essenziali. È un uomo morto. Rinnovare il nostro rapporto con Dio è respirare, vivere pienamente.
Dobbiamo creare luoghi in cui il cuore e la mente possano respirare, dove l’anima possa rivolgersi a Dio in un modo molto concreto. Le nostre comunità devono porre Dio al centro della nostra vita, delle nostre liturgie e delle nostre chiese.
Nella valanga di bugie, si deve essere in grado di trovare luoghi in cui la verità non è solo spiegata ma vissuta. È semplicemente una questione di vivere il Vangelo! Non pensarlo come un’utopia, ma viverlo in modo concreto.
In molti paesi, la perdita della pietà popolare sembra aver accelerato il processo di scristianizzazione, specialmente tra le classi lavoratrici. Come spiega questa perdita di religiosità?
In questo libro spiego che abbiamo sognato un cristianesimo “puro” ed intellettuale. Abbiamo rifiutato di permettere a Dio di incarnarsi nella nostra vita. I più poveri sono le prime vittime. Credo che la falsa opposizione teologica tra fede e religiosità sia la radice di questo errore. La prima manifestazione di fede è la nostra pratica religiosa. Il rosario, i pellegrinaggi, la preghiera in ginocchio, la devozione ai santi, il digiuno sono stati disprezzati e ridicolizzati come pratiche semi-pagane. Oggi, il digiuno quaresimale, cioè i 40 giorni di astinenza e privazione di cibo, esiste per molti solo nel rituale. Questa pratica è abbandonata. Tuttavia, esiste ancora un digiuno medico per il benessere del nostro corpo. Senza atteggiamenti religiosi concreti, la nostra fede rischia di diventare un sogno illusorio.
Perché il Sinodo panamazzonico crea così tanta preoccupazione in molte persone, compresi alcuni stimati cardinali? Quali sono le sue preoccupazioni sull’incontro del 6 – 27 ottobre?
Ho sentito dire che alcuni volevano che questo sinodo fosse un laboratorio per la Chiesa universale, che altri dicevano che, dopo questo sinodo, nulla sarebbe più stato come prima. Se questo è vero, questo approccio è disonesto e fuorviante. Questo sinodo ha un obiettivo specifico e locale: l’evangelizzazione dell’Amazzonia.
Temo che alcuni Occidentali confischeranno questa assemblea per portare avanti i loro progetti. Penso in particolare all’ordinazione di uomini sposati, alla creazione di ministeri femminili o alla giurisdizione dei laici. Questi punti riguardano la struttura della Chiesa universale. Non possono essere discussi in un sinodo particolare e locale. L’importanza di questi temi richiede la partecipazione seria e consapevole di tutti i vescovi del mondo. E invece a questo sinodo sono invitati in pochissimi. Approfittare di un sinodo particolare per introdurre questi progetti ideologici sarebbe una manipolazione indegna, un inganno disonesto, un insulto a Dio, che guida la sua Chiesa e le affida il suo piano di salvezza.
Inoltre, sono scioccato e indignato per il fatto che la sofferenza spirituale dei poveri in Amazzonia venga usata come pretesto per sostenere progetti tipici di un cristianesimo borghese e mondano.
Vengo da una chiesa giovane. Conoscevo i missionari che andavano di villaggio in villaggio per sostenere i catechisti. Ho vissuto l’evangelizzazione nella mia carne. So che una chiesa giovane non ha bisogno di sacerdoti sposati. Anzi. Ha bisogno di sacerdoti che le diano la testimonianza della croce vissuta. Il posto di un prete è sulla croce. Quando celebra la Messa, è presso la sorgente di tutta la sua vita, cioè presso la croce.
Il celibato è uno dei modi concreti in cui possiamo vivere questo mistero della croce nelle nostre vite. Il celibato inscrive la croce nella nostra carne. Ecco perché il celibato è intollerabile per il mondo moderno. Il celibato sacerdotale è uno scandalo per il moderno, perché la croce “infatti è stoltezza per quelli cha vanno in perdizione” (1 Corinzi 1:18).
Alcuni Occidentali non possono più sopportare questo scandalo della croce. Penso che sia diventato un insopportabile rimprovero per loro. Arrivano ad odiare il sacerdozio e il celibato.
Credo che vescovi, sacerdoti e fedeli in tutto il mondo debbano sollevarsi per esprimere il loro amore per la croce, il sacerdozio e il celibato. Questi attacchi contro il sacerdozio provengono dai più ricchi. Alcune persone pensano di essere onnipotenti perché finanziano le chiese più povere. Ma non dobbiamo essere intimiditi dal loro potere e denaro.
Un uomo in ginocchio è il più potente del mondo. È un baluardo inespugnabile contro l’ateismo e la follia degli uomini. Un uomo in ginocchio fa tremare l’orgoglio di Satana. Voi tutti che, agli occhi degli uomini, siete senza potere e senza influenza, ma che sapete rimanere in ginocchio davanti a Dio, non abbiate paura di coloro che vogliono intimidirvi.
Dobbiamo costruire un baluardo di preghiere e sacrifici in modo che nessuna violazione danneggi la bellezza del sacerdozio cattolico. Sono convinto che papa Francesco non permetterà mai una simile distruzione del sacerdozio. Al suo ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù a Panama il 27 gennaio, ha detto ai giornalisti, citando Papa Paolo VI: “Preferisco dare la mia vita piuttosto che cambiare la legge del celibato”. Ha aggiunto: “è una frase coraggiosa, in un momento più difficile di questo, ‘68/’70… Personalmente, penso che il celibato sia un dono per la Chiesa. Secondo, io non sono d’accordo di permettere il celibato opzionale, no”
Questa intervista è stata tradotta dal francese originale di
Ben Crockett di EWTN News
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