Ricevo dagli amici di Iustitia in Veritate e volentieri pubblico.
Storie di ordinaria resistenza alla dittatura sanitaria imperante … Letture utili ad infondere speranza e coraggio in tempi non facili.
Cronache di violenze e vessazioni in una Torino ideologizzata
Questa è una lettera che l’autrice ha inviato al quotidiano La Verità, per la quale è stata gentilmente ricontattata e intervistata dalla giornalista Patrizia Floder Reitter, che ne ha immediatamente fatto un articolo di seconda pagina. Inoltre, Nicola Bizzi, Matt Martini III e Tom Bosco hanno avuto la sensibilità e, soprattutto, il senso civico di parlarne nella loro vitale trasmissione di approfondimento “L’orizzonte degli eventi” che nell’occasione specifica ha ospitato il Dott. Carlo Freccero, in onda ogni venerdì sera alle 21:30 sul canale YouTube RADIO VISIONE 11.11 Meditate, per favore. Svegliatevi, siete ancora in tempo. 1984 è già qui.
Gentile Direttore Belpietro,
mi chiamo Francesca Tibo, sono di Firenze e le scrivo per raccontarle la folle avventura in cui domenica scorsa, 17 ottobre, mio figlio ed io, insieme a un centinaio di altre persone, siamo stati violentemente scaraventati presso il centro commerciale Lingotto di Torino, adiacente al Salone Internazionale del Libro.
Premetto:
Sono una scrittrice e dal 15 al 17 ottobre mi trovavo a Torino per presenziare allo stand della mia casa editrice per presentare il mio libro.
Ho portato con me mio figlio di 12 anni (a novembre 13) perché, in accordo con la sua professoressa di Lettere, ho pensato fosse una bella occasione per imparare e vedere qualcosa di nuovo.
Mio figlio Leon ha due malattie genetiche rare a carico della parte meccanica del Sistema Nervoso Centrale. Vuol dire che i problemi sono solo fisici e non mentali. Le sindromi in questione si chiamano Arnold Chiari I livello e Siringomielia. Per la Sindrome di Chiari è stato operato alla testa 4 anni fa (intervento solo funzionale a ridurre le emicranie, non risolutivo). La Siringomielia consiste, invece, in una cavitazione del midollo spinale; in sostanza, il midollo, anziché essere disposto correttamente all’interno della colonna vertebrale è schiacciato contro le sue pareti, rimanendo vuoto al centro, esattamente come una cannuccia o, appunto, una siringa. Inutile dirlo, sono malattie che provocano forti dolori, non solo alla schiena ma anche agli arti; ad ogni modo, entrambe gestibili con comuni analgesici.
Mio figlio ed io ci siamo sottoposti al tampone venerdì mattina (il 15) prima di partire per Torino e, avendo il lasciapassare nazista una validità di 48 ore, e scadendo domenica mattina alle 11:30, dovevamo eseguirne un altro per riprendere il treno di ritorno domenica pomeriggio, con orario di partenza alle 15:33.
La mia casa editrice mi aveva inviato una mail comunicandomi gentilmente che per i partecipanti al salone (sia professionisti sia semplici visitatori) era stato appositamente allestito un tendone della Croce Rossa al Lingotto, nel centro commerciale adiacente al salone, al costo di 5 euro. Sufficiente esibire il biglietto per il salone. Sapendo di poter usufruire di questo servizio, non ho provveduto a prenotare anticipatamente un tampone in nessuna farmacia di Torino.
Alle 10 di mattina del giorno domenica 17 ottobre (orario di apertura del servizio tamponi e anche della fiera), mio figlio ed io ci siamo recati presso il tendone della Croce Rossa e quello che segue è la descrizione di ciò che è accaduto In coda davanti a noi c’era già una cinquantina di persone (non di più, forse addirittura meno). A un certo punto, hanno cominciato ad arrivare alcuni lavoratori che avevano bisogno del tampone per entrare al lavoro da lì a poche ore e che non avevano trovato disponibilità in nessuna farmacia; tutti siamo stati d’accordo a dare loro la precedenza. Si sono create spontaneamente due code, una di visitatori e professionisti del Salone, una di cittadini lavoratori torinesi. I lavoratori erano pochi, in totale siamo poi diventati un centinaio di individui.
Vi erano due volontarie addette alla registrazione dei nostri dati, una volta effettuata la quale dovevamo posizionarci in una terza fila per essere sottoposti a tampone. Va precisato che entrambe si occupavano dello stesso utente, anziché dividersi il lavoro per accelerare i tempi. Una delle due, inoltre, si ostinava a tenere abbassata la mascherina (essendo vaccinata!), mentre noi eravamo obbligati a indossarla essendo al chiuso. Tutto ridicolo, ovviamente. La registrazione dei dati procedeva con una lentezza paradossale, del tipo una persona ogni venti minuti/mezz’ora. Ogni volta che qualcuno osava lamentarsi, un terzo volontario usciva dal gazebo (chiuso da tendoni) per scattare rabbiosamente verso di noi, dicendo che eravamo tutti liberi di andarcene se la procedura non era di nostro gradimento. Ovviamente nessuno poteva andarsene, perché tutti, chi per un motivo chi per un altro, avevamo bisogno del lasciapassare nazista e nessuna farmacia, ripeto, era disposta ad accoglierci.
In un momento in cui gli animi si sono scaldati, dopo 3-4 ore che stavamo ancora lì, il volontario in questione ha sbottato, lasciandosi sfuggire la seguente, abominevole frase: “Non è colpa nostra, abbiamo ricevuto ordini dall’alto!” L’ordine era chiaramente quello di procedere a “ritmo bradipo” al fine di portarci all’esasperazione. Mio figlio ed io siamo stati registrati dopo le 15:30 (treno perso, insieme ai circa 100 euro del biglietto), dalle 10 che eravamo lì, ripeto! Tutti senza mangiare e senza poter andare in bagno. Il nostro tampone, poi, è stato eseguito intorno alle 17:00 (sui documenti ci sono gli orari). Dopo aver eseguito il tampone ci lasciavano in attesa altre ore prima di consegnarci il responso, per avere il quale dovevamo fornire nuovamente i documenti perché il “sistema” sul pc richiedeva il numero della carta di identità per poterlo rilasciare. Pochi giorni prima di partire, mio figlio ha smarrito la sua Carta d’Identità, ma è bene sottolineare che fino ai 15 anni compiuti NON è obbligatoria e io avevo provveduto a fargliela solo per sicurezza, per quando andava in gita con la scuola. Il volontario seduto al pc, si è rifiutato di registrare la tessera sanitaria di mio figlio aggiungendo il mio numero di telefono e il mio numero di documento (come ho sempre fatto a Firenze finora senza problemi!), dicendomi che per quanto lo riguardava, io potevo tornare a Firenze e mio figlio restarsene a Torino. Un bambino di 12 anni. A quel punto ho perso le staffe, lasciandomi stupidamente travolgere dall’ira, cibo di cui questi demoni si nutrono felicemente, e ho cominciato a ripetere: “Scrivi il numero del mio documento! Scrivi quel cazzo di numero!”. Chiedo scusa per la volgarità, ma avevo seriamente perso le staffe, cosa di cui sinceramente mi vergogno. A quel punto, è sopraggiunto un quarto volontario, fino a quel momento mai visto, bardato come “Robocop” (era veramente un volontario della Croce Rossa?), che mi ha violentemente spintonata fuori dal recinto, impedendo a mio figlio di venire con me. Mio figlio è passato sotto al cordone, fuggendo spaventato e portandosi alle mie spalle. Una ragazza ha ripreso tutto con il telefono, le ho dato il mio numero perché mi inviasse il video, ma presa dalla confusione non ho pensato di prendere il suo né il suo nome e cognome. Ad ogni modo, è stato visualizzato sia dalla polizia sia dai carabinieri che sono arrivati poco dopo. Una intera famiglia di 4 persone e altri hanno preso le mie difese. A tutte queste persone, Robocop ha sequestrato i documenti che erano già stati consegnati al volontario al pc, trattenendoseli in tasca ed ha ordinato al collega di NON procedere con la consegna del lasciapassare nazista per nessuno di loro, esercitando un assurdo, illegittimo, abuso di potere. Naturalmente, gli animi si sono scaldati ancor di più. Robocop si è permesso di dire a un uomo anziano che se non avesse smesso di reclamare gli avrebbe spaccato la testa, poi si è portato alle spalle del padre di famiglia a cui ha detto che stava per dargli una testata per “rimetterlo al suo posto”.
Ricordiamo, che stiamo parlando di un volontario della Croce Rossa, evidentemente elevata all’insaputa di noi cittadini a ramo dell’esercito italiano. Il padre di famiglia, guardandolo negli occhi gli ha detto: “Tu porti una croce sulla tua divisa, e ci fai questo.” A quel punto, finalmente, abbiamo chiamato le forze dell’ordine. So benissimo che avremmo dovuto farlo molte ore prima. Non so perché non l’abbiamo fatto, lasciando che ci trattassero in quel modo. Forse la speranza di poter uscire di lì e farla finita con quei demoni. Sono arrivati prima la polizia, poi i carabinieri. Quello che posso dire, è che si sono comportati nobilmente nei nostri confronti, recuperando subito i documenti illecitamente sequestrati e obbligando il ragazzo al computer a stampare subito i certificati di tutti i presenti. Mio figlio ed io, siamo riusciti a venire via di lì appena in tempo per prendere un treno delle 19:00. Non c’erano altri treni disponibili se non quei due posti in business class che mi sono costati 150 euro circa, più 17 euro di cena.
Siamo arrivati a casa alle 22:00, stremati, devastati, pieni di dolori, soprattutto mio figlio che il lunedì mattina non ha potuto andare a scuola. Lascio a lei ogni considerazione sulla follia che sta travolgendo a ondate questo povero Paese in ginocchio. Allego tutti i documenti delle spese e dei tamponi, dove si possono recuperare orari e costi.
La saluto caramente,
Francesca Tibo
Lettera aperta agli studenti in epoca di Green Pass
Cari ragazzi,
a giugno ci eravamo salutati con un “arrivederci”, invece oggi devo dirvi che forse a settembre a scuola non ci vedremo.
Se le disposizioni attuali non saranno modificate, io sarò sospeso dall’insegnamento perché non avrò presentato il green pass.
Forse, anche se non vi ho mai nascosto le mie idee riguardo alla gestione dell’epidemia, può sembrarvi strano o esagerato che non mi voglia munire del passaporto verde. Se però pensate a quante cose il vostro professore di italiano e storia vi ha raccontato su tessere di partito senza le quali non si poteva lavorare, o sui tanti marchi di infamia che dispotismi di tutti i tempi facevano cucire sugli abiti di chi era discriminato, o ancora su una ragazzina nascosta in un retro-casa che ha riempito un suo quaderno con la sua fitta calligrafia, allora potrete capire la mia scelta.
Sento già levarsi gli scudi di alcuni di voi: “Ma prof.! Non è la stessa cosa!”. Lo so bene. Non è mai la stessa cosa. Magari se le cose sbagliate si presentassero nella storia sempre nello stesso modo: le sapremmo riconoscere e ce ne sapremmo difendere! Invece spesso il male cerca di ingannarci travestendosi di colori cangianti.
Il vero bene però, vi svelo un trucco, lo riconoscete subito per la sua semplicità, la sua apparente piccolezza, la sua umiltà.
Eccolo quando vi ho lasciato respirare liberamente senza la mascherina e voi avete fatto altrettanto con me. Eccolo quando ci siamo rispettati nei nostri tempi e nei ostri spazi reciproci, quando io sono entrato con la DAD nelle vostre case solo dopo aver bussato e chiesto permesso, così come quando voi avete capito quando ero stanco ed avevo bisogno della vostra comprensione.
Ora forse non potrò più esserci io a vegliare su di voi in questo difficile momento storico, ma, comprendetemi, non avrei più nulla da insegnarvi se diventassi corresponsabile, seppure passivo, di uno strumento di discriminazione come il green pass; una discriminazione che non si fonda sulla religione, l’etnia, il colore della pelle o gli orientamenti sessuali, bensì sulle scelte e sulle convinzioni individuali.
Farò il vaccino quando e se sarò convinto che sia la cosa giusta da fare, non certo per andare al ristorante, ad un concerto o dove che sia. Nemmeno per conservare il posto di lavoro. Ricordiamoci che “non di solo pane vivrà l’uomo” (Mt. 4,4) e che ancora sta scritto: “Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro” (Mt. 6, 28). Il Signore, poi, “non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande” (I promessi sposi, cap. VIII). Inoltre, se anche un domani dovessi decidere di vaccinarmi, oppure se sentissi la necessità di sottopormi ad un tampone diagnostico, non scaricherei comunque il passaporto verde, affinché le mie scelte individuali, quali che siano, non diventino motivo di discriminazione per chi avesse fatto scelte differenti. Speriamo invece che vi sia un ravvedimento nelle coscienze e che si abbandoni la china pericolosa che è stata imboccata e che conduce a tristezze e infamità che credevamo superate. In tal caso ci abbracceremmo di nuovo, proseguiremmo insieme il nostro cammino, come svegliandoci da un brutto sogno, e potrei dirvi ancora: “Arrivederci, ragazzi!”
Il vostro prof. Alessandro La Fortezza
4 testimonianze dalla manifestazione NO GREEN PASS di Brescia
1) Una persona che conosco si è recata dal proprio medico di base del nostro comune (di cui mi ha fatto il nome) che prima di farla entrare nel suo studio le ha chiesto se era vaccinata. Alla sua risposta negativa le ha detto che non l’avrebbe fatta entrare e che doveva quanto prima farlo altrimenti non la avrebbe più potuta visitare nemmeno in futuro. Senza visitarla l’ha tenuta sulla porta facendole una ramanzina di più di mezz’ora sulla necessità della vaccinazione.
Questa mia conoscente ha anche una figlia infermiera che ha perso il posto di lavoro e proprio per questo motivo anche lei era ieri presente in piazza.
Pertanto mi ha chiesto se conoscevo un medico di base che non fosse così invasato e le ho subito passato il nominativo del nostro di famiglia che so essere unico nel nostro comune a non segnalarti all’Asl (con relativo obbligo di tampone) appena la contatti per qualche sintomo di malattia.
2) Dopo questa sua esperienza scioccante è andata a confessarsi dal sacerdote di una frazione del mio comune che come risposta le ha detto che è un dovere morale “vaccinarsi”.
3) La nostra diocesi ha obbligato tutti i sacerdoti alla “vaccinazione” e per quanto conosciamo solo uno sta facendo resistenza ma viene quotidianamente stalkerato dalla curia perché si decida a farlo.
4) La mamma di una compagna di classe di mia figlia ha chiamato la pediatra perché suo figlio di 2 anni aveva la febbre alta. Come risposta si è sentita dire che senza tampone negativo lei non avrebbe visitato il bimbo. Al che questa mamma ha chiamato una sua amica medico che ha visitato il bambino e l’ha tranquillizzata dicendole che era una febbre dovuta allo spuntare dei dentini.
Cosa ci aspetta il futuro ?
Da un amico che ha partecipato alla manifestazione e ha incontrato diversi conoscenti che gli hanno raccontato quanto ci riferisce.
Il fanatismo degli ultra-vax
Oggi le comiche: vado all’Ospedale Careggi per il consueto controllo, viene una dottoressa giovane, che affabilmente mi ascolta, finchè le dico che non sono vaccinata.
Trasecola, sbarra gli occhi, non riesce a crederci, mi dice che devo vaccinarmi … Le faccio presente che ho tre trombosi al viso, come ha appena letto da risonanza, che ho un’ischemia dal lato destro … Incurante mi reitera che devo vaccinarmi.
Le faccio presente che oltre ad essere diabetica, ho i reni in deficit, grazie alla loro chemio sbagliata, macché una litania: “Deve vaccinarsi”.
Le ricordo delle allergie e degli choc anafilattici, molto gravi, la cantilena è sempre la stessa. Allora come una furia esce dalla stanza e dopo un quarto d’ora si ripresenta con il mio oncologo di riferimento: cerca di metterla sul materno, ho la stessa età di sua madre, lui tiene a me, ma io sorrido sorniona. Mi ascolta a malapena, dice alla sua collega di prepararmi le ricette e se ne va senza salutare. Dopo oltre mezz’ora torna la collega e riprende il pressing; le faccio notare che le tre uniche persone che conoscevo, che sono morte, lo sono non di Covid, ma di vaccino, impreparata balbetta e mi dice che ogni medicinale può causare morte anche il più banale. Le rispondo che ora per il Covid ci sono le cure; con veemenza mi replica che: “No, non ci sono cure“. Le riferisco delle migliaia di medici, che stanno curando i malati a casa. Mi dice che sono dei cialtroni. La guardo sorridendo di compatimento e facendole notare: “Migliaia di medici ?“. “Si sono degli incapaci, che andrebbero radiati dall’albo. Tutti!“.
Non mi saluta ed io esco ridendo.
Messaggio di un’amica
Maledizione, io non mi deprimo
Mi sto scoprendo in una “veste” che mi era sconosciuta. Non sono mai stata così prima d’ora, non riesco bene a capire cosa mi accade. Oggi sono stata all’ospedale di Borgotaro per il controllo diabetologico.
All’ingresso mi presento con la mia mascherina di plastica trasparente appoggiata al mento. Non va bene. “Ah, ok” dico io: mi giro e metto sopra la plastica una mascherina di tessuto leggerissimo.
Quella mi guarda perplessa e mi prova la febbre. Io mi accingo ad andare, ma quella mi ferma: “NO! Il gel! Deve sanificare le mani.” Io mi blocco come una statua e senza dire nulla la guardo fisso con un’ostilità che si taglia quasi a fette. Quella se ne avvede e mi fa: “Quella mascherina non va bene“. “Davvero?” – “Ci vuole quella chirurgica” – “Non ce l’ho” – “Allora non può entrare. E deve sanificare le mani” – “NO. SONO INTOLLERANTE. MI PROVOCA REAZIONE ALLERGICA.” – “Lei non può entrare.” -“Davvero? Ma ho un appuntamento. Quindi mi dica da che parte sta il centro diabetico.” – “DEVE SANIFICARSI LE MANI!” “LE HO GIÀ DETTO DI NO. HA CAPITO?” Ormai avevo gli occhi fuori dalle orbite e iniettati di sangue.
A stento trattenevo la furia. Ero ferma come una statua. O meglio come una belva che sta per azzannare la preda. Parte con la lancia in resta dicendo “Devo andare a chiedere” e io dietro a lei, decisa ad andare dove devo, fregandomene. Va a confabulare con Tizio, Caio, Sempronio. Finalmente dopo qualche consultazione viene fuori con un tizio che mi offre il gel. E io: “SONO INTOLLERANTE E NON LO VOGLIO, AVETE CAPITO SÌ O NO? PIUTTOSTO MI LAVO LE MANI.” E il tizio, gentilmente: “…Ah, beh…se è intollerante…” e ritira il gel. Ma la kapò, ormai mi aveva preso in antipatia e mi fa: “NON TOCCHI NULLA! LÀ C’È IL BAGNO PER LAVARSI” E io, strafottente: “Puzzo così tanto? Eppure sono fresca di doccia, appena fatta a casa mia“. Quella non molla e mi porta al bagno per controllare che io mi lavi le mani. Poi se ne va scocciata. E io mi levo le mascherine, alla faccia sua. Dopo un po’ torna perché lì c’è la macchina del caffè. Mi apostrofa: “SIGNORA DEVE METTERE LA MASCHERINA” Allora la metto e mi avvicino. Prendo anch’io un caffè, mi giro verso di lei e guardandola fisso con aria canzonatoria le domando civettuola e con voce suadente: “Ma posso berlo senza mascherina o c’è un modo per berlo senza toglierla? Magari, che so, con una cannuccia… mi dica, mi dica” Il tizio di prima si allontana prudente, ma quella se ne va nera e io in brodo di giuggiole.
Rosa
GIÙ LE MANI DAI BAMBINI!
Questo è stato lo slogan più ripetuto della manifestazione del 31 luglio a piazza Duomo a Milano; i giornalisti l’hanno etichettata come “no-green pass”, mentre c’era anche la questione dell’obbligo vaccinale per i bambini e delle conseguenze negative che i “vaccini” possono avere sulle persone. Io stesso ho visto un uomo giovane in carrozzella, con una bambina in braccio, seguito dalla moglie e da un’altra figlia: sulle spalle aveva un cartello: DANNEGGIATO DA VACCINO. E alla manifestazione ho incontrato un tassista, con tutta la famiglia, che mi ha riferito: “Su dieci persone che ogni giorno salgono sul mio tassì, almeno tre mi dicono di aver riportato gravi effetti avversi in seguito all’assunzione del vaccino sperimentale ”.
Ma andiamo con ordine: mi sono recato in piazza Duomo verso le 18.00, e non vedevo nessuno; pensavo di aver sbagliato giorno, oppure che la manifestazione fosse stata disertata! Alle 18.30 circa, invece, dalla parte dell’entrata della Galleria, sento il sibilo acutissimo di fischietti e comincio a sentire il grido. “Libertà, libertà!”. Capisco allora che sono i partecipanti alla manifestazione: vedo infatti un serpentone lunghissimo, che sembra non finire mai, di persone, che si fermano poi nel centro della piazza, provenienti da San Babila. Vedo dei cartelli molto chiari: il primo ha la faccia di Draghi e dice: “NON TI VACCINI? FAI MORIRE!”; poi ne vedo altri due, uno dedicato all’ex primario di pneumologia, presunto suicida, che per primo aveva messo a punto la cura del Covid con le trasfusioni di plasma iperimmune, strappando alla morte decine di persone. “DE DONNO RIPOSA IN PACE: ORA TOCCA A NOI LOTTARE!” e un altro ironico “QUI PER ENTRARE NON C’E BISOGNO DEL GREEN PASS”. La folla poi ad un certo punto si incammina verso piazza Fontana e riprende il “serpentone”; vedo un papà che ha sulle spalle la sua piccola che regge un cartello “MY BODY MY CHOICE – NO GREEN PASS”, che si ferma per farsi fotografare meglio; vedo un altro cartello. “SBLOCCARE LE TERAPIE DOMICILIARI – TACHIPIRINA + VIGILE ATTESA = MORTE”, e, verso la fine del corteo, “GIU’ LE MANI DAI BAMBINI!” Gli slogan sono diversi, oltre appunto questo: molti urlano: “Norimberga, Norimberga!” alludendo a Speranza e soci, e ancora: “Noi siamo il popolo!”; viene scandito con grande enfasi “Draghi, Draghi, va ‘fa n c…o”. C’è anche un cartello che ricorda la Costituzione e uno slogan sul rispetto dell’articolo 32: “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento medico, se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto per la persona umana”. C’è grande euforia: mi dice una mia amica che oggi c’è molta più gente di sabato scorso (la prima manifestazione, il 24 luglio) e che si stanno organizzando ancora meglio per la prossima del 7 agosto. Torno a casa contento e sento un amico che ha partecipato alla manifestazione a Parma (contemporaneamente la gente ha protestato in tante città italiane) che mi dice: “La sai l’ultima? Perfino la stampa russa ha parlato delle manifestazioni in Italia!“
Testimonianza dell’amico Pietro Marinelli che ha partecipato alla Manifestazione contro il green pass a Milano, cui hanno preso parte circa 10.000 persone
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